Cavallo bianco e cavallo nero: la trasformazione di Dovizioso, super pilota con due anime

MotoGp

Francesco Giambertone

I due cavalli, uno bianco e uno nero, stampati sul casco di Dovizioso, che rappresentano razionalità e irrazionalità (Foto Getty)

Anche senza vittoria Mondiale, è stata la stagione della consacrazione del pilota italiano: 6 vittorie e una cattiveria in pista mai vista prima. Merito del nuovo equilibrio tra due parti del suo carattere, stampate sul casco: la razionalità e la follia, finalmente in equilibrio. Ecco perché Dovi, pilota completo, è riuscito a lottare con un mostro come Marquez

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Che quest'anno in pista ci sarebbe stato un altro Dovizioso all'inizio lo avevano capito davvero in pochi. Ma qualche segnale il DesmoDovi l'aveva lanciato da subito. Sin dal Qatar, quando le attese in casa Ducati erano tutte sul nuovo arrivato, il tre volte campione della MotoGp Jorge Lorenzo, e invece a prendersi la scena era stato l'italiano gentile e sorridente, protagonista di un duello fenomenale con Vinales, perso solo a due giri dalla fine. In quel secondo posto c'era già un pizzico del nuovo Dovizioso: quello che nel corso della stagione è diventato sempre meno calcolatore e “ragioniere”, e sempre più aggressivo, combattivo, aggrappato a ogni duello, cattivo in ogni staccata. Con un obiettivo chiaro: vincere tutte le gare, giocarsela fino alla fine. E sognare di diventare campione del mondo per la prima volta a 31 anni.

Mugello, la svolta e l'obbligo di provarci

Quel secondo posto era un'illusione? Forse sì, avranno pensato in molti, quando per due mesi fino al Gp del Mugello, per il Dovi sembrava tornato tutto come prima: un ritiro sfortunato in Argentina, buttato giù da Espargarò, un 6° posto in America, un 5° a Jerez e il 4° in Francia parevano rimettere la sua stagione nel solito binario. Quello di un ragazzo “bravo ma non vincente”, a cui sembrava sempre mancare qualcosa per il salto di categoria, da “pilota veloce” a “migliore di tutti”. Fino al Gran Premio d'Italia, dove il Dovi ha mostrato al mondo (e a se stesso) di cosa era capace: un pilota italiano, con una moto italiana, che parte terzo e trionfa al Gran Premio d'Italia. “Non avevo una strategia, sono andato davanti e ho scoperto che gli altri non ne avevano”. E quindi che la sua Ducati aveva il dovere di provarci. “È stata una delle prime volte in cui un po' il cervello lo ha staccato”, aveva commentato Guido Meda il giorno dopo. “Se vogliamo trovargli un limite è che lui è molto razionale, ma in realtà può stare stabilmente coi primi”.

A casa di Marc, con il cavallo bianco

Coi primi, anzi davanti ai primi, ci è rimasto anche a casa di Marc Marquez, in Catalogna, nella gara dopo. Non più in sella al cavallo nero – che osa e combatte – ma a quello bianco, con raziocinio e intelligenza: le due anime del Dovi dipinte sul suo casco. Il paradosso del Montmelò è che il romagnolo qui vince andando piano: conserva le gomme fino al momento giusto, quando passa le Honda con precisione chirurgica e ottiene la seconda vittoria di fila. Quella che lo lancia in orbita Mondiale, con un pensiero fisso in testa: “Quando mi ricapita?”. Ecco perché da allora la parte tranquilla del Dovi la vedremo sempre meno, per lasciare spazio a un coraggio e a una grinta quasi inediti. Certo, ci vorrebbe una moto sempre perfetta, e la Ducati pur migliorando tanto non lo è: così in Olanda, Germania e Repubblica Ceca il Dovi ottiene dei piazzamenti – 5°, 8° e 6° – mentre le Yamaha sprofondano e Marquez continua a rimontare punti su punti. Ma Andrea è lì, ci crede. E infatti vince ancora, in un modo sempre diverso.

Alla ricerca del mix perfetto

In Austria quella tra Dovi e Marquez non è una gara, ma una sfida di lotta libera, fino all'ultima curva, che forse il vecchio Andrea non avrebbe sostenuto e che invece questo Dovi vince in volata, di rabbia e volontà. Non è più il gregario veloce ma l'aspirante campione, e come i campioni ha in mente solo una cosa: la vittoria. Voleva il Mondiale e per cercare di prenderselo ha superato anche i propri limiti. Lo ha fatto a Silverstone, dove partendo dal sesto posto li ha fatti fuori uno dopo l'altro e ha chiuso di nuovo davanti a tutti, mentre Marquez rompeva il motore e perdeva la testa della classifica mondiale. “Quest'anno - ammetteva Andrea dopo la vittoria in Gran Bretagna – sto riuscendo a mixare bene razionalità e irrazionalità durante la gara, prima ne usavo solo una alla volta. Per questo adesso possiamo davvero lottare per il campionato”.

Il Dovi asiatico, fenomeno sulla pioggia

Lo ha rifatto in Giappone, con la pista bagnata, di nuovo di pochi metri davanti a Marquez, bruciato nel braccio di ferro dove non ha (quasi) rivali. È tornato a gestire i punti solo a Misano, dove si è accontentato del terzo posto "perché provare a stare con Marquez e Petrucci era troppo rischioso". Ma ha saputo tornare in sella al cavallo rabbioso anche a Sepang, dopo la mezza disfatta dell'Australia, regalandosi il sogno di vincere un Mondiale all'ultima gara, con un'impresa impossibile. Non è successo, ma va bene così: da adesso in avanti il Dovi farà paura a tutti. E siamo sicuri che ci riproverà, in sella ai cavalli della sua Ducati. Centinaia nel motore, e due dentro l'anima.