MotoGP, C'era una volta l'americano: l'inizio dell'invasione

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Paolo Beltramo

Paolo Beltramo

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Essenziale, innovativa, spettacolare e vincente (fino ad Hayden): sono questi gli aggettivi con cui descrivere la scuola americana, che ha fatto la storia del motociclismo

Checco Costa, padre di Claudio, l'inventore della Clinica Mobile e medico dei piloti per decenni, fu l'uomo che smosse, scosse, cambiò il mondo del motociclismo europeo e mondiale. Tutto venne naturalmente, grazie alla sua grandissima passione, a intelligenza, intuito e capacità organizzative e innovative straordinarie. Da sempre legato al Motoclub Santerno di Imola, era anche un curioso appassionato delle gare americane. Lo aveva colpito particolarmente la "200 Miglia di Daytona" che si disputava in Florida, una gara di durata che si correva con moto da velocità, ma diversa da quelle dei GP. Costa nel 1969 andò a Spa-Francorchamps per conoscere l'organizzatore di Daytona, William France, vista la grande storia di quella gara iniziata nel 1937. Non ci volle molto perché l'idea si realizzasse.

Dopo due tentativi infruttuosi nel 1970 e '71 per problemi di regolamenti tecnici troppo diversi tra AMA (American Motorcycle Association) e FIM (Federazione Internazionale Motociclistica), nel 1972 si disputò la prima edizione vinta da Paul Smart con una Ducati 750 Sport. L'anno successivo fu l'anno di Jarno Saarinen con una 350 Yamaha che trionfò anche ad Imola. Altra doppietta nel 1974 con Giacomo Agostini e la Yamaha 750 (all'inizio era una 700 4 cilindri in linea come la 500, fatta unendo due 350, più avanti arrivò alla cilindrata limite) appositamente costruita per questo tipo di gare.

Insomma si era aperta una porta tra i due universi e ai piloti non americani che andavano a Daytona e vincevano, cominciarono ad arrivare americani ad Imola, poi al Paul Ricard, in Inghilterra e via fino alle partecipazioni ai mondiali. Fu così che arrivarono piloti come Kenny Roberts, Randy Mamola, Steve Baker, Gene Romero, Dale Singleton, il canadese Du Hamel e tanti altri. Le corse divennero più colorate dai programmi, alle tute, ai podi. Imola allora era una pista pericolosa, ma bellissima, sinistrorsa, veloce, da pelo che purtroppo chiese i suoi martiri: Pat Evans nel ’77, Guido Paci nell'83 e Lorenzo Ghiselli due anni dopo.

Anche la Suzuki si americanizzò e costruì una RG 653 (una 500 maggiorata) per partecipare a questo tipo di gare che presero molto piede diventando addirittura delle sfide a squadre come Italia-Resto del Mondo oppure Gran Bretagna-America e così via. Insieme a queste gare americanizzate, i piloti statunitensi si abituarono al mondiale tradizionale e cominciarono a prendervi parte proprio in quegli inizi degli anni settanta. Poi divennero una parte essenziale, innovativa, spettacolare e vincente della storia del motociclismo fino a Niky Hayden. Ora basta, chissà perché.

Mi ricordo benissimo quelle Yamaha giallo-nere di Roberts e Mamola, allora tutto boccoli rossi e tuta in tinta con la moto che alla sua prima volta si iscrisse alla 100 miglia per le 250, gara di contorno tra le due manche della corsa maggiore e non gli venne consentito di correre perché troppo giovane. Si limitò così a fare un giro dimostrativo da solo… era il 1977, credo. Resta scolpita nella storia anche la scelta di Kenny Roberts nel 1974 di partire con le due gomme slick, fu il primo a farlo ed era soltanto alla sua trentasettesima gara su asfalto dato che negli USA si correva soprattutto sugli ovali da un miglio dove Kenny fu l'unico a guidare la Yamaha TZ 700 sullo sterrato, al posto delle più tradizionali Harley Davidson, una cosa da pazzo visto che quei mezzi non hanno freni e il 2 tempi non ha neppure il freno motore…

Gli americani nelle corse. Ecco, ve li voglio raccontare. Se lo meritano e per me sono come il blues, il Rock, il R&B, il jazz: non potrei farne a meno e adesso ci mi tocca ricordare e basta. Ma Wayne Rainey con le gare di "Moto America" sta cercando di ricostruire qualcosa. Magari non proprio quella che è stata una vera e propria scuola di stili e che ha avuto un'enorme influenza sul modo di vivere le corse dei piloti come lo spostarsi e abitare nei grandi Motor Home. Dalla prossima puntata comincerò a raccontarvene uno, quello che per me è stato il più grande della sua epoca a cavallo tra gli anni settanta e ottanta: Kenny Roberts.