Il mio giro del mondo in 58 circuiti: Monza
MotoGp ©GettyIl "viaggio" di Paolo Beltramo nei tracciati del motomondiale fa tappa a Monza, con Brookland e Indianapolis uno dei tre circuiti più antichi della storia. "Come entrare in una leggenda: quella sensazione che non ti lascia più fino a quando non sei sulla strada del ritorno a casa, la Villa Reale alle spalle così come il parco, un gioiello d'asfalto incastonato in quel verde centenario, quelle curve sopraelevate..."
Pensi ad un circuito, ad un Autodromo e ti viene subito in mente Monza. Quel tracciato brianzolo messo in mezzo ad un parco quasi a volerne essere ricco e anomalo contrasto, è uno dei 3 più antichi della storia delle gare a motore e possiede un fascino unico, assoluto. I suoi lunghi rettilinei con quei rombi assorbiti, mutati dagli alberi che circondano la pista, quelle ombre, quei flash di luce che filtrano tra gli alberi, i nomi di chi ci ha corso, di chi ci ha vinto, di chi ci ha perso non soltanto la gara, ma anche la vita aleggiano, echeggiano tra quei box, quelle tribune, su quell'asfalto che una volta era pietra, che ha fatto la storia anche prima della seconda guerra mondiale, che ha creato miti e leggende ancora in bianco e nero. Le moto mi mancano a Monza, una volta ci andavano, poi però si è capito che sono troppo alte le velocità media e di punta raggiungibili. Resta così, per noi delle moto, un tempio alla velocità e beato chi se lo può godere nella sua apparente facilità che rende ogni particolare determinante.
Il Tempio della Velocità
La prima volta che sono stato a Monza ero un bambino. Piccolo, 5 o 6 anni. Di quella volta ricordo una base di felicità pura, indefinibile, eccitata e una serie di rumori colorati che sfrecciavano davanti ai miei occhi attaccati alla rete in rettilineo, indefiniti e indefinibili, ma belli, forti, diversi. Perché io tornassi in quell'emozionante Tempio della velocità dovevano passare una ventina d'anni. Ricordo che entrando da Biassono, dopo aver girato a sinistra davanti alla Villa Reale per fiancheggiare il magnifico parco, già percepivi il karma di uno dei tre circuiti più antichi della storia (dopo Brookland nel Surrey, non più in uso e Indianapolis), un circuito velocissimo, fascinoso, pieno di storie che bastava fermarsi ad ascoltare per gioire, ridere, piangere, spaventarsi avere la pelle d'oca: curve come la parabolica, il curvone, le due di Lesmo, la variante Ascari... Come tutte le piste che hanno fatto, indirizzato, costruito la storia della velocità pure Monza ha preteso le sue vittime. Con le auto hanno finito per sempre la loro corsa, a Monza: Materassi, Ascari, von Trips, Rindt, Arcangeli, Campari, Peterson, tra i motociclisti basti citare Renzo Pasolini e Jarno Saarinen. Un tributo grande, esagerato quello preteso da Monza, ma la storia della velocità è così, fino a tutti gli anni '80 e anche un po’ oltre ci si aspettava che qualche incidente mortale potesse accadere durante una stagione di F1, Rally, Moto. È soltanto recentemente che la sicurezza di chi corre ha preso giustamente il sopravvento su tutto il resto, coi suoi innegabili vantaggi e con il suo prezzo altissimo pagato alla storia e alle tradizioni. Credo che quelli dei motori siano in assoluto gli sport che più sono cambiati nel corso della loro storia.
Un gioiello d'asfalto
Quella volta che ci sono tornato, però, erano ancora anni pericolosi dove a tutte le tensioni e sensazioni varie c'era forte e presente anche quella del rischio, del coraggio folle di chi correva. Era il 1977 e collaboravo con Repubblica, insistevo sempre per scrivere di corse, gare, motori. Qualche volta il capo dello sport di allora, Claudio Sabelli Fioretti, un precursore, uno che scriveva degli sciatori anche la marca degli sci, mi abbinò come "esperto" al mio amico Giovanni Cerruti che scriveva materialmente il pezzo, ma con le informazioni tecniche che in generale gli fornivo io. Fu così, girando in quegli anni per gare di motomondiale, 200 Miglia, Formula 1 e 2, campionato italiano moto che cominciai e conobbi altri colleghi, ebbi altre possibilità. Quei box ancora un po' antichi, quel paddock coi negozietti, le roulotte e i camioncini, quel cancello di ferro all'ingresso della pista posto alla fine della corsia box con sopra una sorta di barcone con ringhiera che era il podio, la stradina con gli uffici dei dirigenti, ti sentivi dentro un documentario. Dopo l'ingresso e il lungo rettilineo tra gli alberi del parco, quando giravi a destra per immetterti nel sottopassaggio che ti portava nel paddock vivevi una sensazione come di cambiare un po' mondo, di entrare in una leggenda, e quella sensazione non ti lasciava più fino a quando non eri già sulla strada del ritorno a casa, la Villa Reale alle spalle così come il parco, quel gioiello d'asfalto incastonato in quel verde centenario, quelle curve sopraelevate...
Monza forever
Poi a Monza ho vissuto anche emozioni vere in prima persona, non soltanto quelle indotte: ci ho provato (si fa per dire) la Cagiva 500 di Lucchinelli sulla Junior; ho fatto un paio di giri con Johnny Cecotto alla guida di un'Alfa pompatissima e ho partecipato come "navigatore" a 4 edizioni del Rally. Insomma, senza Monza, anche se le moto non ci corrono più da tempo, non esisterei come sono adesso. Sarei molto diverso e io sono invece felice di come la vita mi è andata, dietro alle corse a vederle e raccontarle. Che potevo volere di più?