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Finals NBA: DeMarcus Cousins, l'uomo in più in attacco e in difesa per Golden State

NBA

Titolare per la prima volta in carriera alle finali NBA, il n°0 degli Warriors è risultato decisivo come passatore e a protezione del ferro: "Doveva giocare al massimo 20 minuti, poi sono diventati 28... È stato fantastico. Avevamo bisogno del suo contributo per vincere"

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Dalla stagione che sembrava finita dopo l’infortunio in gara-2 contro i Clippers, al recupero possibile in caso di finali NBA, fino alla disponibilità nel momento in cui c’era da affrontare i Raptors in gara-1. Un esperimento malriuscito nella sfida d’esordio contro i canadesi, come molte cose che non hanno funzionato in casa Golden State. Ma DeMarcus Cousins sapeva che la sua vera occasione sarebbe arrivata prima o poi. Come successo puntualmente questa notte in gara-2, titolare un po’ a sorpresa in una partita cruciale per i destini degli Warriors: in quintetto al posto del disastroso Jordan Bell che dopo il pessimo esordio è rimasto seduto a guardare i compagni per 47 minuti e 50 secondi (entrato soltanto per qualche istante, di cui in pochissimi si ricorderanno). Ci pensa Cousins a farne le veci, partendo a razzo sin dalla palla a due, commettendo subito un fallo, poi un altro e in generale giocando con un’aggressività dettata dall’ansia da prestazione più che dalle esigenze di Golden State. È nel secondo tempo però che i bi-campioni in carica cambiano marcia in maniera corale, ingranano e iniziano a fare sul serio, ribaltando un match grazie alle loro doti migliori: la circolazione di palla, gli assist (ben 34 su 38 canestri alla sirena finale), la condivisione delle responsabilità e una pallacanestro corale nella quale l’ex Kings riesce a calarsi senza problemi. “Abbiamo programmato la partita convinti del fatto che DeMarcus potesse darci 20 minuti con una buona intensità – racconta coach Kerr nel post-partita - Alla fine sono stati 28, il suo contributo è stato fantastico. Avevamo bisogno di ogni singolo sforzo che è riuscito a garantire sul parquet”. I numeri dopo 48 minuti sono dalla parte di Cousins: 11 punti, dieci rimbalzi, sei assist, due stoppate, il tutto condito con un +12 di plus/minus che è il miglior dato di squadra a fine partita. “Era evidente che fosse molto più a suo agio, in grado di alzare il livello di intensità – sottolinea Steph Curry - Ha messo tantissima pressione sugli avversari in difesa. Un giocatore in grado di fare la cosa giusta al momento giusto. È un enorme passo in avanti per noi, quando abbiamo DeMarcus a disposizione”.

L'infortunio di Looney e la coppia inedita con Bogut sotto canestro

La differenza in favore di Golden State infatti non l’ha fatta l’attacco (a guardare le cifre si vede come i dati siano rimasti sostanzialmente in linea tra le due sfide, dal 43.6% al 46.3% dal campo di squadra e un lieve peggioramento se si guarda alla percentuale dall’arco), ma quanto concesso a Toronto che ha letteralmente inchiodato nel momento in cui si trattava di fare canestro. I Raptors sono passati dal 50.6% al 37.2% complessivo dal campo, con un crollo nel tiro da lontano dal 39.4% al 28.9%. Anche in questo c’ha messo lo zampino (bello grosso) Cousins, rimasto sul parquet più a lungo del previsto a seguito della contusione alla spalla di Kevon Looney subita nel secondo quarto e schierato in alcuni frangenti del match in coppia con Andrew Bogut. Un mix sotto canestro difficilmente ipotizzabile soltanto poche ore prima della palla a due, che tuttavia è risultato funzionale e vincente. L’ex Kings ha dimostrato una volta in più di sapersi adattare, di avere doti di passatore ben al di sopra della media del ruolo – sempre presente sul parquet nelle fasi cruciali della sfida, soprattutto quando gli Warriors hanno piazzato il parziale da 20-0 che ha capovolto le sorti del match. Uno strappo e un margine che non si vedevano in una singola partita delle finali NBA da oltre 40 anni: blackout totale dell’attacco dei Raptors e una sinfonia corale a rispondere puntuale dall’altro lato (tutti i canestri di Golden State del secondo tempo sono stati assistiti). “Quando ho scoperto di essere titolare ero felice: coach Kerr è venuto da me a spiegarmi di cosa aveva bisogno la squadra e io ho provato a fare del mio meglio - racconta il diretto interessato - Se mi avesse chiesto di uscire dalla panchina, non ci sarebbe stato problema. Giocare otto o 40 minuti, poco importa, sarebbe stato grandioso allo stesso modo. Volevo soltanto esserci, dare una mano e risultare utile. Alla fine credo di avercela fatta”.