Lucchi, Pirro e Savadori: tre generazioni di collaudatori a confronto

MotoGp
Paolo Beltramo

Paolo Beltramo

In Italia c'è una città che ha dato i natali a due dei più celebri collaudatori italiani e ne ha 'adottato' un terzo: stiamo parlando di Cesena e i piloti in questione sono Marcellino Lucchi, Lorenzo Savadori e Michele Pirro. Tre generazioni a confronto in questa intervista di Paolo Beltramo tra passato, presente e futuro della MotoGP

Le gravi crisi di Honda e Yamaha e le ottime prestazioni di Dani Pedrosa in versione “tester in corsa” della KTM nella gara di Misano, hanno riproposto all’attenzione di tutti gli appassionati la grande importanza, spesso troppo poco sottolineata, dei collaudatori nello sviluppo di una MotoGP competitiva. In Italia c’è addirittura una città, manco a dirlo romagnola, dove sono nati due (e abitano tre) dei nostri collaudatori più celebri e capaci, visti i risultati ottenuti dalle moto che hanno sviluppato (o sviluppano ancora). Stiamo parlando, in ordina di anzianità, di Marcellino Lucchi, cesenate classe ’57, a lungo collaudatore delle meravigliose Aprilia 250 a due tempi, fino alla prima MotoGP veneta, la Rs Cube; di Michele Pirro, classe ’86, pugliese di San Giovanni Rotondo, ma cittadino cesenate d’adozione da molto, storico collaudatore della Ducati MotoGP e di Lorenzo Savadori, nato a Cesena nel ’93 e attuale tester di Aprilia MotoGP, confermato per gli anni a venire. Chissà, probabilmente a Cesena c’è un’aria che fa bene ai motociclisti, sicuramente stimola i piloti e la passione per le moto. Sentiamo i tre racconti, ovviamente con qualche variante personale: sono interessanti, divertenti e rivelatori di quanto sia importante il loro ruolo e di quali siano le caratteristiche più utili per interpretarlo al meglio.

La storia di Marcellino Lucchi

Il più esperto, Marcellino Lucchi. Ha cominciato a correre nel 1977 con un cinquantino artigianale, dato che allora funzionava così: non c’erano ancora le minimoto e per avere la licenza dovevi aver compiuto i 18 anni. Marcellino per i primi anni ha coso un po’ a tratti, dovendo lavorare sodo durante la settimana per portare a casa la 'pagnotta' (faceva quello che oggi si chiama operatore ecologico). Ha corso molto nell’europeo velocità finché, nel 1989 con un’Aprilia 250, finì secondo. Si mise così in luce con la casa veneta e per 6 volte, dal ’92 al ’97 è stato campione italiano della due e mezzo. Ha anche vinto un GP d’Italia al Mugello nel 1998, cosa che per un collaudatore è davvero eccezionale, e ha disputato la sua ultima gara a Sepang in Malesia nel 2004 alla bella età di 47 anni. Ha anche corso con l’Aprilia 500 bicilindrica nel ’96 in 2 Gp (Austria e Repubblica Ceca), Insomma Lucchi è un pilota passato dai piccoli 2 tempi a quelli molto performanti, ai grossi 4t e ha collaborato con grandissimi tecnici: da Jan Witteveen a Gigi Dall’Igna. È stato uno dei primissimi, se non il primo, a portare la passione per la bici nel paddock e adesso possiede un negozio di due ruote a Cesena, che però vorrebbe vendere per ritirarsi in una meritata pensione. Una vita fatta sempre di passione, insomma. Nell’intervista sarà ML.

Marcellino Lucchi su Aprilia a Misano durante gli Assoluti d'Italia 1995

La carriera di Michele Pirro

Michele Pirro a Cesena c’è arrivato per la collocazione geografica e l’anima motociclistica della città romagnola, ma lui è pugliese di San Giovanni Rotondo, dove è nato il 5 luglio del 1986. Anche lui, come quasi tutti i piloti oltre i 30-35 anni, ha iniziato con le 125 a due tempi. Nel 2001 esordisce, nel 2003 ha disputato la sua prima gara nel mondiale e nel 2004 ha sostituito Simoncelli in sella ad un’Aprilia Rs 125. Sempre nel ’04 ha vinto l’europeo della 125. In 125 ha corso alcune stagioni con risultati altalenanti. Nel 2007 e 2008 è stato campione italiano superstock 1000 con una Yamaha Yzr-R1. Con le grosse 4 tempi ha trovato la sua dimensione migliore e ha corso nel 2009 nel mondiale Supersport sempre con Yamaha vincendo l’italiano. L’anno dopo è sceso in pista con una Honda nel mondiale Supersport 600 e ha esordito in Moto2 col team Gresini. Nel 2011 con la Moto2 la sua prima gara mondiale a Valencia, dove ha corso sul bagnato col numero 58 di Marco Simoncelli scomparso nella gara precedente in Malesia. Entra nel gruppo sportivo della Polizia, le Fiamme Oro, e corre nel 2012 con una FTR (moto non competitive, messe in pista per completare lo schieramento) in MotoGP sempre con Gresini e nel 2013 diventa collaudatore Ducati per la MotoGP GP13 e corre varie gare anche come sostituto di Ben Spies col Team Pramac. Negli anni seguenti è sempre il collaudatore, la wild-card e il sostituto di piloti infortunati anche in Superbike. Cosa che fa ancora oggi e che continuerà a fare per almeno altri due anni visto il rinnovo del contratto. È stato 9 volte campione italiano e una europeo, quest’anno a Imola ha perso all’ultima gara il decimo campionato nazionale. Un pilota forte, esperto e molto sensibile, come piace a Dall’Ingna. Di seguito sarà MP.

Il palmarès di Lorenzo Savadori

Lorenzo Savadori è il più giovane dei tre ed è cesenate doc essendo nato lì il 4 aprile 1993. Nel 2007 è finito secondo nella Red Bull Rookies Cup, vincendo due gare. Nel ’08 è diventato campione italiano della 125 con un’Aprilia e ha debuttato nel mondiale. Nel 2009 ha disputato tutta la stagione mondiale in 125 e lo stesso l’anno dopo, senza grandi risultati (dovuti soprattutto alla sua stazza non da piccole cilindrate e a qualche infortunio). Nel 2011 passa in superstock 100 con una Kawasaki e nel 2012 corre con una Ducati Panigale e vince la sua prima gara a Monza. Nella stagione seguente passa di nuovo alla Kawasaki del team Pedercini, dove corre anche nel ’14. Nel 2015 arriva per la prima volta in Aprilia nella Superstock 1000 e vince il mondiale. Poi passa in Superbike, resta in sella all’Aprilia RSV4-RF sino al 2019, quando corre in Moto2 con Gresini e nel Campionato Italiano fa secondo in SBK con Aprilia, poi vince nel 2020 il titolo italiano andando sempre a podio e correndo nel mondiale come collaudatore/sostituto. Nel 2021 è pilota ufficiale di Aprilia MotoGP, ma arriva Maverick Viñales e Lorenzo torna ad essere collaudatore/pilota, l’anno scorso ha disputato 5 GP. Questa stagione lo abbiamo visto abbastanza spesso in gara e pure a lui è stato rinnovato il contratto per 2 stagioni. Lorenzo Savadori sarà, ovviamente, LS.

Lorenzo Savadori in sella al Red Bull Ring durante il GP Austria 2023

Allora cominciamo: Quale sarà il segreto di Cesena?

 

ML – "Cesena evidentemente è la città dei collaudatori, Savadori abita addirittura a un centinaio di metri dal mio negozio, Michele è qui da quasi vent’anni. C’è passione, ma io l’ho detto a loro: ragazzi, ascoltatemi, è meglio fare i collaudatori per anni per una grande azienda come Ducati o Aprilia, diventare importanti nello sport che vi piace e andare a correre: poi se vai piano nessuno ti dice niente, se vai forte tutti ti fanno i complimenti e hai un lavoro, il tuo stipendio e magari il rinnovo per anni. Se fai il pilota ufficiale e non stai davanti l’anno dopo ti danno un calcio nel sedere e ciao. Ai nostri tempi prendevi un secondo ed eri decimo, oggi sei ultimo o quasi. Ora comunque fare il collaudatore è forse più difficile che ai miei tempi: c’è tanta elettronica e tu invece riporti delle sensazioni, dei feeling. Una volta credevano di più alle mie parole che al computer, oggi i computer sono sempre più importanti. Non so dire se fosse più difficile o meno, di sicuro è cambiato molto. Il collaudatore non deve soltanto girare, ma deve trasmettere delle sensazioni. È dura, spinna, in quella curva fa così, in questa cosà… Loro vedono i dati e confrontano. Da tester devi fare 3 o 4 giri per volta, perché poi il tuo chip è pieno e non ricordi tutte le sensazioni".

 

MP – "La cosa che ci accomuna con Marcellino Lucchi e Lorenzo Savadori è l’abitare a Cesena. Io di adozione, ma per molti anni ho abitato vicino a Lucchi e andavamo in bici insieme e lui mi diceva sempre di non preoccuparmi, di dar retta a Dall’Igna, di non preoccuparmi e io ho suggerito qualche anno fa a 'Sava', che faceva il CIV, di chiedere ad Aprilia se gli avrebbe fatto provare la MotoGP e ho visto che e successo e ha anche lui ha rinnovato. Tra l’altro ci alleniamo anche insieme io e Lorenzo. Alla fine io sono stato l’erede di Marcellino, 'Sava' anche lui come me vorrebbe correre. Stranamente abitiamo tutti e tre nel giro di cinque chilometri. Marcellino, quando uscivamo in bici, mi faceva venire la lingua a penzoloni, ma se vivi a Cesena non puoi non amare la bici e lui me l’ha trasmessa questa passione".

 

LS – "Chissà, sarà la piadina, non so, sinceramente non saprei, però è vero che abitiamo tutti e tre lì".

Insomma Michele, hai creato una specie di "MP51" Accademy…

 

MP – "No, non scherziamo, ma con Savadori abbiamo creato un piccolo gruppo, con Ferrari e altri ragazzini, poi a Misano con dei giovani ducatisti perché, secondo me, Ducati ha le potenzialità per far girare dei ragazzi con le sue V2, magari anche dei ragazzini con quelle depotenziate. Come tutte le cose ci vuole del tempo, starci dietro, ma io ho la passione per questo sport e a Misano abbiamo anche creato una scuola di meccanici, non a pagamento, con 25 alunni all’anno. Insomma abbiamo fatto delle cose belle e se passi te le faccio vedere volentieri". Bravo Michele, il seminatore di passione. 

Il metodo per fare il collaudatore va più a sensazione, non è esattamente scientifico, insomma. Racconta un po'...

 

ML – "Adesso gli ingegneri arrivano dopo prove al banco e lunghi studi con un’idea piuttosto precisa di quello che dovrebbe succedere con quelle modifiche. Però le sensazioni personali sono importanti, basti vedere che con la stessa moto alcuni piloti partono meglio dei loro compagni, altri si sentono meglio in frenata e così via. Una volta si provavano cose più evidenti, motori, telai, sospensioni, ma alla fine della mia carriera ho testato anche la Cube Aprilia MotoGP e lì già c’erano già i primi sistemi antispin, antimpennamento, c’era il "ride by wire". Io sono partito dalle puntine e sono arrivato all’elettronica, non sofisticata come adesso, ma insomma… Diciamo che, per la mia esperienza, fino al 2000 l’elettronica era soltanto l’anticipo, poi nel ’01 sono passato con la Cube e Gigi Dall’Igna era il capo progetto: fu mandato via perché la Cube non andava bene e fu mandato in Derby. Normale commettere sbagli quando non hai esperienza di un tipo di moto. Allora io gli dicevo che nel 4 tempi la frizione era importantissima, lui mi diceva che non poteva mettere degli ingegneri impegnati in altre cose a fare la frizione. Beh, adesso hanno capito che la frizione è la prima cosa che serve per andare forte con una 4 tempi. Quando invece Gigi tornò in Aprilia e fece la 250, che alla fine ha avuto anche Simoncelli, mise tutto quello che l’esperienza gli suggeriva: mappature marcia per marcia, GPS, piattaforma inerziale… Insomma in ogni circuito potevi avere l’anticipo giusto per ogni curva, già allora e sulla 250, si iniziava ad avere un’elettronica piuttosto importante, anche se si usavano ancora i carburatori".

 

MP – "La maggior differenza in questi anni è stato che, quando sono arrivato, c’era un approccio scientifico, però si è cominciato a valutare anche le sensazioni. Purtroppo non c’è uno strumento che riesca a misurare queste valutazioni. Il feeling del pilota si può misurare soltanto dal cronometro, perciò questa è stata la chiave di come abbiamo lavorato in questi anni. Se ti limiti all’approccio scientifico, devi sapere che qualsiasi novità portino gli ingegneri per loro ovviamente dovrebbe andare meglio, essere un passo avanti. Secondo loro adesso la moto potrebbe andare sulla luna, visto che loro migliorano la moto tutti i giorni e pensano che ogni modifica sia un miglioramento, così almeno dicono il computer, la statistica. Però alla fine di 10 pezzi 8 vengono scartati. Questo confronto ha fatto sì che la moto sia diventata qualcosa che si adatta a tutti i piloti, a quelli pesanti come Danilo Petrucci e a quelli leggeri come Enea Bastianini. È però ovvio che se tu, come è successo a noi con Casey Stoner o alla Honda con Marc Marquez, hai un campionissimo che col suo talento nasconde queste differenze, finisci per viaggiare in una bolla. Quando però questo incantesimo finisce, come accaduto nel caso di questi due grandissimi piloti, cosa ti ritrovi? Che sei nella m***a, perché ti ritrovi con una moto che non hai sviluppato, ti trovi problemi grossi e difficili. Questo è quello che ho vissuto, scoperto in questi anni: io sono arrivato in Ducati nell’era di Valentino e, quando l’ho visto al Mugello, gli ho detto: 'mi dispiace che non potrai mai guidare questa moto'. Perché - lo dice l’unico che ha guidato quella là e l’attuale - sono due cose completamente diverse. Quella del 2011 e ’12 era una moto che entravi in curva e non sapevi se uscivi, questa trasmette al pilota tutta una serie di sensazioni che ti permettono di fare la differenza, che comunque la fa il pilota come Bagnaia, Martin o Bezzecchi. Avere una moto di questo livello ti permette, nel caso il campionissimo abbia dei problemi, di fare bella figura e finire decimo".

 

LS – "Sono quello più giovane dei 3 e perciò sono anche quello che è cresciuto di più accompagnato dalla tecnologia, però è chiaro che, al di là di tutti gli strumenti che esistono oggi per valutare tutte le varie cose che si provano, c’è ancora il famoso feeling del pilota. Quando dici 'non ho feeling', chiaramente si fanno valutazioni anche su queste sensazioni umane. Quest’anno per noi è cambiato molto, perché abbiamo perso le concessioni e non possiamo più fare certe cose. Durante la stagione si provano magari anche soluzioni di set-up, ma soprattutto telai, forcelloni e in particolare aerodinamica, che sta diventando sempre più importante anche nelle moto. Si provano i vari abbassatori, tutte queste tecnologie nuove che si vedono in MotoGP. Nell’ultimo anno, visti i progressi nell’aerodinamica, gli ingegneri provano prima le cose in galleria del vento e poi io le provo per primo in pista per capire se danno dei risultati. In galleria si prova in modo statico, in pista è un’altra cosa, è una prova più completa dove riusciamo a capire meglio alcune cose. C’è sempre una parte fatta a computer, ma è fondamentale il riscontro in pista. Nella realtà, oltre le diverse posizioni di moto e pilota, c’è anche il vento e può arrivare da ogni direzione, bisogna insomma capire tutto".

Marcellino, a parte queste esperienze tra 2 e 4 tempi e cilindrate diverse, sei anche quello dei 3, insieme a Pirro, ad aver vinto un GP.

 

ML – "Sì, nel ’98 al Mugello con la 250, ma credo che per gli altri oggi sarà sempre più difficile riuscirci. Però io una volta suonavo anche gli ufficiali ogni tanto, vuol dire che proprio piano non andavo…".

 

Questa è una domanda che faccio soltanto a te che le hai sviluppate: è vero che la 250 GP era una moto da corsa praticamente perfetta? Un equilibrio unico tra potenza, guidabilità, sofisticazione, velocità…

 

ML – "Pesava 100 chili e aveva 110 cavalli, faceva più di 300 Kmh e avevano messo dei controlli di trazione altrimenti quando gli davi gas volavi via…le moto di oggi sono molto più pesanti, sono molto limitate e quindi devo dire che era più piacevole allora, anche se con quelle quattro tempi là ti divertivi perché la mettevi di traverso di gas anche se sono difficili da fermare e da guidare. Adesso per fare il pilota devi essere un vero atleta e lo sono tutti, allora io mi allenavo un po’ in bici e andando in moto quando giravo, adesso devi stare sul pezzo tutti i giorni. Mi ricordo che i piloti delle prime 4T scendevano dalla moto con le borse sotto gli occhi per la fatica, adesso no. Ritornando alla 250 era un equilibrio perfetto, quando ci sono le giornate Aprilia tutti quei piloti vogliono guidare la due e mezzo perché è la moto più bella per emozione, potenza, guidabilità. Quella è la moto da corsa, la Moto2 pesa 170 chili, hanno tutti lo stesso motore. Hanno reso più facile entrare, ma che gusto c’è a chiamare con il tuo marchio una Kalex?”.

Ti dico una cosa: Alex Barros nel 2002/3 quando mi raccontava delle prima MotoGP mi diceva che il 100 per 100 di gas glielo dava soltanto per pochissimo in quinta e poco in sesta.

 

ML – "Con le prime MotoGP il motore era sempre tagliato: in prima al 59% e poi via fino alla quarta. Pensa che la ruota posteriore in rettilineo faceva dai 40 ai 60 chilometri all’ora in più di quella davanti! Quando ne faceva soltanto 40 eravamo contenti… allora eravamo agli albori e i motori erano anche molto più bruschi. Con l’elettronica noi in Aprilia eravamo indietro; volevamo fare tutto in casa, mentre Ducati si faceva aiutare da Magneti Marelli che aveva già molta esperienza con le auto e la F1".

Quanto conta l’esperienza?

 

ML – "La squadra test quando va a correre ha come problema maggiore il non avere il ritmo della gara. Quando fai i test hai tutto il giorno, vai più tranquillo, hai molto più tempo. Invece correndo devi metterti a posto in fretta. Quando correvo con Biaggi e quei piloti lì, vedevo che loro fossero molto più rapidi di noi a mettersi a posto, era una questione di allenamento, di abitudine. In più il team sviluppo va a correre, ma un po’ di prove le devi comunque fare, per cui testi cose differenti, mappature biellismi delle sospensioni e via così. Poi ad un certo punto ti dedichi alla scelta delle gomme, alla messa a punto perché devi anche gareggiare al meglio. Conta di più per un collaudatore, perché uno giovane il gas glielo dà comunque, ha voglia, fame, non si preoccupa. Con l’esperienza invece capisci che magari è meglio non cadere, non esagerare e continuare nello sviluppo della moto".

 

MP - "A me, ad essere sincero, il rammarico di non aver fatto qualche anno di mondiale rimarrà per sempre. Non saprò mai se il mio livello avrebbe potuto crescere o no. Comunque aver avuto la fiducia di piloti come Andrea Dovizioso, Jorge Lorenzo e vedere questi di un’altra generazione apprezzare il lavoro che abbiamo fatto e continuo a fare da una parte mi inorgoglisce. Perché io invecchio, ma le sensazioni sono ancora valide. Comunque, facendolo da tanti anni, è chiaro che l’esperienza ti aiuta, questa è la chiave, abbiamo raggiunto grandi risultati anche grazie alla capacità di capire quando spingere, quando analizzare, secondo ciò che avevamo da provare. Puoi anche sapere più o meno quanto si può migliorare ad esempio tra quest’anno e il prossimo, ma se poi si presenta qualcuno con una moto che va mezzo secondo più forte, ecco questo non lo puoi controllare ovviamente, lo scopri soltanto quando vai in pista. Anche perché le cose nuove davvero le provi quando sei solo, nei test con gli altri spesso un po’ camuffi".

 

LS – "Il mio sogno e il mio obiettivo è quello di correre chiaramente, ma un team sviluppo e un team racing sono diversi. Il team che corre è sempre alla ricerca della miglior soluzione per fare performance, visto che si sviluppa tutto intorno al cronometro. Una squadra test è chiaro che deve tener presente la velocità, e infatti giriamo vicini ai tempi dei piloti ufficiali, e deve comunque andare al limite; ma prima della ricerca del tempo, devi capire quale soluzione ti aiuta di più ad essere veloce tra quelle provate".

Con gli ingegneri è più importante spiegarsi, capire o discutere?

 

ML – "Gli ingegneri negli anni imparano a conoscerti e capiscono quando dici una cosa ciò che intendi davvero, hanno più fiducia, devono fidarsi e se le sensazioni non coincidono, stop! Si torna alla base e si resetta, si fa qualcosa di diverso. Ma ci deve essere un gran feeling sempre tra il pilota e i tecnici, anche se fai soltanto le gare".

 

LS – "Con gli ingegneri è importante sapersi spiegare: ti devi interfacciare bene con chi magari vede dei numeri e non è mai andato in moto. Comunicare in maniera corretta in modo che ci si capisca è fondamentale. Perché sei su due ruote e la ricerca di questo famoso feeling è l’essenziale".

Il rapporto tra i tester e i piloti ufficiali, invece, com’è?

 

ML – "Con Biaggi non era facile, sai com’era fatto lui, con tutti gli altri, da Harada a Valentino e Capirossi c’era un rapporto di stima da parte mia per loro e viceversa, avevano fiducia nelle scelte che facevo. Io dicevo le mie cose all’ingegnere, poi loro facevano una riunione e ne parlavano. Magari ogni tanto ne discutevi coi piloti, ma non era la base".

 

MP – "Ho rinnovato per altri 3 anni con Ducati e questo fatto che sono arrivati i giovani mi ha dato lo stimolo a continuare. Vivere due generazioni di piloti, cioè quella dove abbiamo corso io, Dovizioso, Lorenzo, Stoner, Valentino e una completamente nuova, diversa, è una cosa bella. Nella mia carriera, magari indirettamente perché faccio poche gare di MotoGP e in quei casi me le suonano, confrontarmi, vedere il modo di guidare, di pensare dei giovani mi rende felice, non mi pesa. Tutti noi della vecchia guardia eravamo un po’ più rigidi, un po’ più impostati su come avevamo l’abitudine di guidare le moto, oggi sono molto più flessibili, più pronti al cambiamento. Loro vengono da una scuola che già da piccoli li ha formati molto bene. Noi invece ci siamo formati andando con lo scooter o l’Ape. Ora crescono con magari uno come Valentino che gli dà consigli, li allena. Sai, su queste cose un conto è metterci mano a 25-30 anni, un altro farlo a 15. Oggi sono già abituati a cambiare, a migliorare. Una volta eravamo più impostati. Con loro si lavora bene. Il grande lavoro dei collaudatori spesso non si vede, magari fai 80-90 giri con un caldo pazzesco, sono cose che non si sanno".

 

LS – "Ho un grandissimo rapporto, sia con Maverick Vinales, sia con Aleix Espargaró. Spesso sono alle gare, quando provano cose nuove ci sono sempre e ci parliamo in un linguaggio che definirei 'da piloti', nel senso che abbiamo un nostro linguaggio per capirci al meglio e spesso questo velocizza anche il lavoro. Adesso il weekend di gara è molto compresso, c’è la Sprint già il sabato pomeriggio, le qualifiche la mattina. E, se viene modifcato qualcosa che io ho già provato e so che va meglio me ne chiedono conto. Però ne parliamo dopo che l’hanno provato pure loro, così non vai ad influenzare il loro giudizio. In questi anni comunque non mi è mai successo che una cosa che io giudicavo positivamente per loro fosse negativa. Magari è un po’ meglio per uno e non per l’altro. Adesso stiamo lavorando molto sulla partenza, ma anche molto sulla frenata, sul fermare la moto. Quando siamo così vicini al limite è difficile migliorare".

A che punto della carriera è giusto cominciare a fare il collaudatore?

 

ML – "Ai miei tempi, prima dell’Aprilia, qualsiasi moto che avevamo dovevamo anche mettercela a posto, perché non avevamo i soldi ed erano moto artigianali. Quindi dovevi per forza capire cosa ti impedisse di andare più forte o cosa potessi migliorare. Nascevi collaudatore un po’ per forza. Nell’89 io ho fatto l’europeo, che ho perso per poco, andando alle gare con un ragazzo e basta, eravamo in due: facevo da meccanico, da pilota, da autista… Poi arrivò Witteveen che volle sapere perché la mia moto andasse meglio di quelle buone e gli dissero che io ero bravo anche come meccanico. Questo mi ha aiutato, avevo 32-33 anni, ero in forma grazie alla bicicletta. Correre comunque serve, perché capisci a che livello sei, hai più ritmo e mentalmente vuoi stare davanti. Serve anche per poter dire che, se sei tanto indietro, non è colpa tua, ma delle regolazioni magari sbagliate, perché il tuo potenziale è molto più alto. Ti racconto una cosa: nel ’99 in Giappone, al venerdì dopo il primo turno, ero ultimo su una pista mezza bagnata e mezza no. Dissi ai miei meccanici di stare tranquilli, che quello non era il mio posto. E il giorno dopo sul bagnato feci il miglior tempo, tanto che Kenny Roberts Junior venne a complimentarsi con me. A quei tempi il periodo di 'solo gas' era già passato, avevo un approccio più analitico, più intelligente".

 

MP – "Quando io sono arrivato, volevo fare il pilota. A quei tempi il collaudatore prendeva 3 o 4 secondi, in pratica consumava della benzina, verificava che non si rompesse niente. Quando sono arrivato io, guidavo forte come i piloti ufficiali. Perciò, se qualcosa fosse andata meglio o peggio, lo si sarebbe potuto valutare. Questa è stata la chiave. Prima, anche se giravi più piano, si pensava che il pilota ufficiale avrebbe colmato il divario anche di 2 o 3 secondi. Questo metodo ti faceva perdere molto tempo nello sviluppo. Per esempio dicevi: la provo con Battaini e poi, quando la guida Valentino Rossi, gli dà 3 secondi. Non funziona così, non è che 3 secondi li trovi al supermercato! Di questa cosa sono orgoglioso, perché ho cambiato anche un po’ le sorti del collaudatore: prima era un ex pilota, adesso deve essere uno che va anche forte. Ora si è anche creato un rapporto di fiducia, tale che non serve che se io scarto una cosa la debbano provare anche i piloti ufficiali, magari dopo 3 o 4 mesi. Ad esempio quest’anno abbiamo provato alcune modifiche e, subito dopo Spielberg, Bagnaia le ha montate e ha detto che andavano bene. Così perdi molto meno tempo, cosa importantissima in questa MotoGP".

 

LS – "E’ molto bello il lavoro che sto facendo, è bello vedere che Aprilia sia al vertice. E' qualche anno che lo faccio e in questo periodo grazie a me, a tutto il test team e a quelli che lavorano al reparto corse, la moto è cresciuta tanto. Quindi mi fa ovviamente molto piacere ed è motivo di grande orgoglio vedere Aprilia che in alcune piste lotta anche per la vittoria. È chiaro che, da pilota, a me piacerebbe poter correre, far le gare mi manca. Io nella mia carriera sono sempre stato un pilota molto sensibile e questa esperienza l’ho costruita insieme ad Aprilia, correndo per loro da molto tempo. La casa mi ha portato per mano a vincere la coppa del mondo Stock 1000 nel 2015, l’europeo 125, il primo campionato italiano Superbike, mi hanno fatto crescere tanto loro, fino alla MotoGP, però diciamo che io ho sempre avuto questa sensibilità dentro. Capisco subito se una cosa è migliorativa o no. È faticoso trovare sempre qualcosa che faccia migliorare la performance, soprattutto quando sei lì davanti. Ed è fondamentale capire quando è giusto imboccare delle strade. Comunque adesso i collaudatori devono essere veloci: io ho iniziato nel 2020 e ora, quando corro, faccio soltanto 3 gare in un anno e in piste dove non abbiamo già provato, quindi diciamo che parto alla pari con gli altri, però senza correre sempre con costanza. Ma spesso devo anche provare delle modifiche e da pilota non è facile. Mi piacerebbe correre perché sono abbastanza vicino e vorrei farlo nelle loro stesse condizioni, anche perché comunque utilizzo una moto 'laboratorio' con più sensori, più cose montate per rilevare il maggior numero di dati possibili. Sai che devi finire la gara, ma quando sei lì e giri a sei-sette decimi dal primo la parola 'prudenza' non esiste, la MotoGP di oggi è veramente molto livellata. Disputare delle gare da collaudatore è importantissimo, perché quando ci sono le gare girano un sacco di moto e le piste sono sempre molto più gommate, pulite e veloci di come sarebbero se girassi io da solo o in due. È fondamentale correre perché sei nella stessa condizione di tutti, i tuoi e gli altri".

Domanda per Pirro, anche se l’ombra della tua mano è rimasta anche in Aprilia. Secondo te, qual è il segreto dell’ingegner Gigi Dall’Igna?

 

MP – "Gigi è un leader. All’inizio con lui mi sono scontrato, perché io volevo correre e lui invece voleva che facessi il collaudatore non trovando nessun altro e via così. Negli anni ho poi capito che un leader capisce cosa devono fare le persone che lavorano con lui e così riesce ad ottenere il massimo. Fino a qualche anno fa io con lui ero incazzato nero, ma ora che ho 37 anni e mi guardo indietro come faccio a non dargli ragione? Io non ho mai fatto un anno o due interi di mondiale, ma a fare la moto migliore ci siamo riusciti senza dubbio. Questo grazie a quello che aveva in testa lui. Nel nostro gruppo ognuno, come Paolo Ciabatti e Davide Tardozzi nel loro ambito, ha fatto il suo. Abbiamo anche sofferto per tanti anni: adesso sembra tutto bello, perché abbiamo vinto il mondiale l’anno scorso e nel 2023, ma sono tanti anni che ci andiamo dietro. Io sono quasi 12 stagioni che lavoro per questo, anche se dovessimo vincere per qualche anno di fila non abbiamo rubato niente…".

Secondo voi, soprattutto adesso, c’è un indotto dall’auto alla moto?

 

ML – "Con tutte le limitazioni che ci sono oggi nel regolamento e i limiti ai test, le cose dove puoi lavorare di più sono ciclistica, sospensioni e aerodinamica. Già io ai miei tempi non hai idea di quanti giorni di test abbia fatto nell’aeroporto di Treviso per migliorare l’aereodinamica dell’Aprilia. Avevo i miei riferimenti e così vedevo che mi mancavano 500 giri, così che ne avevo un po’ di più e via di seguito. Avevamo capito che la penetrazione aereodinamica era importante, d’altronde c’era Gigi Dall’Igna. Poi presero un ingegnere aereodinamico e andammo nella galleria del vento con me statico a provare questo e quello. Comunque le differenze dall’auto sono molte, visto che noi ci spostiamo, tiriamo fuori il ginocchio e così via. Mi hanno detto che con questi 'baffi' le cose sono molto diverse e ci si deve abituare a un tipo di guida diverso, più fisico. Adesso avranno dei feedback differenti, ma comunque è un mondo che si sta avvicinando con continui studi e modifiche. Ma sono due dinamiche diverse quelle dell’auto e della moto".

 

MP – "Quando senti dire che l’Audi ci ha dato una grande mano, sappi che sono tutte dicerie. I nostri risultati sono tutti frutto di 'made in Italy'. Certo, il far parte di un grande gruppo come Audi ti spinge a fare dei risultati importanti. Forse il nostro vero merito è stato quello di fare in modo che Superbike e MotoGP iniziassero a parlarsi: io ho provato anche le SBK e i nostri piloti, quando girano per allenarsi, usano le moto di serie che hanno tutte comunque qualcosa che le unisce alla MotoGP. Non è facile trovare una casa che ha portato questo know-how in tutte le sue moto, anche in quella elettrica: c’è un link che lega il top di Ducati, cioè la MotoGP, alla moto che tutti poi possono comprare, alla SBK, Supersport, all’elettrica. Abbiamo lavorato così tanto in sinergia che io quando ho provato la moto-e non ho cambiato nulla, era già a posto, era figlia di un reparto unico".

Qual è stata la soddisfazione, l’intuizione migliore che hai avuto?

 

ML – "Io spiegavo dove erano le difficoltà, poi si decideva sempre in gruppo per trovare le soluzioni. Non mi sono mai inventato niente, erano piccole modifiche. Io ho collaudato per più di un anno le sospensioni attive sulla 250: c’era una centralina che le abbassava e le alzava".

 

MP – "In questi anni ne abbiamo avute tante, ma forse la migliore è stata quella di puntare sui giovani. Perché contro Marquez non c’era niente da fare e ho capito che serviva avere la moto migliore, ma anche trovare il nuovo Stoner o Marquez. Di idee ne abbiamo avute tante, ma poi quelle che funzionano davvero sono poche. Adesso comunque, con sempre meno prove a disposizione, devi soprattutto ottimizzare i tempi e lavorare sulle cose che funzionano e migliorare".

 

LS – "Bah, magari un forcellone o un’aerodinamica che ho promosso da subito, che ho detto 'ragazzi, questa cosa è un passo avanti!' e l’abbiamo portata subito in gara ed è stato davvero così, perché è piaciuta a entrambi. Sono queste le soddisfazioni di questo lavoro. Vedere 3 Aprilia che lottano per la vittoria come a Silverstone mi riempie di gioia, sì di gioia".

Il pilota più ricettivo che hai incontrato?

 

ML – "Negli anni di Capirossi con Noccioli: dato che Mauro aveva molta stima di me, caldeggiava le mie soluzioni con Loris".

 

MP – "Sicuramente Lorenzo, ma anche Dovizioso, della mia generazione. I giovani invece mescolano il talento alla voglia di migliorare e cambiare: sono come un libro ancora da scrivere e quindi sono molto meno soggetti a guardare la tecnica della moto. Ma è anche vero che adesso la moto va bene e c’è meno bisogno di modificare. Ora ti devi adattare tu, perché c’è sempre qualcuno che va forte. Finora quello che ho visto utilizzare di più il pacchetto fatto di talento, testa, tecnica è stato Bagnaia. Per ora, almeno. Ma anche Bastianini, che però ha avuto un anno difficile, e Martin, che sta migliorando molto la continuità. E Bezzecchi ha un grande talento, lo conosco dai tempi del campionato italiano e ci farà divertire. Sono poi molto curioso di vedere Morbidelli sulla nostra moto perché non credo sia un pilota finito".

 

LS – "Aleix e Maverick hanno due stili di guida differenti, però non mi è capitato che una cosa andasse bene a uno e male all’altro. Quando qualcosa va meglio, lo fa per entrambi. Quando proviamo di solito non testiamo il set-up, ma cose più grosse e quindi mi è sempre capitato che le evoluzioni piacessero a entrambi".

Quello meno, invece?

 

ML – "Biaggi. Il suo team e Max, su quella che era la messa a punto del telaio, viaggiavano su un binario diverso. Quello che facevo mio lo guardavano, ma credo lo abbiano usato poche volte".

Il pilota che guidava tutto? E quello che invece aveva bisogno della perfezione?

 

ML – "Era Valentino Rossi: allora guidava qualsiasi moto gli dessi. La domenica mattina andava in modalità corsa e andava e basta. Quello che si adattava meno direi Tetsuya Harada: se aveva sotto quello che voleva lui era velocissimo, altrimenti no. Pure Biaggi, se non era a posto guidava meno velocemente".

 

MP – "Direi Miller e Andrea Iannone, ma più che altro Jack. È sempre stato quello meno sensibile alle piccole cose, anche lui è un cavallo pazzo".

 

LS – "Nelle corse quello che comanda è il cronometro, ma ora nella MotoGP anche il fatto magari di andare allo stesso modo, ma facendo meno fatica, è importante. Io ho lavorato principalmente con due piloti, non saprei dirti".

Una cosa Marcellino. Tu che non corri più, che ti piace della MotoGP di oggi?

 

ML – " Tra i piloti mi piace moltissimo Pecco Bagnaia per la maturità e continuità che ha raggiunto. E poi guardo sorridendo l’armonia che Valentino Rossi ha saputo mettere nella VR46 e nella squadra: è bello vedere come siano felici, contenti, allegri. Ti dico che lui da giovane non era così, ma erano altri tempi e invece mi piace molto questa cosa: penso che lui per il motociclismo italiano abbia fatto più di tutti, più della federazione. Bravissimi tutti. E bravo anche Uccio Salucci col team Mooney: è evidente come abbia messo a frutto la sua lunga esperienza. Ma soprattutto lavorano in armonia e, quando lavori così, i risultati arrivano. Credo che Bezzecchi abbia fatto bene a restare lì".

Cosa pensi della Sprint Race?

 

ML - "A me piace, ma per i piloti è un grosso stress in più. D’altronde fa più spettacolo, attira più interesse, più sponsor e questo è fondamentale per qualsiasi sport oggigiorno".

 

MP – "E’ un po’ come in tutte le cose: il mondo cambia e bisogna adattarsi a queste novità. Per lo spettacolo è sicuramente bello, ma per la tensione avere un’altra gara è diverso. Comunque in Superbike e nell’italiano si fanno gare in giorni diversi e, se per lo spettacolo e per richiamare gli appassionati serve, bisogna anche fare quello che poi è utile a tutti e al mercato. Noi abbiamo passione e voglia, ma siamo anche un business. Per i piloti avere così poco tempo per provare con un po’ di tranquillità è uno stress assoluto, ma è uguale per tutti e, se è questo che serve, facciamolo. Anche se per un certo verso è un sacrificio: non c’è un attimo di respiro, da quando entri in pista il venerdì mattina alla domenica sera, è tutto uno stress. Prima fino al sabato pomeriggio eri abbastanza tranquillo. Ora o sei a posto o sei tagliato fuori".

 

LS – "A me piace, però forse le gare sono un po’ tante. Io non corro tutti i GP, perciò faccio fatica a darti un termine di paragone. In un certo senso sono avvantaggiato perché con 3 wild-card faccio 6 gare, ma spero che le possibilità di correre per noi aumentino in futuro". 

 

Bene, direi che possa bastare, ciao a tutti e grazie per questa disponibilità interessante, divertente e bella. Buon viaggio a tutti voi.