LA FOTOGALLERY. Da LeBron a Curry, da Carmelo Anthony a Kevin Durant: sono alcuni dei più prestigiosi "clienti" di Idan Ravin, il trainer che da anni aiuta i giocatori a migliorare tecnica individuale e capacità mentali. In un libro racconta la sua storia al fianco dei migliori atleti del mondo
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Si chiama Idan Ravin e nel mondo della Nba è noto come il trainer dei campioni. Nel corso della sua carriera ha allenato personalmente e si è guadagnato la fiducia di decine di giocatori di altissimo livello, aiutandoli a migliorarsi tecnicamente e a credere maggiormente nelle proprie potenzialità. Tra i suoi “clienti” c’è gente del calibro di LeBron, Steph Curry, Carmelo Anthony, Blake Griffin, Kevin Durant… In un libro appena tradotto in Italia (“A canestro”, ed. Baldini&Castoldi) racconta il lavoro fatto al loro fianco, con retroscena curiosi e divertenti (foto da Twitter) -
Ecco, ad esempio, come è iniziato il suo rapporto con Kevin Durant. “Ho invitato Kevin per un allenamento pre-draft nel giugno del 2009. «Gli allenamenti iniziano alle sette di sabato mattina», gli ho scritto. Sono arrivato con quindici minuti di anticipo per essere sicuro che qualcuno avesse aperto le porte della palestra. Ho notato una macchina parcheggiata, pensavo fosse del custode. Quando mi sono avvicinato ho riconosciuto il profilo di Kevin. (…) «Non hai mai una seconda possibilità per dare la prima impressione», ha detto alcuni mesi dopo in un’intervista” -
“Quella mattina l’ho visto: fare canestro con disinvoltura da quello che sembrava un campo di football lì vicino; controllare la palla con le sue grandi mani con l’abilità di un vasaio; scattare lungo tutto il campo senza che i suoi piedi toccassero terra…” -
“Durante l’estate del 2008 mi trovavo per alcuni giorni a New Orleans per lavorare insieme a Chris Paul, al tempo un giocatore degli Hornets”. Ed è proprio grazie a lui che Ravin ha accesso al più grande di tutti: LeBron James, incuriosito dal nuovo metodo di allenamento con cui il suo amico si era migliorato tantissimo -
Ravin ricorda di aver visto LeBron quando era un sedicenne che “correva più veloce, saltava più in alto, tirava più lontano, schiacciava più forte e passava meglio di chiunque avessi mai visto a quell’età” -
Anni dopo, quando LeBron è già “il Prescelto”, ecco il nuovo incontro e l’inizio della collaborazione tra i due: “Sapevo che l’introduzione informale del suo migliore amico Chris non mi avrebbe fatto guadagnare l’attenzione di LeBron, il suo rispetto o il suo impegno. Se volevo fare colpo dovevo procedere con autorità e attenzione. Dovevo fargli sapere che non volevo essere un suo amico o un suo fan: di questi ne aveva già abbastanza. Volevo solo lavorare insieme, non andare a ballare o alle feste” -
Così, per fare colpo su LeBron, Ravin decise di... “stopparlo”: “Ha iniziato con uno scatto verso il canestro, ma io gli ho rubato la palla dalle mani e intenzionalmente ho colpito il suo avambraccio. «Te la rubano appena l’abbassi», ho detto, a dimostrazione di come aveva portato la palla sotto la sua metà del corpo. È ritornato al punto di partenza, si è lanciato verso il canestro tenendo la palla alta a ogni mio tentativo di rubargliela, così per cinque volte. Ho annuito quando lui mi ha guardato subito dopo” -
“LeBron potrebbe correre a piedi nudi sul vecchio pavimento di legno della casa dei miei genitori senza fare abbastanza rumore da interrompere il riposino di mio padre sul divano. È stato in grado di generare la potenza di una macchina da corsa con incredibile grazia" -
Il rapporto con Carmelo Anthony dura da anni. Anche in questo caso, Ravin lo spinse semplicemente a tirare fuori il meglio di sé. “Conoscevo Melo da un paio di minuti, ma tutto sembrava dire: Cool! Camminava con un ritmo “fresco” tutto personale, si prendeva il suo tempo per allacciarsi le scarpe, per fare il riscaldamento, per scambiare qualche battuta con Juan prima dell’allenamento. Non ha mai fatto le cose di fretta. Mi chiedevo se questo suo ritmo poteva avere un riflesso anche nel suo gioco” -
Ma cosa sarebbe successo se avesse provato a spingere sull’acceleratore? "Un impegno costante, intensità e un ritmo incredibile avrebbero abbattuto ogni avversario e lo avrebbero portato a diventare uno dei migliori giocatori di sempre, ed ero sicuro che lo sarebbe diventato. Lui era una Ferrari e io volevo settare il suo motore per un giro in pista” -
“Nel giugno del 2004 ho osservato Jerry Stackhouse, che al tempo giocava con i Washington Wizards, mentre tirava in sospensione. Ero seduto a bordo campo e stavo aspettando Juan Dixon, anche lui giocatore dei Wizards, che si stava cambiando e facendo la doccia dopo il nostro allenamento. «Abbassa la palla», ho detto a voce alta. Si stava allenando sul reverse pivot (…) e ho notato che teneva la palla all’altezza della vita durante l’esercizio. «Qui è dove saranno le loro mani», ho detto indicandogli le mie appoggiate a metà del suo corpo. «Non puoi superare il difensore così. Accertati che la posizione della palla eviti le mani dell’avversario quando sei in posizione di pivot».” -
“Senza esitare Jerry si è girato immediatamente verso di me e io gli ho lanciato la palla. Si è mosso per ripetere il movimento della palla e dei piedi di cui avevamo appena discusso. Ogni volta che la palla infilava il canestro, cresceva la sua fiducia in questo sconosciuto appena incontrato. «Sembra andare bene Stack», ho detto dirigendomi verso la linea laterale per recuperare la mia borsa da palestra. «Devo andare, comunque il mio nome è Idan». «Piacere di averti conosciuto amico», ha risposto. Poi mi ha preso per il braccio «Yooo, con chi altro lavori?» -
“Una sera del 2010 ho perso una chiamata da un numero anonimo e subito dopo ho ricevuto un messaggio da un prefisso sconosciuto. Ho però riconosciuto il nome alla fine del testo. Chiunque con la minima nozione di pallacanestro lo avrebbe fatto. Era Kobe e voleva chattare un po’”. Così inizia invece la collaborazione con il Black Mamba, incuriosito dai metodi di Ravin. Durerà poco: Kobe infatti non gradì la rapidità con cui si sparse la voce… -
“Kobe voleva sviluppare due movimenti: un crossover tra le gambe reso famoso da Tim Hardaway e un crossover a una mano usato spesso da Dejan Bodiroga. Il riferimento di Kobe a Bodiroga mi aveva colpito: mi ha fatto capire che era disposto ad affrontare ogni ostacolo e considerare ogni alternativa per diventare il miglior giocatore mai visto su un campo di basket” -
“Ci siamo incontrati alle cinque del mattino dopo come da lui richiesto. (…) Più tardi ho ripensato a quello che avevo visto la mattina presto. Il lavoro duro non mi ha mai spaventato: qualsiasi lavoratore in qualsivoglia settore ha avuto successo con il lavoro duro. Ma il suo impegno unito alla sua intensità, l’attenzione, il talento, l’essere rigoroso, la resistenza, la passione, la dedizione, la forza mentale e l’istinto killer mi hanno sbalordito” -
E Curry? Con lui il basket diventa musica. Sentite qua: “Steph ha sempre fatto affidamento su un poco ortodosso e veloce rilascio del tiro, intelligenti finte con la palla, strane conclusioni al ferro, e, come uno squatter, la capacità di trovare spazi liberi sul campo lasciati scoperti dai difensori. I giocatori non ortodossi come Steph hanno dei vantaggi…” -
“Pensate alla pallacanestro come teoria della musica: il ritmo consiste nell’alternanza di suoni e silenzi organizzati per formare uno schema. Ci può essere un ritmo regolare, ma ci possono essere tutta una serie di ritmi che sono più veloci, più lunghi, più corti o più lenti di altri” -
“Il talento e l’esperienza rendono i giocatori NBA in grado di misurare il ritmo e le singole battute a livello subconscio e usarli per anticipare i movimenti degli avversari. La natura non convenzionale di Steph è vitale per affrontare difensori più veloci o più alti: se riesce a disturbare la capacità di un avversario di anticipare, questo gli concede quella frazione di passo che gli permette di raggiungere il canestro o liberarsi per un tiro” -
“Quando Dwight Howard ha indossato il mantello da Superman alla gara delle schiacciate all’All Star Game nel 2008, il paragone era più che appropriato. Sembrava una statua scolpita nel marmo nero di Ashford che prendeva vita, con una capacità d’elevazione di un metro e una velocità che non si poteva immaginare. Sembrava impossibile che un fisico del genere si potesse muovere con così tanta potenza e con così tanto controllo” -
“La prima volta che ho incontrato Dwight era il 2011. Fui sorpreso nel vederlo piuttosto rigido sul campo, qualcosa che sospettavo dipendesse da anni di gioco schiena a canestro, con movimenti confinati in una piccola area intorno al ferro”. Era “una Ferrari che è rimasta parcheggiata in garage, perché le squadre hanno deciso che l’unico utilizzo di uno di 2 metri e 10 e 120 chili era vicino a canestro. Pensavano di sapere quello che stavano facendo con lui. In un certo senso lo hanno fatto, ma lo hanno trasformato in un Iron Man, rigido e meccanico” -
“Dovevamo ritrovare il divertimento nel Gioco. L’ho incoraggiato a giocare con la libertà che aveva da ragazzino ad Atlanta: palleggiare, tirare, segnare, giocare sul perimetro e fare tutte quelle cose che lo avevano fatto innamorare del Gioco all’inizio. I nostri allenamenti servivano anche a rinnovare il suo spirito” -
“Dwight si muove meglio quando è più vicino al terreno, come un velocista che stacca dai blocchi. Gli ho detto di immaginarsi di giocare nella casa delle bambole di sua figlia, in cui sarebbe costretto a piegare completamente le gambe e abbassare il sedere per non far sbattere la testa contro il tetto. Urlavo «Casa delle bambole», «Ferrari» per ricordargli di giocare alla massima velocità per tutto il tempo” -
La cosa più curiosa è che Idan Ravin non ha mai giocato o fatto il coach. Semplicemente, la sua enorme passione per la pallacanestro lo ha trasformato in un trainer che alcuni tra i migliori giocatori della Lega hanno voluto al proprio fianco per migliorarsi -