MotoGP, il duello di Doohan contro il proprio destino

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Paolo Beltramo

Paolo Beltramo

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La prima volta ha vinto, la seconda ha perso: in entrambi i casi Mick Doohan ha affrontato una battaglia densa di volontà, sofferenza, passione, amore, odio, con cui è diventato leggenda delle due ruote

Nella storia delle gare di moto sono state tante le sfide, gli antagonismi tra due o più piloti e personaggi. Ma quella che personalmente più mi ha coinvolto è stata le sfida che ha voluto correre contro se stesso, il proprio destino, Mick, Michael Sydney Doohan, un pilota che  anche se si chiama così è nato a Brisbane in Australia il 4 giugno del 1965. Fa cioè parte di quella generazione di piloti che ha infiammato gli anni tra fine '80 e inizio e fine '90. Ma lui ha corso e concluso due carriere, due vite sportive, entrambe simili: prima il successo, poi la mazzata. È diventato leggenda, storia, esempio, mito di questo sport.

Dall'incidente ad Assen al rientro in Brasile

Nel 1988 corre con una Yamaha 2 GP della Superbike e vince 3 manche su 4, così passa alla 500 nel 1989, da lì in poi sempre con Honda. La prima stagione ottiene un terzo posto e basta, nel '90 vince in Ungheria il suo primo GP. Nel '91 fa 7 secondi posti, 4 terzi e 3 primi, ma viene battuto da Rainey. Sembra quello il dualismo che infiammerà quell'epoca e difatti nel '92 nelle prime 7 gare fa 5 volte primo e 2 secondo. Sembra che il mondiale sia destinato ad andare a lui, anche per l’infortunio in prova di Rainey a Hockenheim che gli fa saltare anche la gara di Assen. Ma proprio ad Assen Mick cade in prova e si frattura tibia e perone. Viene ricoverato e mal curato, tanto che il dottor Claudio Costa lo va a prendere con un volo privato pagato da lui per sottrarlo, rischiando l'arresto, all'ospedale di Groningen. In Italia il dottore lo tiene a casa sua, gli cuce il polpaccio sano sopra la tibia ferita per avere maggiore irrorazione, gli impone mezze giornate di camera iperbarica, lo cura come fosse suo figlio. Mick questa sfida l'accetta, la vuole vincere e riesce a rimettersi in piedi (si fa per dire, si trascina a fatica con le stampelle) e rientra in Brasile quattro gare dopo. Il Mondiale è ancora teoricamente possibile per lui e quindi ci prova (finisce dodicesimo soffrendo come un cane), anche se la sua sfida vera l'ha vinta arrivando lì, salendo in moto, credendo in sé stesso e nel Dr. Costa, tornando ad essere un pilota, a vivere una seconda carriera. L'ultima gara si disputa quindici giorni dopo in Sud Africa a Kyalami e Mick finisce sesto, vince Kocinsky, ma il Mondiale va a Rainey.

Nel 1993 vince soltanto una gara, soffre ancora per l'incidente e la gamba destra non è ancora a posto, il piede non ha più mobilità (tanto che sposta il comando del freno posteriore al manubrio sinistro azionato dal pollice), zoppica, ma tiene duro.

La caduta di Jerez e il ritiro

Il destino toglie Rainey dalla sua strada, premia Schwantz, ma dal 1994 al '98 per Doohan ci sono 5 Mondiali consecutivi, 44 vittorie, 61 podi e la gloria, la rivincita. Ma la sua sfida che sembrava stravinta, anzi trasformata in un viale del trionfo continuo, senza sosta, viene stroncata un’altra volta, questa per sempre, nel '99, nelle prove libere  di Jerez, in un venerdì mattina umido e grigio dove lui vuole comunque primeggiare ed esce per fare il miglior tempo, tanto inutile quanto dovuto, sentito. In quel tentativo mette le ruote su una riga bianca scivolosa per l'acqua: cade, finisce contro le protezioni, si frattura ancora gravemente la gamba. È costretto a smettere. Contro il proprio destino una volta ha vinto, la seconda ha perso, ma che bello questo duello, quanto denso di volontà, sofferenza, passione, amore, odio è stato. Secondo me vale per 2.