Il mio giro del mondo in 58 circuiti: Salisburgo
MotoGp ©GettyIl "viaggio" di Paolo Beltramo nei tracciati del motomondiale fa tappa al Salzburgring, in Austria, dove Giacomo Agostini e Angel Nieto detengono il record di 6 vittorie. Un GP disputato fino al 1994: "Un circuito unico, affascinante e terribile"
Un circuito e un luogo indimenticabile perché per me fu il primo fuori Italia, nel 1979, la prima volta che seguivo davvero i miei eroi e in una pista che affascinava e respingeva allo stesso tempo: era bella e pericolosa, unica, strana. E lì c'è anche una città meravigliosa, magica, colta, seria e dolce, affascinante, la città di Mozart incastonata tra il verde e vicina a quella follia di asfalto che tutto sembrava tranne il frutto di una mente razionale ed educata, realizzata da un popolo che amava il valzer e i festival di musica classica. Era il Salzburgring, unico, affascinante e terribile.
Salzburgring: dove tutto cominciò
Nell'inverno del 1978 ero riuscito a scrivere un'intervista a Virginio Ferrari su Repubblica. Il pilota che viveva a Milano aveva vinto l'ultima gara stagionale al vecchio Nurburgring ed era stato in Giappone a provare la nuova Suzuki 500 ufficiale con la quale avrebbe corso nel 1979 col Team Gallina. All'appuntamento per l'intervista Virginio (un vero signore, una persona pulita, integra) si presenta con un suo amico fotografo, Franco Varisco (altra persona fondamentale per i miei inizi, un grande). L'intervista va, il pasto naturalmente lo offre il Virgi, ci scambiamo i numeri di telefono (quelli di casa) e la chiacchierata viene pure pubblicata. Tutto bene, anche se sembra finire lì. Passa Natale, capodanno, passa anche il GP del Venezuela del 18 marzo, poi verso fine aprile mi chiama Varisco: "Ti piacerebbe venire a Salisburgo a vedere il Gran Premio?", mi chiede. Ovviamente sono entusiasta, ma chiedo come ci andremo: "Con Virginio, in macchina, ha rotto la Stratos e va su con la Land Cruiser quindi ci dà un passaggio se vogliamo". Cavolo! Ok, ma dove dormiamo? "Ci presta lui una tenda. Basta che porti un sacco a pelo e un po' di ricambi”. Come posso rinunciare, dire di no? Impossibile, perciò mi metto d'accordo con Motociclismo e Repubblica con cui collaboravo, faccio fare l'accredito via fax e partiamo. Il viaggio è lungo e divertente, ci conosciamo meglio, ridiamo, scherziamo. Io imparo un sacco di cose, aneddoti, racconti e mi innamoro sempre di più di quel mondo lì. Il GP d'Austria è in programma per il 29 aprile, noi arriviamo il 24 o 25, non ricordo bene. Piantiamo la tenda gialla a igloo proprio dentro il paddock, davanti al pullman del Team Gallina, ci buttiamo la nostra roba e inizio la mia avventura che è diventata la mia vita e mai avrei immaginato sarebbe stata così lunga, bella e fortunata.
Il fascino della follia
Al circuito si arrivava scendendo da un tornante, imboccando una stradina che scendeva tra gli alberi, passava sotto il ponte formato dalla strada che arrivava da Salisburgo e poi finiva in un cancello che ti immetteva nel paddock attraversando un altro sottopassaggio, questo sotto la pista, sotto il curvone di ritorno. Lì la valle si allargava un po', c'era una specie di baitona che faceva da ristorante, birreria, punto di ristoro e poi era una distesa di roulotte, camioncini, tende che fungevano da officina, box, punto di riferimento delle squadre e poi c’era qualche motor-home dei grandi, tipo Roberts, Sheene, Ceccotto. Il team Gallina aveva un pullman dove dormivano e mangiavano i componenti della squadra. C'era anche qualche camper, qualche tenda da campeggio come la nostra.
Niente di più semplice. I box erano un muretto con sopra una tettoia che venivano utilizzati a turno dai piloti di ogni categoria: i meccanici spingevano in salita (all'andata) i carrellini coi ferri, i getti, due gomme di scorta, gli ombrelli, i cronometri, i cartelloni neri sui quali scrivevano col gesso il tempo del giro precedente. Il circuito invece era un insieme, un misto di fascino e terrore, di bellezza e pericolo. Forse era proprio quello il suo meglio: essere pericoloso, veloce, ma unico, inimitabile. Si girava in senso orario e dopo il curvone in discesa di ritorno c’era una variante che immetteva sul rettilineo d’arrivo che andava fino alla fine lungo una stretta valle costeggiano un fiumiciattolo. In fondo c'era un'altra variante stretta con il cordolo fatto di sanpietrini e poi si tornava, salendo verso la costa della valle seguendo le variazioni della montagna. A destra il guard-rail e poi la scarpata, a sinistra la montagna, qualche balla di paglia, un po' di guard-rail pure lì, ma non troppo. Insomma una follia, ma una follia ancora normale, naturale in quegli anni che stavano vivendo insieme l'antico motociclismo da circuito stradale e quello che stava iniziando con sempre più riguardo per la sicurezza. A Salisburgo, comunque, si è corso fino al 1994. Il che dimostra quanto alla fine fosse difficile cadere dove era pericoloso davvero (una sorta di spirito di autoconservazione dei piloti) e il fascino che aveva quella follia.
Che tempi!
Quell'anno correvano 50; 125; 250; 350; 500 e sidecars, era un continuo andirivieni tra paddock e box, la sala stampa era all'esterno della pista, di fronte ai meccanici ed era una casetta con 2 telefoni attaccati al muro. I tempi te li davano anche alle dieci di sera ed erano fotocopie di fogli scritti a mano. Tutti scrivevano con macchine portatili tipo la Lettera 22 e la sala stampa sembra un campo di battaglia, c'era quasi più rumore che in pista quando giravano le moto. I servizi si telefonavano con chiamata a carico del ricevente (le famose "R") e al giornale c'erano i dimafonisti, degli stenografi che battevano quello che tu dettavi nella cornetta facendo lo spelling di ogni nome o cognome e modificando il testo mentre lo leggevi visto che con le macchine le correzioni erano impossibili. Quell'anno faceva un freddo boia e il sabato notte pioveva a dirotto. Io e Varisco dormivamo insieme nella tenda infilati completamente vestiti in sacchi a pelo doppi (a me il secondo lo aveva prestato Gianni Pellettier, un pilota romano). Eravamo bagnati e infreddoliti, quando - erano più o meno le 4, 4.30 di notte - Franco mi fa: "Oh, senti, non piove più". Era vero: quando ho aperto la tenda infatti nevicava... Siamo usciti e siamo andati sotto la tettoia a saltellare per scaldarci fino all'apertura che era alle 7. Ma non importava, era bello, fantastico essere lì. Vedere il paddock che dormiva aspettando le gare. Per la cronaca vinse Roberts davanti a Ferrari, e quell'anno fu un lungo duello tra di loro. L'anno successivo, il 1980 a Salisburgo non si è corso per neve: ne era caduta più di un metro nella notte di sabato.
Il "Continental Circus"
Salisburgo col tempo divenne per me e alcuni amici una delle tappe più divertenti per via di alcuni luoghi di divertimento notturni che in Italia mancavano e per le belle cene in ristoranti tipici. Ma dormire in albergo, frequentare night-club e mangiare al ristorante, non mi ha mai emozionato come quella prima volta in tenda, viaggiando, dormendo e mangiando praticamente a scrocco. Allora il paddock era così, in molti ti aiutavano, ti facevano dormire nel camion, ti invitavano a cena, ti davano un passaggio da e per casa. Era il "Continental Circus" dove la mamma di Sheene ti offriva i biscotti fatti da lei, la Paola futura moglie di Lucchinelli ti diceva che erano avanzati degli spaghetti se ne volevi, mentre ne metteva di più apposta, il team Gallina, Agostini, Matteoni, Pileri, Uncini e via ti invitavano a cena. Era un luogo fantastico che viaggiava con te e la tua passione.