F2 e F3, un GP d'Italia a Monza nel ricordo di Anthoine Hubert

Formula 1

Lucio Rizzica

Weekend molto particolare a Monza tra festa e ricordo: la Formula 2 e la Formula 3, così come diversi piloti di F1, hanno reso omaggio ad Anthoine Hubert, morto a Spa la settimana prima in un tragico incidente 

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È stato un weekend plumbeo quello appena trascorso a Monza dalla Formula 2, ma anche dalla Formula 1 e dalla Formula 3 che, però, hanno respirato di certo un’aria un po' meno pesante di quella che si respirava fra i team della categoria cadetta. Ovunque si voltasse lo sguardo era presente il ricordo di Anthoine Hubert e del suo sorriso. Ovunque si volgesse lo sguardo, si avvertiva l’assenza in quel paddock del giovane pilota francese tragicamente morto in Belgio, a Spa, nella precedente settimana. Il bello e il brutto del motorsport hanno vissuto l’uno accanto all’altro. Il bello delle gare spettacolari, dell’entusiasmo, dell’agonismo, della gioia. Il brutto del pericolo, del rischio, del dolore, delle lacrime. Emozionante scorgere su tutti i telai delle monoposto in gara l’ultimo saluto ad Anthoine. Toccante vedere i piloti, Jean Todt, lo stato maggiore di Liberty Media ascoltare composti l’inno francese schierati sotto al podio, una volta ultimata la sobria e silenziosa premiazione di gara 1. Il giapponese Matsushita, vincitore della manche, teneva stretto in mano un cappellino di Hubert. Non meno struggente seguire i gesti di Jack Aitken al termine della gara 2. Il pilota londinese, a fine corsa, scendendo dalla sua Campos condotta alla vittoria e prima sotto la bandiera a scacchi, ha tirato fuori dall’abitacolo una specie di fazzoletto rosso, bianco e blu tutto stropicciato e sudato. Nel retro palco ha chiesto a King e De Vries, appena battuti, di non stappare lo champagne poco dopo la consegna dei trofei e l’inno britannico. Sul podio ha poi avvicinato la sua magnum a quelle degli avversari e i tre hanno fatto un brindisi semplice ma rispettosissimo. Nel silenzio generale si è sentito distintamente il rumore delle bottiglie che si sfioravano. Poi si è chinato, ha ripreso da terra quella specie di fazzoletto, ha quindi chiesto a King e De Vries di aiutarlo a dispiegarlo e senza dire parola i tre sono scomparsi dietro una grande bandiera francese. Fra due settimane, a Sochi, si respirerà un’altra aria, ci si dovrà abituare alle assenze di Hubert, che purtroppo non tornerà più, e di Correa, che lotta in un letto d’ospedale. Ma la vita e la carriera di ognuno andranno fatalmente avanti, voltando pagina. Eppure Hubert sarà sempre presente, non abbandonerà mai il suo paddock, i suoi amici, la sua squadra. C’era anche a Monza. Era lì, fra le nuvole e ha fatto qualcosa di più che un sorpasso o un testa coda. Ha guardato in basso e ha deciso che il suo sacrificio era bastato. Chiedete ad Alex Peroni se non c’è qualcosa di soprannaturale in quello spaventoso incidente che lo ha visto decollare, impennarsi in aria, salire fino a quindici metri da terra, avvitandosi ma continuando la propria corsa verso il perimetro del circuito. Quindici metri in alto, tre avvitamenti e mezzo, cinquanta metri in volo e poi lo schianto terribile, fragoroso, letale arrestatosi fra un muretto, un albero e una recinzione. A testa in giù. Alex è sceso con le sue gambe, frastornato e ammaccato da vivo. Mentre tutti tiravamo un sospiro di sollievo, fra le nuvole si è aperta una crepa e in fondo al grigio si è visto più in alto, lontano l’azzurro. Chissà, forse era Anthoine, felice che una nuova tragedia fosse stata evitata. Chiedetelo ad Alex se ha capito qualcosa di quell’incidente, della parabola mortale alla quale è scampato, della mano misteriosa che lo ha protetto e poi con una pacca sulla spalla lo ha rimandato a casa, inspiegabilmente e fortunatamente illeso. Ciao Anthoine. E grazie.