L'allenatore parla a Vanity Fair del suo possibile ritorno in Italia: "Comincio a sentire il peso della distanza da genitori e amici. I napoletani conoscono l’amore che provo per loro, ma alla mia età faccio solo scelte professionali. Via la tuta? Se la società me lo imponesse, dovrei accettare"
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"Per noi italiani il richiamo di casa è forte. Senti che manca qualcosa. Non potrò allenare 20 anni, è l’anagrafe a dirlo. Quando torno a casa in Toscana mi sento un estraneo, negli ultimi anni ci avrò dormito trenta notti". Alle spalle la vittoria dell'Europa League con il Chelsea, all'orizzonte il ritorno in Italia, con vista sulla panchina della Juventus. Maurizio Sarri parla a Vanity Fair del suo presente e del suo futuro, in un'intervista che sarà nel numero in edicola da mercoledì 5 giugno ma della quale sono già stati anticipati degli estratti. "È stato un anno pesante – ammette l'allenatore cresciuto in Toscana ma di origini napoletane - comincio a sentire il peso degli amici lontani, dei genitori anziani che vedo di rado. Ma alla mia età faccio solo scelte professionali, la panchina è roba faticosa". Nel corso dell'intervista Sarri ha anche risposto ai tifosi del Napoli, che non lo vorrebbero vedere sulla panchina della Juventus: "L’ultima bandiera è stata Totti, in futuro ne avremo zero – replica l'allenatore - i napoletani conoscono l’amore che provo per loro, ho scelto l’estero l’anno scorso per non andare in una squadra italiana. La professione può portare ad altri percorsi, non cambierà il rapporto. Fedeltà è dare il 110% nel momento in cui ci sei. E se un giorno la società ti manda via? Che fai: resti fedele a una moglie da cui hai divorziato?". Secondo Sarri, inoltre, alla base delle tante novità registrate in panchina in queste settimane in Serie A c'è "l'estremizzazione del concetto di vittoria a ogni costo. Annebbia le menti dei tifosi e di alcuni dirigenti, ma non si può essere scontenti di un secondo posto".
"Se la società mi chiedesse di non usare più la tuta, lo farei"
In caso di ritorno in Italia, ma sulla panchina della Juventus, Maurizio Sarri allenerebbe un asso del calibro di Cristiano Ronaldo. Un aspetto che l'allenatore ha affrontato in termini generali, parlando della sua idea di fuoriclasse: "È quello a disposizione della squadra, altrimenti è solo un bravo giocatore. Siamo pieni di palleggiatori fenomenali, pure ai semafori. Il divertimento è contagioso se collettivo. Se ti diverti da solo, in 5 minuti arriva la noia. Esistono squadre medie di grandi giocatori o grandi squadre di giocatori medi. Io lavoro su questo". Curiosità sono riservate anche al look dell'allenatore, che è solito presentarsi in panchina in tuta ma che nel prepartita della finale di Europa League contro l'Arsenal aveva esibito giacca e cravatta. "Se la società mi imponesse di andar vestito in altro modo, dovrei accettare – è il pensiero di Sarri - a me fanno tenerezza i giovani colleghi del campionato Primavera che portano la cravatta su campi improponibili. Mi fanno tristezza". All'abbigliamento è legata anche una superstizione ormai alle spalle: "Ho smesso di vestire solo di nero. Mi è rimasta l’abitudine di non mettere piede in campo, dentro le linee dico, finché la partita non è finita". Caratteristiche che fanno parte del sarrismo, termine che la Treccani ha inserito tra i suoi neologismi. “Mio nipote mi fa leggere la pagina facebook Sarrismo e Rivoluzione. Si divertono, io sono anti-social, non ho nemmeno whatsapp. È un modo di giocare a calcio e basta – spiega Sarri - l’evoluzione è figlia delle sconfitte, non solo nel calcio. Io dopo una vittoria non so gioire. Chi vince, resta fermo nelle sue convinzioni. Una sconfitta mi segna dentro più a lungo, mi rende critico, mi sposta un passo avanti".