Dopo il voto unanime in Lega sulla volontà di chiudere la stagione, la situazione ora si sposta sul punto di vista medico e del protocollo. L'analisi di Luca Marchetti a Sky Sport 24
Coronavirus, protocollo e tempistiche. C'è attesa per il confronto che ci sarà tra FIGC e comitato tecnico scientifico del Governo. In gioco il futuro prossimo del calcio italiano. Nel frattempo la Lega Serie A ha votato all'unanimità sulla volontà di concludere la stagione. Luca Marchetti, nello spazio di approfondimento su Sky Sport 24, prosegue l'analisi del momento, dove la questione fondamentale si sposta dal punto di vista medico e del protocollo. Spadafora, nei giorni scorsi, aveva ribadito come il protocollo del calcio non fosse ancora sufficiente, il confronto servirà allora proprio per capire cosa non andava. Al momento, non è escluso che - dopo l'incontro col comitato tecnico-scientifico del Governo - non ci sia un'apertura per fare allenare singolarmente i calciatori nei centri sportivi, appoggiandosi soltanto ai campi e non a tutta la struttura. Per non doversi allenare dentro casa o nei parchi, dove ci sarebbe più rischio di contagio.
Gli aspetti critici del protocollo
Il primo problema, quello degli allenamenti singoli, è in realtà relativo. Se ognuno di noi si può allenare individualmente, allora lo può fare anche il calciatore professionista. Poi c'è il problema degli allenamenti in gruppo e dunque delle partite, che sarebbero rispettivamente la fase 2 e la fase 3. Su questi due punti ci sono delle incongruenze - prosegue Luca Marchetti. E, a sua volta, le problematiche da affrontare sono due: i protocolli sono molto dispendiosi sia a livello logistico che a livello economico, e dunque non potrebbero essere garantiti da società di Serie C e, ancor più, dai dilettanti. Dal punto di vista pratico - oltreché etico - il problema è la capacità di trovare tamponi e test per i giocatori, che dovrebbero essere inoltre molto frequenti.
Il secondo punto da comprendere è relativo a un eventuale caso di nuovo contagio. Secondo le norme del governo, chi è positivo deve andare in quarantena, ma deve farlo anche chi è stato a contatto con il positivo. È un punto su cui servirà un confronto costruttivo. E poi c'è il tema nella responsabilità: dovesse ammalarsi un giocatore su chi ricade? Sul giocatore che non ha rispettato regole o sul presidente e medico sociale che dovrebbero sovrintendere i comportamenti del gruppo squadra? Infine, il capitolo spostamenti. Come si organizzano? Ci sono zone più o meno colpite in Italia. Difficile che non si tenga in considerazione l'ipotesi di giocare in zone geografiche diverse da quelle abituali, spostandosi, eventualmente, nelle regioni meno invase dal virus.
Ipotesi e tempi per il ritorno
I presidenti dei club di A vorrebbero delle risposte, non solo sugli allenamenti, ma sulla ripresa. Capire se si possa tornare giocare, per poi potersi organizzare. Sappiamo che c'è una data limite - prosegue Luca Marchetti. Se si vuole giocare la Coppa Italia (mancano ancora le semifinali di ritorno e la finale), servirebbero quindici date disponibili. Ecco perché, in questo caso, si dovrebbe partire entro il 14 giugno (una domenica) per giocare ogni tre giorni. È possibile anche non disputare la Coppa Italia, a tal proposito la Uefa ha chiarito che i posti per l'Europa League potrebbero arrivare anche dal solo campionato. In questo scenario si potrebbe partire più tardi, entro il 20 di giugno. Il perché di queste date? Perché l'Uefa vuole avere, entro il 3 agosto, le qualificate alle coppe della stagione 2020-21. Si può sforare quella data? Sì, ma lo può decidere solo Uefa e non la FIGC. Per capirci: la Serie B può giocare anche fino al 31 agosto, la A - stando alle indicazioni di oggi - può chiudere non oltre il 3 agosto, perché poi inizierebbero Champions e Europa League".