Non è la Thailandia a spostare gli equilibri per come li conosciamo. Marquez è il migliore, la Ducati con Dovi fa quasi l’impossibile e la Yamaha che è tornata a farsi vedere non ha risolto i suoi problemi, ma ha solo riscoperto la bravura dei propri piloti
Quando diciamo che Marquez ha spostato i confini di qualunque cosa, dagli atteggiamenti in pista (non sempre condivisibili da tutti), alla velocità, alla destrezza, non è solo una suggestione filosofica. Il sorpasso su Dovizioso alla curva cinque è folle ma calibrato sul limite preciso che passa tra il tirare una bomba in terra e generare una vittoria meritatissima e senza discussioni. Quando si aprono due vie opposte i fenomeni sono quelli che sanno far girare il destino e la moto sull’opzione buona, come una metafora della vita. Marquez viaggia sicuro verso il settimo titolo mondiale, ma è incredibile come Dovizioso non gli ceda niente. Il vecchio Dovizioso a cui badavano in pochi è diventato la bandiera del duello. Il motociclismo di adesso, che comporta gestione delle gomme e finali alla dinamite con largo uso di intelligenza, ha trovato un posto per lui che soffriva quando le corse si vincevano con il solo talento e zero pensieri sulla durata. Che non significa affatto che ora si vada piano, sarebbe ridicolo e da ignoranti pensarlo. Solo non si va più al centodieci per cento dall’inizio alla fine. Se la Ducati e la Honda siano sullo stesso piano lo scopriremo nel 2019 quando Lorenzo cambierà moto e allora vedremo se la Honda conosca anche una maniera pulita di farsi guidare. E intanto ci teniamo stretta questa Ducati che le situazioni ormai le gestisce quasi tutte, con un rammarico enorme per i tre zeri di inizio stagione senza i quali vivremmo un finale diverso. Se Vinales è tornato sul podio e Rossi è tornato quarto dopo essere stato in testa per qualche giro, non vuol dire invece che la crisi della Yamaha sia alle spalle. Un asfalto con l’aderenza elevata di quello della Thailandia non si trova spesso in calendario e maschera difficoltà che restano esattamente le stesse. Anzi, ci conferma che Vinales, Rossi e Zarco funzionerebbero ancora benissimo se solo avedssero una moto prevedibile e dal rendimento costante. Sarebbe gravissimo pensare che fino a qui siano i piloti ad aver amplificato le difficoltà tecniche per nascondere le loro debolezze, perdendo quello slancio verso il rinnovamento tecnico che dopo mille spinte inutili sembra finalmente avviato. La Thailandia ha portato soprattutto un po’ di morale, che non fa mai male, ma non la soluzione della mancata competitività. Anche il Giappone potrà essere una buona pista per la Yamaha, quindi anche il Giappone potrà essere ingannevole come le sirene. Tapparsi le orecchie e avanti, verso un progetto nuovo, che funzioni sempre, per andare a divertirsi in pianta stabile con i fenomeni che giocano per vincere.