MotoGP, Alessio Salucci: "Io e Valentino Rossi, un'amicizia nata nei passeggini"

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Paolo Beltramo

Paolo Beltramo

©Motorsport.com

Dopo aver assistito l'amico Rossi durante la sua lunga carriera, Alessio 'Uccio' Salucci ha proseguito la sua attività come team director Mooney VR46: "Io e Vale abbiamo cominciato a frequentarci nei passeggini, è stato difficile non averlo più al box, ma sul piano lavorativo mi sono sentito realizzato - racconta a Sky -. Prima mi chiamavano parassita di Rossi, adesso invece la gente mi fa i complimenti, perché dice che anche senza Valentino siamo riusciti a mantenere un po’ di lui in MotoGP: adesso Vale siamo noi"

Dopo una quarantina d’anni è finalmente uscito dall’ombra di quel vento veloce che lo ha accompagnato praticamente per tutta la sua vita. Una vita scelta per amicizia, affinità, passione comune, con naturalezza, d’istinto. Insieme fin dall’asilo (oggi scuola materna), poi alle medie, all’oratorio, alle garette da bambini, a quelle più serie, all’Europeo, al Mondiale in 125, 250, 500 e MotoGP, più avanti anche fuori dalle gare, nelle iniziative che la grande ombra, crescendo, diventando uomo, maturando, prendeva al di fuori delle corse, anche se alle corse naturalmente legate. Insomma avrete capito di chi stiamo parlando: sì, proprio di Alessio "Uccio" Salucci che nella stagione passata e in questa è uscito dall’ombra andando a sua volta sotto i riflettori come boss del team Mooney VR46, con il quale corrono su Ducati, Luca "Maro" Marini (a proposito auguri per il matrimonio) e Marco "The Bez" Bezzecchi. Che dire, non si può che considerare molto positivamente il lavoro che tutta la squadra ha fatto e i risultati ottenuti. Quindi, secondo me, un’intervista Uccio se la meritava: dopo tanti anni passati a essere considerato da molti "l’amico di Valentino Rossi" e niente di più, ha dimostrato di non essere stato un nullafacente fortunato, ma soprattutto di essere uno che negli oltre 20 anni di corse ha imparato tanto e bene. Ecco cosa ci ha detto.

Ciao Uccio, per prima cosa ti chiedo se sei felice, se la tua vita va nel senso giusto

"Intanto scusa se ci siamo sentiti in ritardo, ma ero andato a comprare il vestito per il matrimonio di Marini che sarà proprio oggi pomeriggio. Ti confesso che mi ero dimenticato dell’intervista…"

 

No problem, siamo qui lo stesso

"Sì, sono felice. Ho una moglie che è la ragazza che ho da 15 anni, siamo sposati da 4 e abbiamo una bimba che ne ha 11. Tutto perfetto, credo che la stabilità affettiva sia importantissima, che ci voglia quando sei sempre in giro per il mondo come me. Ti dà equilibrio, ti consente di andare alle gare con tranquillità, concentrato su quello che devi fare e quando sono là penso a casa e mi rilasso pensando alla mia famiglia. A ma la stabilità familiare aiuta molto, anche perché quando sei via hai delle responsabilità importanti e avere dei problemi a casa non fa bene al lavoro"

 

Torniamo indietro. Tu e Valentino quando vi siete conosciuti? Siete entrambi del 1979

"Credo che avessimo uno o due anni. Mio padre e Graziano si conoscevano e quindi abbiamo cominciato a frequentarci nei passeggini. Poi Tavullia non è grande e ha un solo asilo, quindi essendo nati nello stesso anno siamo andati nell’unico asilo che c’era. Eravamo in classe insieme e da lì è nata un’amicizia"

 

Conoscendo un po’ la vostra storia, ti ho considerato sempre come un "fratello" di vita di Valentino

"Ci vedevamo moltissimo, spesso io ero a casa sua o lui a casa mia. Adesso mi rivedo in mia figlia che ha un’amica che si chiama Giulia e sono sempre insieme: il migliore degli amici"

Alessio Salucci con Valentino Rossi a Valencia nel 2008 - ©LaPresse

Tu hai cominciato a correre da bambino?

"Non ho corso a 4 anni perché Valentino allora correva nei kart. Ma a 9 anni ho fatto anch'io delle gare. Mi ricordo che ci portava Stefania, la mamma di Vale. Andavamo insieme, anche lontano. La Stefi era fantastica, ci portava ovunque. Mi ricordo che a 6-7 anni Vale era velocissimo con le macchine, già allora. Vale da giovane era più appassionato di F1 che di moto, ricordo che alle medie disegnava dei gran caschi dei piloti di F1 nel diario durante le lezioni. Me li faceva vedere: il casco di Prost, di Senna, soprattutto gli piaceva Mansell, era un suo tifoso. Quando disegnava il casco di Nigel ci teneva tantissimo, voleva farlo bene"

 

Mi ricordo infatti quando a 12-13 anni venivate alle gare...

"Allora tu per me eri un idolo!"

 

Guarda te come cambiano le cose… A me molte volte dicevano di Uccio cose non belle… E io rispondevo che tu per Vale eri e sei come un fratello, la persona che non lo tradirà mai, una cosa sempre più importante con il progredire della carriera e l’aumento della popolarità e dei guadagni

"Le cose poi possono cambiare senza che te ne rendi conto. Noi venivamo da un paese, con l’aumentare della popolarità era facile cambiare un po’ strada, vai nelle grandi città, ti devi spostare a Milano, a Roma… Conosci un sacco di gente, anche famosa e sei un po’ attirato. Noi però abbiamo capito sempre che il nostro obiettivo era di tornare a casa, di tornare con i nostri amici, che la nostra vita era in giro, ma casa era Tavullia. In quegli anni ho capito che saremmo rimasti sempre noi, senza trasferirci, senza cambiare gente"

 

La storia di Londra la dice lunga. Senza entrare nel merito della questione (non è questo il luogo, ndr), però allora era legale che uno straniero prendesse la residenza in Inghilterra e pagasse le tasse soltanto sul reddito fatto là. Il resto non veniva tassato. Però si doveva risiedere in Inghilterra quando non impegnati nelle corse

"Eh sì, quella volta è stato un po’ un patatrac, si doveva stare là troppo e invece si voleva stare a Tavullia"

 

Come hai vissuto quel ruolo tra di voi? Le cose brutte che molti dicevano su di te, tipo il lecchino, lo schiavetto…

"Se ci ripenso adesso devo dire che allora avevo 19 anni e mi rompevano le scatole persone più adulte di me e non la prendevo bene, mi dava fastidio. Poi però crescendo, già a 23-24 anni mi sono chiesto se facevo qualcosa di male e mi sono risposto che invece facevo soltanto onestamente il mio per Vale e per questo sport. Quindi riuscivo a ragionare con la mia testa e ho continuato a fare il mio lavoro guidando il motorhome di Vale, tenendogli a posto tutto, aiutandolo con gli appuntamenti in pista e a casa, dandogli anche qualche consiglio. Mi divertivo. Parlandoci chiaro: gli 'Uccio' c’erano anche prima di me. C’era 'l’Uccio' di Biaggi, quello di Schwantz, di molti piloti. Essendo io con Valentino sono diventato più famoso. Mi stava sui maroni che molti dicessero: 'parassita, leccac...o di Vale' invece gli altri erano l’assistente. Perché non potevo esserlo anch’io? No io ero una…."

 

Al massimo si poteva dire che eri fortunato ad essere amico di Valentino Rossi

"Che io sia una persona fortunata l’ho sempre capito fin dalla tenera età, da ragazzo e questo è stato un mio punto di forza. Però se una volta arrivati alle gare io non avessi lavorato bene, non avessi fatto le cose come dovevo sarei rimasto a casa immediatamente. Se quando arrivava Vale avesse trovato il motorhome sporco e con le cose non al loro posto o glielo avessi buttato in un fosso non sarei rimasto. Come gli altri, insomma. Io alla fine io mi sono divertito sempre e abbiamo fatto il bene di Vale e di questo sport. E poi c’è da dire che abbiamo dato da lavorare a un sacco di gente. Io sono stato il primo dipendente, adesso siamo quasi in 100, anzi 98 o 99 credo"

Valentino Rossi con Alessio Salucci nel gennaio 2011 a Madonna di Campiglio, in occasione della presentazione Ducati - ©Ansa

L’hai capito da quando disegnava i caschi in classe sul diario, ma le auto per Vale sono sempre state e sono rimaste importanti: Rally di Monza, i test sulla Ferrari, adesso il GTWC Europe...

"All’inizio, quando capivamo qualcosa, avevamo sei-sette anni, Graziano aveva già smesso di correre in moto, correva in auto e noi andavamo spesso a casa sua, era bella e con tanto spazio. Sapevamo che Graziano era un ex pilota di moto, ma là allora si respirava più aria di macchine, vedevamo delle auto. Il 'Grazia' ci portava a fare i test con lui, ricordo che siamo stati a Misano, a Vallelunga e andavamo in macchina con lui. Allora guidava un’Alfa 75 GT. Quindi all’inizio Vale tendeva più verso le 4 ruote"

 

Anche i traversi…

"Vale è più uno da cronometro che da drifting, Graziano si è stancato dei cronometri e si diverte di più coi traversi"

 

Anche tu però qualche gara l’hai fatta in auto

"Sì, tipo 5 o 6 Rally di Monza, Abu Dhabi con Luca Marini e Vale e abbiamo vinto. Mi sono divertito"

 

Beh, non vai proprio piano allora

"Per la mia categoria, che è quella dei gentleman, sono abbastanza veloce, diciamo che non sono male"

 

Ci sono stati dei momenti, delle situazioni, degli avvenimenti che vi hanno unito di più o fatto arrabbiare particolarmente?

"Quando vivi insieme certe emozioni, belle o brutte, per così tanti anni insieme ti unisci per forza. Molte volte alle gare dicevo: 'Guarda, qui secondo me abbiamo sbagliato, sarebbe stato meglio fare così' e la volta dopo vedevo dalla tv che lo faceva. Queste sono cose che ti danno forza e sicurezza, l’hanno data sia a me che a lui. Mi legava molto vedere che spesso mi ascoltava. Fuori dai GP mi ricordo che appoggiavamo le valige nelle nostre case e dopo due minuti ci sentivamo già per telefono. Mia mamma mi diceva che dopo essere stato con lui una settimana potevo anche stare un po’ con lei, ma io invece uscivo e ci vedevamo al bar, a casa sua"

 

Per la vostra amicizia è stato importante anche il fan club, giusto?

"Certo, mio padre e Flavia Frattesi hanno avuto il loro peso perché a Vale avere intorno a sé la gente di Tavullia anche alle gare lo faceva sentire più sereno. Le gag, le scenette, sono sempre state delle cose sceme, ma non del tutto. Aiutavano Vale a rilassarsi, perché ricordiamoci che era molto giovane quando cominciava a vincere i primi Mondiali. Era una situazione tosta, soprattutto nei primi anni della 500 e della MotoGP, quando lui era già una superstar, ma aveva soltanto 22-23 anni e riportare anche nei circuiti l’atmosfera di Tavullia, la serenità di casa lo faceva stare bene. Mi chiedeva sempre prima di andare a dormire se le scenette erano preparate, se ognuno sapesse quale fosse il suo posto, se fossero arrivate le magliette commemorative… E io gli dicevo di stare tranquillo, di andare a dormire che l’indomani ci saremmo giocati il Mondiale. Era sempre molto attento a questi particolari"

 

Insomma, facevate in modo che si potesse preoccupare soltanto della gara

"Sì, ma anche tu lo conosci, sai che è un perfezionista e quindi ci riempiva di domande ugualmente… Rientrava ai box e ancora con il casco in testa mi guardava e se mi vedeva sereno capiva che era tutto a posto"

 

Le scenette sono cambiate col passare degli anni e la maturità che arrivava con il tempo. Sono state una specie di racconto di una crescita personale e di gruppo

"Certo, dalla bambola gonfiabile del Mugello ai birilli, è normale e importante perché prendersi in giro, giocare quando hai trent’anni è diverso da quando lo fai a 17. Però il concetto è sempre lo stesso, di essere sempre un po’ scemi, di ironizzare, scherzare"

Nel 2007 Valentino Rossi è protagonista di uno strike con dei birilli umani dopo la vittoria a Jerez

In quello che avete fatto quanto c’è di istinto e quanto di ragionamento?

"Direi 70% contro 30%. Il 30% di ragionamento, ragionamento poco. Mi ricordo che facevamo sempre una riunione tutti insieme al Fan Club per studiare le gag. Le idee erano sempre di mio babbo o di Flavio Frattesi, eravamo preoccupati perché erano veramente due scemi e allora abbiamo deciso che fosse meglio vederci per parlarne, per farci spiegare cosa volevano fare, in pratica eravamo noi piccoli a dover tenere a bada i grandi… Pensa te. In quelle riunioni ci presentavano le gag e non erano ragionate. Erano sempre una peggiore dell’altra. Io e Vale ridevamo da matti tipo quella dei birilli: ce ne presentavano 2 o 3 e noi sceglievamo la meno stupida… Pensa te"

 

Nella carriera invece c’è stato più ragionamento che istinto, credo...

"In generale direi di sì, ma per esempio quando nel 2004 siamo andati alla Yamaha c’è stata una grande preponderanza di istinto, se avessimo seguito il ragionamento non ci saremmo andati, perché lasciare una moto vincente come la Honda per andare su una moto non vincente come la Yamaha dell’epoca era una cosa da pazzi"

 

Tra l’altro quella del 2002 era una moto a carburatori…

"Sì una R1 di adesso, ma neanche… Quella volta non ci trovavamo più bene e abbiamo deciso di andare via, ma molto di petto. Per come eravamo noi, giocosi, espansivi, allegri non ci sentivamo a nostro agio e siamo andati via. Ne abbiamo parlato proprio poco tempo fa in vacanza, quando abbiamo passato qualche giorno insieme. E mi ha detto: 'Soltanto due scemi come io e te potevano mollare la Honda per andare alla Yamaha', ci pensiamo ancora ogni tanto"

 

È vero, ma è anche vero il 'Pensa se non ci avessimo provato' detto dopo. Ma immagina al momento 'pensa provarci'

"Io in quel momento ho spinto come una bestia per andare alla Yamaha, perché sapevo che se Vale non si fosse divertito più, poi sarebbero venuti fuori dei grossi problemi. Nel senso che come in Sudafrica che abbiamo perso contro Ukawa, iniziavamo a non avere più il giusto feeling, la concentrazione, l’approccio giusto e se arrivi alle gare così anche se sei il più forte gli altri ti battono, stavamo prendendo quella strada lì: andavamo più piano e non avevamo più quella grande voglia di andare alle gare. Quindi era ora di cambiare aria e devo dire che Davide Brivio, insieme a Lin Jarvis e Furuzawua, hanno fatto un’opera di convincimento perfetta, ma non insistente, direi elegante e poi è andata bene. Fortunatamente abbiamo avuto ragione a cambiare aria. Ma mi ricordo la prima volta che abbiamo visto la Yamaha da vicino nella notte di Donington nel 2003 quando ci avevano lasciato la porta del box aperta a mezzanotte e io e Vale eravamo partiti dal motorhome tipo due agenti segreti: felpe nere, attenzione. Quando abbiamo aperto la porta dentro c’erano tutti i boss della Yamaha. Davide, Nakashima e c’era la moto di Checa. Quando l’ho vista sono rimasto a bocca aperta, ma perché era una moto bruttissima, fatta male, piena di cavi in giro, molto grezza. Noi che invece eravamo abituati a vedere tutti i giorni la Honda, che invece era un capolavoro della tecnologia. Ricordo che Vale mi ha guardato e ha fatto un’espressione come dire diobò… Hai visto che moto è? E io ho abbassato la testa come dire che ne avremmo parlato dopo. Quando siamo entrati nel motorhome mi ha detto: 'Ca..o Uccio, mi sembra indietro di 10 anni rispetto alla nostra", io gli ho detto che quello non faceva differenza, faceva la differenza tutto il resto e che la moto sarebbe cresciuta in fretta con gente come lui, Brivio e Furuzawa. Ho mantenuto la mia posizione anche perché oramai… Quando ripenso a queste cose, perché ogni tanto mi ricapita, penso che noi eravamo giovani oh! Avevamo 24 anni…Siamo stati tosti quella volta"

 

Direi di sì, ma anche mentalmente tosti

"La Honda allora ci aveva vietato di provare la moto prima dell’inizio del 2004. Gli altri però giravano, a Jerez, in Malesia e noi eravamo a casa a vedere Biaggi, che era passato alla Honda e gli altri che facevano tempi velocissimi, record… E noi a Tavullia che sapevamo che era una moto poco competitiva e non potevamo girare. Novembre e dicembre 2003 sono stati veramente due mesi di m….. In Malesia, poi, quando finalmente l’abbiamo provata nel box c’erano 50 persone, un sacco di ingegneri. Vale ha fatto i primi 5 o 6 giri e quando è rientrato nel box, si è seduto e ancora con il casco in testa mi ha guardato e mi ha detto 'oh, si può fare'. C’era un sacco di gente, telecamere, giapponesi e io mi sono emozionato e ho pensato che avremmo potuto divertirci davvero, ho ancora la pelle d’oca. Devo dire che la Yamaha è stato non di parola, di più: praticamente nel 2004 hanno fatto la moto del 2005, era un aereo probabilmente al livello della Honda se non addirittura meglio. Furuzawa aveva preso due motoristi della Toyota come ci aveva detto Brivio. Avevano mantenuto tutto quello che ci avevano detto che avrebbero fatto. La moto del 2006 era si può dire molto simile a quella di adesso"

 

A proposito di Honda, come ti spieghi la loro situazione di adesso?

"Ogni volta che ci sono dei test io passo davanti al loro box e butto un’occhiata e vedo per terra quattro o cinque telai, quattro o cinque forcelloni, danno l’idea di brancolare nel buio. Quando ci sono situazioni così è difficile. Secondo me loro hanno, anche giustamente, seguito le indicazioni di Marquez. Ma adesso Marc è in difficoltà e se non la guida neanche più lui, pensa gli altri. Secondo me Marquez è stato anche molto egoista, nel senso che quando capiva che una cosa avrebbe potuto aiutare anche gli altri piloti Honda, lui la bocciava, tanto lui la guidava. Questo è la mia opinione, ecco. Poi non so, ma torneranno presto"

Alessio Salucci aiuta Valentino Rossi con la tuta ai tempi della Yamaha (stagione 2008) - ©Motorsport.com

Detto così: ti sta più sulle palle Marc Marquez o Max Biaggi?

"Non è paragonabile la cosa. Biaggi mi è stato antipatico, ma nelle cose belle, anche quando ci ha dato la paga, perché ce l’ha data un bel po’ di volte, ma adesso ricordo tutto con simpatia perché è un cagnaccio, come Vale, uno che vuole vincere, a parte qualche sportellata, sempre in maniera corretta. L’altro invece non è stato corretto, parliamo quindi di due cose completamente diverse"

 

Una cosa che mi ha sempre colpito di Vale è la sua capacità di essere sempre (a parte qualche rarissima occasione) a proprio agio in qualsiasi occasione. Con voi era più scanzonato, a cena all’hospitality un po’ meno, da Mattarella perfetto anche se con le scarpe da tennis sotto il frac. Segno di intelligenza

"Sì, lui quando andava alle gare cambiava mood: era sempre scherzoso, però perfezionista, uno che ha sempre cercato il pelo in ogni questione. Alla tua domanda non so rispondere bene, ma sì direi un figo…"

 

Ecco, questo suo perfezionismo, questa sua conoscenza così profonda della Yamaha, alla fine non credi che possa essere diventato, alla fine, un po’ un limite?

"Sì, assolutamente. Anche l’età conta. Conosci così bene la moto che sai, percepisci, quando non è a posto e magari non spingi al massimo. Questa cosa sicuramente non l’ha aiutato. Poi con la MotoGP di oggi è difficile. Nel 2004 con la Yamaha che non vinceva da 12 anni, dai tempi di Rainey e che l’anno prima sembrava un cancello abbiamo vinto. Poi nel 2015/16/17, quando la Yamaha iniziava ad avere problemi sempre più evidenti, lui si focalizzava troppo su questi aspetti negativi. Nel 2004  non l’ha fatto, dopo sì, però è una cosa naturale della vita: conosci il mezzo, sei grande magari, non hai più voglia di prenderti quel rischio che prendevi prima. Magari ha pensato un po’ troppo alla parte tecnica, ma andare forte con quella moto lì era monto difficile. Poi, a parte il titolo di Quartararo, si vede, basta guardarla in pista, che i problemi della Yamaha sono sempre gli stessi di quando c’eravamo noi"

 

Cambiamo discorso. Parliamo dell’Academy VR46. È iniziata con Marco Simoncelli nel 2006-2007 condividendo la palestra a Pesaro e l’allenatore Carlo Casabianca. Poi è cresciuta moltissimo, diventando una delle migliori strutture del mondo, l’unica alternativa - per ora - al sistema spagnolo che è molto più grande, ha sponsor importantissimi da sempre, campionati, squadre e Dorna. Come avete fatto voi?

"Che sia una delle migliori strutture del mondo non lo so, lo dici tu, penso di sì, ma non sono cosi presuntuoso da affermarlo. Ho guardato molto in giro e in effetti nello sport non credo esista qualcosa come l’Academy. C’era anni fa qualcosa di simile per i Rally, ma poi è finita. Con l’Academy è andata che prima sono arrivati i piloti e poi è nata la struttura. Da come è partita abbiamo subito capito che c’era del potenziale. I piloti venivano volentieri e così un giorno Vale ci ha chiamati in barca, mi ricordo e ci ha detto di avere un’idea. Eravamo io, Albi (Alberto Tebaldi) e Carlo Casabianca. Mi sono chiesto cosa volesse, cosa stesse bollendo in pentola. Era l’estate del 2013, e ci ha detto che voleva aiutare quei ragazzi in maniera più professionale, vorrei fondare la mia Academy. Ci ha chiesto se avessimo voglia di lavorare a questo progetto 'senza prendere uno stipendio', lo ricorderò sempre. Noi comunque prendevamo già altri stipendi dalle altre situazioni che avevamo con lui, ma questa per funzionare bisognava che invece di guadagnare reinvestissimo almeno il 10% nell’Academy, appunto per aiutare i giovani che sarebbero arrivati. Abbiamo detto che era una gran figata, tutti, io Albi e Carlo. Siamo partiti subito, abbiamo cominciato a strutturarci. Io ho preso una ragazza che mi aiutava, diciamo una pseudo-segretaria, Barbara, che è il mio angelo custode anche adesso. Insomma siamo partiti e dieci anni dopo eccoci qua"

 

Ha una bella storia l'Academy...

"Sì, perché sapevano che Vale si allenava in quella palestra di Pesaro dove lavorava Carlo e venivano lì. Il primo è stato il Sic. È con lui che a Vale si è accesa la lampadina: lo aiutiamo questo ragazzo o no? E mi ricordo nel 2007-2008 quando si era separato da Rossano Brazzi, gli avevano tolto la moto ufficiale (poi ridata a metà stagione Mondiale nel 2008). In quei giorni Vale si chiedeva parlando con me e Carlo fino a dove ci si dovesse spingere a rivelare i nostri segreti, i nostri metodi, la nostra preparazione sia fisica, sia mentale che facevamo a casa da anni. Ricordo che con Simoncelli, Vale si era veramente aperto tanto… Rivelandogli un sacco di 'segreti' e io, lo ammetto e me ne vergogno un po’, all’inizio non ero d’accordo. Gli dicevo che questo era forte, che se fosse andato avanti così dopo un paio d’anni ce lo saremmo ritrovato tra le palle… Purtroppo è successo quello che è successo, ma avevo ragione, il Sic era forte ed era lì, ci faceva il c… Noi avevamo la Ducati in crisi, ma lui sarebbe stato difficile da battere anche a pari moto, era in una fase di crescita vera… Beh dopo tutta quella storia lì ci siamo appunto seduti insieme nel 2013, dopo che era passato un po’ di tempo, Vale ha deciso di mettersi a disposizione dei giovani. C’erano Franco Morbidelli, Niccolò Antonelli, Migno, Luca Marini che già venivano in palestra a Pesaro per vedere Vale. A volte avevano bisogno di qualcosa: Uccio rimedia una tuta per Migno, ooppure trova un casco per Franco… Era un po’ una cosa da bar. Poi abbiamo deciso di impegnarci seriamente”

 

Aveva già comprato il Ranch, perché prima, ai tempi del Sic, di Sanchini e compagnia c’era la cava...

“Sì, il Ranch era già suo, già funzionante anche se non ancora come adesso. Dopo la cava abbiamo capito che serviva il Ranch, Carlo è venuto lì a fare gli allenamenti e abbiamo fatto un po’ come una squadra di calcio: tutto quello che serviva era lì. Allenamento, scuola d’inglese, avvocato, commercialista, nutrizionista: tutto quello che aveva Vale l’abbiamo dato anche ai ragazzi, che formano anche un gran gruppo. Tutto tranne il mental coach, che era Vale a farlo. Un gran lavoro: abbiamo preso le moto, Yamaha, 10 moto da cross, 10 da ranch, 10 R6, 10 R1, staff di meccanici a casa per tenere in ordine le moto. Adesso siamo in 20 come staff dell’Academy"

 

In quegli anni eri tu il boss

"Sì, allora ero io, poi, nel 2021, parlavamo di fare il team con Sky ed ero il manager di Vietti, Migno, Bezzecchi e Marini. Troppo, non sapevo come fare a dare il resto… Ero veramente in difficoltà, perché avevo troppe cose da fare e soprattutto non mi piaceva l’dea di fare il responsabile del team ed essere allo stesso tempo il manager dei piloti. Era una cosa che avrebbe potuto anche andare bene, ma al massimo fino alla Moto2. Noi vogliamo e dobbiamo crescere e io quando andavo a letto non mi sentivo di aver fatto un lavoro al meglio per tutti, perché è difficile giocare al meglio con due maglie. Non era così facile, i ragazzi si fidavano di noi, stavamo crescendo. Così ci siamo seduti a un tavolino e ci siamo divisi i ruoli, finalmente direi, perché è una cosa che ha migliorato tutto in un momento delicato. Quest’anno abbiamo fatto un altro step proprio perché io seguo soltanto il team e Carlo segue soltanto l’Academy. Naturalmente lavoriamo sempre per una persona, stiamo insieme, condividiamo tutto eccetera, però ognuno fa il suo. Carlo, che è bravissimo e in questi anni è cresciuto molto sia a livello di preparazione fisica, ma anche manageriale. Così Vale a lui ha dato la responsabilità dell’Academy e a me ha dato il team, mi ha lasciato lì. Poi Carlo ha preso un’altra persona, Francesco Secchiaroli, un suo amico di Pesaro, per fare il manager di Marini, Bezzecchi e di Vietti. È un ragazzo che ha voglia, si impegna, ed è bravissimo, un’altra scommessa vinta, soprattutto perché non è uno del nostro mondo"

Alessio Salucci tra Marco Bezzecchi e Pecco Bagnaia, due piloti cresciuti nell'Academy VR46 - ©Motorsport.com

Bene, siamo arrivati finalmente all’Uccio fuori dall’ombra. Negli ultimi due anni con la responsabilità del team Mooney VR46 in MotoGP, anche se con la collaborazione di Pablo Nieto, Matteo Flamigni, Roberto Locatelli e tante altre persone della struttura

"Siamo davvero una bella struttura. Tutto ciò è figlio del 2013, quando al Sachsenring Carmelo Ezpeleta mi ha chiamato nel suo ufficio perché voleva parlarmi. Mi ha detto che Sky voleva fare un team in Moto3 nel 2014. Mi ha chiesto, visto che avevamo l’Academy, se fossi interessato, se ci fosse stato utile avere una squadra. Io ho risposto di sì, ovviamente, perché avevamo i nostri piloti e così li avremmo fatti correre e avremmo anche capito il valore reale, perché spesso correvano in squadre così così. In questo modo nel 2014 siamo partiti con la Moto3, poi abbiamo fatto sempre la Moto2, poi abbiamo chiuso la categoria minore per concentrarci sulla Moto2, perché eravamo dedicati a valorizzare i nostri piloti che stavano crescendo, mentre di giovani non ce n’erano. Quando è servita una squadra in MotoGP l’abbiamo fatta. Siamo sempre stati concentrati sulla valorizzazione dei nostri ragazzi, di quello che avevano bisogno. L’anno scorso avendo capito che sia Marini sia Bezzecchi erano pronti per la MotoGP, abbiamo fatto il team. Vale all’inizio mi disse che la MotoGP sarebbe stata difficile, che non era la Moto2 dove avevamo avuto molto successo. Era il 2020 e io gli dissi che forse mi trovavo meglio con la MotoGP. Nel senso che la Moto2 per me era una novità totale, mentre in MotoGP c’ero stato molti anni insieme a Vale e sempre in team ufficiali. Così è andata e siamo partiti. Vale mi ha dato in mano il progetto e siamo qua. Inizialmente volevo fare con Suzuki, poi Suzuki non ha fatto le moto e si è ritirata, Yamaha era con Petronas e non volevamo rompere le scatole a nessuno"

 

Il non aver fatto con Suzuki e Yamaha, alla fine è stato meglio direi

"Sì, ma nelle prime riunioni con Paolo Ciabatti e Gigi Dall’Igna mi faceva un po’ strano parlare delle nostre moto, però ho subito visto in loro gli occhi giusti, con la voglia. Io avevo paura di qualche strascico lasciato da noi in Ducati (dopo l’esperienza negativa di Vale nel 2011/12). Invece ho visto che avevano voglia di prenderci per mano e di farci crescere. Così mi diverto da matti. Gigi è un genio, ci si parla molto bene, anche se a volte ci scontriamo poi torniamo subito in sintonia. Non credevo di poter avere questo rapporto con loro. È stata una sorpresa molto positiva Ducati"

 

E nel futuro?

"Presto detto: nel 2024 avremo ancora le Ducati, poi nel 2025 scade il contratto. Io e Gigi abbiamo già iniziato a scambiare due parole, molto molto soft, ma abbiamo cominciato. A tutti due piacerebbe andare avanti. A noi piace avere la moto che va più forte. Il vantaggio del team indipendente è quello: dopo tre anni puoi scegliere. Abbiamo portato i giovani, dobbiamo pensare a loro, non alle nostre preferenze tipo Yamaha perché Valentino è Yamaha. Questo è di Vale, ma è un progetto indipendente. Noi siamo qua per cercare di aiutare i giovani e quindi non di prendere decisioni politiche e non sportive"

 

Non c’è un po’ di crisi nei giovani italiani in questo momento?

"Secondo me sì. All’Academy da tre anni non abbiamo preso più nessuno. Un po’ perché con Bagnaia, Bezzecchi, Marini e Morbidelli in MotoGP il lavoro si è triplicato e abbiamo deciso di investire e lavorare con chi ha reso vincente il progetto Academy. Con Carlo e Vale dicevamo che adesso non c’è tutto questo vivaio, però alla fine dell’anno vorremmo fare 1-2 nuove entrate, trovare due ragazzini. Ne stiamo seguendo qualcuno perché l’Academy va avanti, il progetto continua, riprenderemo i giovani e via"

Alessio Salucci con Matteo Flamigni e Marco Bezzecchi nel box del team Mooney VR46

Che soddisfazioni ti ha dato Bezzecchi?

"Mi dà delle gioie importanti dal 2018, quando si è giocato il Mondiale Moto3 con Martin e l’abbiamo voluto nel nostro team, anche se nella Moto2 non c’era posto, è riuscito a tornare da noi e mi dà un sacco di soddisfazioni, è uno che gli dà il gas a 2 mani, che guida molto sopra i problemi, che gli metti le gomme e la benzina e lui va dentro e gli dà del gran gas. Vorrei che rimanesse sempre così, che non diventi troppo tecnico"

 

Non credi anche tu, a parte i capelli, il nome e che gli piace circondarsi della gente che gli vuole bene e alla quale vuol ben, ricorda un po’ il Sic, non trovi?

"Dico di sì: anche lui ha bisogno di giocare a carte, di stare con la gente che gli vuole bene, con Flamigni si è creato davvero un rapporto fantastico e sì, il Bez mi ricorda tanto il Sic nei modi di fare, hanno lo stesso approccio alle gare, addirittura un po’ un modo di guidare simile, anche se il Bez è più piccolino. Ha molto che ricorda Il Sic"

 

Luca Marini, invece è una persona diversa, ma pure lui mi sembra un ragazzo pieno di valori

"Luca è una persona e un pilota completamente diverso dal Bez, più preciso, un po’ più freddo. Quando abbiamo deciso con Vale a chi assegnare i capo tecnici, abbiamo deciso che Matteo era perfetto per Marco, mentre per Luca andava bene David, quello che all’ultima stagione è stato con Vale in Yamaha Petronas, che è una persona molto riservata, fredda. Anche loro due sono diversi. A livello professionale mi fa crescere molto lavorare con persone così diverse e mi dà soddisfazione"

 

Che ambizioni hai tu adesso?

"Intanto di proseguire quest’anno con la stessa qualità della prima parte e non sarà facile dopo la lunga sosta. Il mio sogno è quello di andare a Valencia la domenica sera al Galà della Federazione e della Dorna dove premiano i migliori. Per ora il mio sogno è questo, per il futuro quello di migliorare sempre i nostri progetti, di rimanere in alto. Quest’anno abbiamo fatto qualcosa di un po’ strano, diciamolo, perché arriveranno anche momenti più difficili. Però spero di andare a Valencia e che uno dei nostri due piloti fosse là, vestito bene. Fai conto che a Valencia premiano i primi 3, fai un po’ i tuoi conti. All’inizio della stagione tiravo un po’ le briglie: il giovedì facciamo sempre una riunione con tutto il team e tenevo sempre un profilo basso, adesso invece abbiamo un po’ sciolto le ambizioni perché dobbiamo essere consapevoli che siamo un team forte, che siamo qua e dobbiamo spingere fino alla fine. Ho cambiato un po’ il mood dopo qualche gara"

 

Come sei cresciuto tu in questi anni lontano da Vale?

"Per me è stato difficile a livello emotivo. Sul piano del lavoro mi sono sentito realizzato, perché è un progetto molto importante e sarò grato per sempre a Vale per avermi dato questa opportunità. Dall’altra parte però mi è un po’ mancata la terra sotto i piedi, perché andavo alle gare con Vale, Albi, Max, con il motorhome, era un lavorare con gli amici, in famiglia, con la stessa gente con la quale stavo da una vita. L’anno scorso invece mi sono trovato con una pressione addosso che... Lascia stare. Gigi mi aveva proposto di avere delle squadre di meccanici Ducati, io invece volevo continuare a far crescere i ragazzi, meccanici, ingegneri che erano con noi dai tempi della Moto3 o della Moto2. Perché ho un po’ il concetto di far crescere tutto il team, non solo i piloti. Dall’Igna mi ha detto però di non pensare alle moto giapponesi come ero abituato, ma di pensare alla Ducati che è una moto più complicata e quindi di prendere persone che la conoscevano. Te la faccio breve: in Malesia ai primi test non riuscivamo a far partire le moto e mi dicevo 'Vedi che Gigi aveva ragione', mi trovavo un po’ in difficoltà. Poi Ducati ci ha dato due persone e pian piano siamo cresciuti, ma la prima metà di stagione con questo team giovane e inesperto mi sono trovato con tantissima pressione addosso, da solo. Viaggiavo in aereo con i miei ragazzi con i voli low cost e non con i voli privati, andavamo negli hotel peggiori perché avevamo poco budget… Non è stato facile un po’ per tutto, però ho sempre creduto, meglio sperato che le scelte che avevo fatto fossero giuste, che i ragazzi potessero crescere. Alla fine diciamo che ho avuto ragione, perché moto e piloti non vanno male direi. Ci ha fatto i complimenti anche Gigi e sono cose importanti perché noi sì siamo la VR, ma non sai chi sono Uccio, Pablo e gli altri. Insomma prendendo sempre più credibilità, anche con Ducati ci siamo sentiti stimolati, convinti e abbiamo continuato sempre meglio"

 

Tu ti aspettavi questo da te stesso?

"Per rispondere direi no. Nel senso che ho pensato a quello che serviva a una squadra di MotoGP per andare forte, ho cercato di metterci tutto quello che avevo visto con Vale in quei 20 anni di box, alla fine sono dettagli come quello di mettere insieme le persone che più si assomigliavano, di cambiare lato ai meccanici per le loro caratteristiche e alla fine ci è andata diciamo di culo, ti dico che sono molto contento di me stesso in questo momento perché le cose stanno andando bene e poi la gente mi ferma per strada e mi fa i complimenti, perché dice che anche senza Vale siamo riusciti a portare, tenere un po’ di lui in MotoGP. Adesso Vale siamo noi, il nostro gruppo, i nostri piloti. E sentire Vale che mi chiama al telefono gasato, emozionato come quando correva lui, mi riempie di gioia. Comunque ogni volta che faccio una scelta, prendo una decisione, penso sempre che il team è suo, è di Vale e cerco sempre di fargli fare la miglior figura possibile perché se lo merita"

 

Insomma, sì, Alessio "Uccio" Salucci è uscito dall’ombra del vento, brilla di luce propria, ma non del tutto, anche perché quel vento veloce è quello che vuole lo spinga ancora, che continui a riempirgli le vele.