L'ingaggio di Jorge al posto di Pedrosa sembra celebrare un matrimonio strepitoso, che permetterà di formare una coppia da sogno nella MotoGP. Ma come in tutte le coppie non tutto potrebbe essere così perfetto come può sembrare
Altro che storie, il vero Royal Weeding è stato celebrato al Mugello. Lorenzo che abbraccia la Honda è più sorprendente, inaspettato e forse anche insperato del matrimonio tra il Principe Harry e Meghan Markle. Per noi almeno…
Solo poco più di due stagioni fa Lorenzo lasciò la Yamaha con la quale aveva vinto tre titoli mondiali per provare a vincere dove altri avevano fallito. Anzi, più nello specifico gli interessava riuscire dove Valentino Rossi in persona aveva fallito. Domenica scorsa, 24 gare dopo, Jorge ammette che la sfida è finita. Anzi, lo sceglie, facendolo nella maniera più paradossale che è quella di vincere la gara dell’anno, in casa Ducati, in casa Rossi, in casa Dovizioso, mettendoseli dietro entrambi. Potrà vincerne altre, ma la porta dietro di sé è chiusa. Se ne apre un’altra, da un’altra parte. La Ducati, le sue impuntature, le sue difficoltà e persino le sue meraviglie sono domate, ma in ritardo. È inutile cercare colpe, ormai. Lorenzo e Marquez insieme, dunque. Ecco, fanno qualcosa come 11 titoli mondiali e 130 gran premi vinti nelle tre classi. Si sono divisi gli ultimi sei titoli mondiali in MotoGP – quattro Marquez e due Lorenzo – e hanno vinto 66 degli ultimi 113 GP. Roba da far impallidire chiunque.
Due cannibali insomma. Ma con uno stile completamente diverso. Uno, Marquez, strapazza la moto piegandola, in tutti i sensi, al suo stile di guida spigoloso e vincente nelle traiettorie impossibili. Lui si spinge più in là; persino oltre il limite dell’angolo di piega, arrivando a brevettare la caduta/noncaduta. L’altro, Jorge, è il re della guida pulita, della curva in percorrenza. Uno che al corpo a corpo preferisce di gran lunga (quando può) la fuga solitaria. Uno frena forte e bruscamente, l’altro ha una staccata dolce e progressiva. Metterli sulla stessa moto potrebbe sembrare un azzardo. Si dice che i giapponesi, specie quelli della Honda, difficilmente facciano mosse non calcolate. Provare a imbarcare sulla RCV 213 V due stili opposti come quelli di Marc e Jorge significa aver messo nel conto di dover trovare una convergenza tra modi diversi di guidare e quindi di sviluppare la Honda che verrà. Non proprio banale quando il tuo pilota di punta si chiama Marc Marquez, non una mammola qualsiasi, sia in pista che al box. Un pilota che si è cucito la moto addosso e che difficilmente si lascerà imporre delle scelte secondo le necessità altrui.
Ma Marc e Jorge sono anche due poli opposti che si attraggono. Nel 2013 Marquez spiegò due cose di sé a Lorenzo, con un’entrata durissima e memorabile all’ormai famosa curva 13 di Jerez, conquistando punti poi decisivi per la conquista del suo primo titolo in MotoGP. Poli opposti che, a detta di alcuni, si attrassero anche troppo nella lotta al titolo del 2015 quando Jorge diventò campione all’ultima gara di Valencia, dopo gli scorni mondiali di Sepang tra Marquez e Valentino. Ci si può credere oppure no e il fatto di saperli insieme nel 2019 è già diventato un’occasione per speculazioni anche troppo becere. Nel motociclismo essere compagni di squadra non vuol dire nulla. I piloti sono numeri primi, divisibili solo per uno e per sé stessi. Del tutto interessati al sè e per nulla al compagno di box. Soprattutto se, come nel caso di Lorenzo e Marquez, le capacità e la posta in gioco sono quelli estremi: le vittorie e il mondiale. Certo la Honda ha in mano una scala reale che difficilmente sembra essere superabile. Sulla carta. Ecco, sulla carta pare la perfezione. Poi c’è l’imponderabile che ha due declinazioni.
La prima riguarda la guida. Lorenzo troverà nella Honda una moto facile? Aver guidato una Ducati, sempre sulla carta, in realtà dovrebbe agevolargli l’apprendimento di uno stile analogo come è quello che la Honda richiede. Si tratterà di nuovo di dover rinunciare alla propria scorrevolezza a vantaggio di curve spigolate. Ma ci sta che a questo punto Jorge abbia imparato. La seconda riguarda Marquez in persona. Pensare di batterlo dopo averlo visto cadere senza cadere, vincere in ogni condizione e su ogni pista, richiede una sicurezza nella guida, nella mente e nel box che non può avere cedimenti. L’esame di Rossi accanto lo ha già superato in passato, quello di Dovizioso vincente a pari moto lo ha un po’ frustrato. La convivenza con Marquez ci darà la risposta definitiva È in questa nuova avventura che sapremo realmente chi è Jorge Lorenzo. Un grande campione, o il più grande. Ma per saperlo, battere Marquez in una gara soltanto non basterà più