Roberto Locatelli: "Sogno di arrivare in MotoGP e vincere un Mondiale da Team Manager"

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Paolo Beltramo

Paolo Beltramo

Foto IG @fanticmoto2

Il Team Manager di Fantic, squadra di Moto2, intervistato da Paolo Beltramo ha ripercorso la sua carriera e ha fissato l'obiettivo per il futuro: "Sono stato 'operaio' dei 2 Rossi più forti al mondo, Valentino e Vasco, quasi non parlo più del campionato vinto. Il Sic è stato uno dei migliori compagni di squadra mai avuti, ho vissuto la sua eccezionalità. Il mio sogno non si ferma qua: voglio vincere un Mondiale MotoGP da team manager"

LA CONFERENZA PILOTI LIVE

Bergamasco arrivato alla velocità passando per il fango del fuoristrada e la passione del papà, Roberto Locatelli, il "Loca" è un personaggio tra i più poliedrici del paddock e anche uno dei più amati: buono, sincero, appassionato, modesto e onesto com'è. Ha corso in 125 e 250 riuscendo sempre a mettersi in luce per la sua velocità. Amante della moto e della musica, nel 2000 ha vinto il titolo della classe minore gareggiando per il Team di Vasco Rossi, poi ha corso anche per la squadra di Eros Ramazzotti e in due e mezzo è stato compagno di Max Biaggi e Marco Simoncelli con le Aprilia ufficiali. La sua carriera si chiude nel 2009 dopo il coraggioso ritorno in pista in seguito ad un terribile incidente del 2007 a Jerez de la Frontera. Roberto non ha però mai abbandonato quello che è il suo mondo e si è trasformato in "coach", commentatore tecnico, ancora coach e, da quest'anno, Team Manager della squadra Fantic. In questa intervista emerge la sua filosofia di vita che, detta a modo suo, è comunque un modo di vivere le corse interessante.

 

Il "Loca" ha quasi 50 anni (nato a Bergamo il 5 luglio 1974) e una famiglia meravigliosa con una coppia di figli (un ragazzo e una ragazza) che quando può segue con amore e passione.

 

Roberto Locatelli

Ciao Roberto, come va?

"Mi sto divertendo con mia figlia che fa le gare di sci, sono 40 secondi di gara, non ci sono qualifiche o una prova libera e quindi si concentra tutto lì, dura niente ed è intenso. L'importante è che si diverta, il risultato non conta, ma c'è un bel po' di vibrazione".

 

Beh, rimani in tema.

"Sì gare. Sempre gare".

 

Andiamo al periodo più bello e curioso della tua carriera, quello col team di Vasco Rossi. Parlami soprattutto di lui. Noi ci abbiamo parlato, mangiato, ma tu hai avuto modo di conoscerlo molto meglio il Vasco versione moto.

"Guarda, se andrai a cercare non ne troverai un altro, perché io sono stato 'operaio' dei 2 più forti Rossi del mondo. Uno vabbè, il pilota e l'altro il grandissimo cantante. Di questo mi vanto e quasi non parlo più del mondiale vinto. Dico operaio per far capire: quando fai il pilota o il coach sei pagato, quindi operaio rende l'idea".

 

Roberto Locatelli Vasco Rossi

Per ora parliamo del Rossi artista. Non veniva tante volte, addirittura ricordo che quando hai vinto al Mugello non ha voluto salire sul podio per non offuscare la tua vittoria.

"Lui non voleva togliere visibilità a me che correvo. Non soltanto al Mugello. Quando c'è stata la festa a Bergamo per la vittoria nel mondiale l'ho chiamato e mi ha risposto che se fosse venuto non sarebbe più stata la mia festa. Oggi forse tutti lo vediamo un po' più umano grazie ai social dove si esprime, dice le sue cose, dimostra forse più umanità di quanto non facesse da giovane, anche se questa umanità esisteva anche prima e io ho avuto la fortuna di viverla prima dei social. Quando mi disse quella cosa sulla mia festa, per il raggiungimento di un mio sogno, capii ed aveva ragione".

 

Non veniva comunque molto spesso alle gare.

"Veniva più spesso all'estero perché voleva vivere anche i box, ti ricorderai a Jerez, In Brasile, Argentina. Quel paddock là, di fine anni '90, inizio 2000 lasciava vivere molto di più un Vasco Rossi, viveva di più il suo essere normale. C'è stato per 3 anni e con lui alle corse andavano i suoi amici che non facevano parte del giro dei concerti. Erano amici normali, che vivevano un evento normale con Vasco. Bello".

Roberto Locatelli Vasco Rossi

Perché poi ha smesso? Lo sai?

"È riuscito ad ottenere tutto in poco tempo, anche questa è stata una sua eccezionalità'".

 

Qual è la sua canzone che ti piace di più?

"Ce ne sono troppe, anche quelle nuove dopo che le ascolto due o tre volte mi piacciono, ma se proprio devo direi 'Vita spericolata'. Quest'anno compio 50 anni, la ascoltavo da bambino, ma mi ha accompagnato anche nella mia vita da pilota che un po' ci sta nel titolo e quindi 'Vita spericolata' è la mia canzone preferita".

Che poi era la canzone preferita anche da Marco Simoncelli col quale hai corso nel 2007, 08 e 09 in 250 con la Gilera.

"Sì tre anni insieme e l’eccezionalità di Marco l'ho vissuta, ad esempio, in un mio compleanno. Aveva la sua morosa Kate qua a Bergamo, ma sì presentò alla mia festa senza che lo avessi invitato. Preciso: mi fece un grande piacere, io pensavo 'che cavolo invito il Sic, che avrà le sue cose da fare' perché le nostre abitudini ed età erano diverse, lo vedevo alle corse dove avevo la fortuna di essere suo compagno di squadra. Così non avevo pensato di invitarlo al mio compleanno, da quel Locatelli della bergamasca. Invece è venuto senza dirmelo, facendomi una sorpresa e diventando quasi il più bel regalo di quel compleanno per me e anche per i miei amici".

 

Com'era Marco come compagno di squadra e avversario?

"Come avversario era fortissimo, come compagno uno dei migliori che abbia avuto, perché ne ho avuti altri buoni. Però lui nonostante fosse famoso, fosse il personaggio nuovo che 'tirava' di più è sempre rimasto il Marco Simoncelli che era".

 

Simoncelli Locatelli

La tua carriera ha vissuto un momento determinante a Jerez nel 2007 con quell'incidente pazzesco nei curvoni prima del tornantino d'arrivo. Mi ricordo di te a Bologna in ospedale…

"È stata non una scelta, ma la svolta della fortuna, non la chiamo sfortuna perché che mi messo in condizione di vivere una vita più normale dopo tre anni da quel giorno, quando ho smesso di correre. Mi sono reso conto di non essere più sano al cento per cento e visto che andare forte in moto mi veniva difficile quando ero Locatelli del tutto, dopo l'incidente mi veniva troppo difficile, erano diventati troppo saltuari i buoni risultati, le prime file e questo anche perché in fondo non ero più così appetibile per chi voleva farmi correre. È stato un dibattito interno con me stesso e ho condiviso la scelta di smettere nel giro di 3 anni da quell’incidente".

 

Io ti ho sempre visto come una persona sensibile, uno che ha il coraggio di guardarsi dentro.

"Io ho il coraggio di perdere ed è forse questa la cosa che mi rende diverso da tanti nell'ambiente. Un po' come quello che ho vissuto recentemente con Aron Canet che ha vinto la sua prima gara e per me è stata un po' come se avessi vinto anch'io.  Ne ho vinte 9 di gare, con questa sono 10, anche se è diversa, però con Aron e con gli altri piloti che ho e ho avuto, parlo e ho parlato molto e sono pronto a perdere, per questo riesco anche a vincere, ma in generale è più facile, capita più spesso di perdere che di vincere ed è quindi importante saperlo fare. Bisogna saperci parlare con questo lato, ultimamente forse lo ha dovuto fare anche Marc Marquez. Prima vinci sempre, diventa quasi automatico, poi le cose cambiano e allora devi confrontarti con questo aspetto al tuo interno e quando ci vai d'accordo diventa ancora più bello andare avanti, correre  e provarci ancora".

Roberto Locatelli

Questo aspetto di rapporto con la sconfitta, l'hai trovato anche in Rossi?

"Con Valentino ho avuto la fortuna di lavorare, ma non ho avuto molto a che fare con lui. Alla VR46 ci sono tante persone che lavorano bene quindi tu hai a che fare con tanti altri, ma posso dire che mi ha lasciato quella sensazione che avevo quando correva e che provo ancora oggi: che lui ha fame di vittoria sempre, qualsiasi cosa faccia, fosse anche giocare a carte, lui vorrebbe sempre me soltanto vincere. Per me lui è il più di tutti, è una cosa che possiede ed è naturale. Magari lui vorrebbe mettersi a pari, oggi che fa altro e si diverte, ma siamo noi tutti, io perlomeno, che lo mettiamo davanti per quello che ha rappresentato ed è stato nella sua epoca, senza volerlo paragonare con altri piloti di altre ere". 

 

 Hai corso un bel po' quando correva anche Vale. Come lo vivevi?

"Come ho imparato a perdere, ho anche imparato che uno come Vale non era una nuvola per  noi, ma anzi una luce, per tutti, perché se nel motomondiale in quegli anni sono arrivati interessi e soldi, se gli stipendi sono aumentati è perché c'era gente che ambiva a stare nel nostro sport. Il come ha vinto ed è cresciuto lui ha dato moltissimo al motomondiale. È stato tutto naturale, non si è messo a studiare un manuale per diventare VR46. Anche oggi le gare che disputa le vediamo su Sky perché ci corre Valentino. Certo magari speravi che venissero alle gare per vedere Locatelli, ma anche se non era così, andava bene perché insieme alla sua vedevano anche la tua. Devi metterla in positivo, altrimenti ti faresti delle menate mentali che ti impediscono di valutare le cose da migliorare, ma anche quelle buone, valide".

Roberto Locatelli

Con Valentino anche quando non lo conoscevi bene, avevi comunque un bel rapporto come si capisce da quello che hai detto. Con Max Biaggi però no.

"Biaggi è una persona particolare. Se pensi al Biaggi dei mondiali vinti e delle sfide da titolone sui giornali, devi ammettere che pure lui ha portato tanto interesse sul nostro mondo, questo gli va riconosciuto. Però lui è uno meno aperto, meno divertente, non si butta nel far casino, però ha vinto tanto anche lui, prima di Vale c'era lui, ha portato tanto, soltanto che era di un colore diverso".

 

A te ha fatto togliere un motore ufficiale dopo un venerdì sera a Jerez perché eri stato più veloce di lui.

"Usava la sua influenza, il suo essere vincente, magari anche per limitare un po' i giovani emergenti, qualche talento che stava crescendo. Oggi però mi sembra diverso. La cura migliore per i supercampioni è quando smettono - capita a tutti - e si guardano indietro e di fianco, non soltanto davanti. E comunque se ci guardiamo senza le moto siamo ancora più simili. Secondo ma quando siamo soli in bagno, che reputo il luogo più intimo che ci sia, ci rendiamo conto di essere molto simili agli altri".

 

Locatelli

Cambiamo discorso. In tutta questa tua passione per le moto, Bergamo ha avuto una sua importanza, anche se poi hai abbandonato fango e mulattiere per la pista e la velocità.

"Bergamo mi ha fatto conoscere il fuoristrada, l’enduro, che era la passione di mio papà. Prima di smettere con le moto faceva fuoristrada, io vedevo le sue foto sulle moto con le gomme artigliate, sporche di terra e che facevano un rumore che per me era una musica. Quindi ho iniziato sporcandomi, poi con l’aiuto di Fabrizio Pirovano, campione della Superbike che purtroppo non c’è più, e seguendo le sue orme che erano quelle di chi era passato dalla terra all’asfalto. Mi piaceva ma costava e la velocità dava uno sbocco “lavorativo”, cioè permetteva di guadagnare dei soldi per andare avanti che l’enduro non poteva darti. Far diventare il tuo sogno il tuo lavoro è fantastico: è come un gioco, è come se qualcosa con la quale ti divertivi da piccolo poi diventa la tua vita. Se poi riesci anche a vincere, a salire sul podio, beh quello è qualcosa che può capire, toccare soltanto chi ci riesce. In più aggiungo che vincere un mondiale e non soltanto delle gare, è ancora di più, è diverso, è qualcosa che non in molti riescono a fare".

 

Essere riuscito a vivere il tuo sogno è stata una cosa bellissima.

"Certo, anche perché una volta che ho smesso mi ha consentito di vivere la mia vita bene. Un giorno, mentre aspettavo mia figlia, stavo parlando col maestro di sci mentre stavo tornando al furgone lui si è guardato intorno e ha detto una cosa molto vera e cioè che quelli sfortunati non erano lì".

 

Per ter Aprilia ha voluto dire molto, vero?

"Tutto, perché anche Gilera era un’Aprilia. Ho cominciato e ho terminato con loro".

 

Roberto Locatelli

Sei passato da Witteveen a Dall'Igna.

"Witteveen aveva un 'operaio' che si chiamava Dall'Igna. In quegli anni là Gigi stava facendo il 125 che era il suo inizio, la base della sua crescita. Anche per lui quell’anno vincere un mondiale 125 è stato riuscire a fare qualcosa di bello e vincente".

 

Ti aspettavi che sarebbe arrivato dove è ora?

"Sì, perché ha fatto cose bellissime con Derbi, poi con Aprilia Superbike, poi di nuovo con le 250. Insomma se ci fosse un adesivo di Dall’Igna, andrebbe appiccicato su diverse moto".

 

L'ingegner Dall'Igna ha fatto una carriera strepitosa, ma pure tu hai fatto anche il commentatore per noi di SkySport MotoGP.

"Per riuscire a fare il commentatore la cosa più difficile era riuscire a parlare con Guido Meda, perché trovarlo libero era difficilissimo. Passavo delle notti insonni a pensare che Guido non mi volesse, ero anche preoccupato perché non mi nascondo ero senza lavoro. Quando esci da questo ambiente poi è difficile rientrare. Alla fine è stato molto bello riuscire a fare quello che Guido mi ha proposto. Poi ho scoperto che quelle cose che magari sentivi e ti davano fastidio da pilota, ero poi io a dirla nel momento in cui commentavo. Cercavo di essere il più onesto e neutro possibile, ma di dire la verità".

 

Poi hai iniziato davvero la tua carriera di "coach".

"Prima della decisione speravo che Guido Meda non mi lasciasse andare perché non sapevo se sarei stato in grado di fare il coach da Valentino Rossi, perché per me Vale era sempre quello che ti ho descritto prima. Insomma c’era Pablo Nieto che mi chiamava, allora io telefono a Guido dicendo: 'Cosa devo andare a fare il coach là che sono a Sky dove non sto bene, ma da dio'. E lui mi ha risposto che quello era il mio mestiere, che avendo fatto il pilota potevo aiutare raccontando quello che vedevo ad occhio nudo. Poi era un’occasione d’oro e Sky era anche partner del Team, quindi di notte io e mia moglie abbiamo fatto i conti e deciso, ma io ero un po’ perplesso, perché non che non sapessi fare il coach, ma non sapevo se ero all’altezza di farlo per loro. Uccio, Pablo e Vale mi hanno detto di farlo e sono stati 5 anni fantastici. Allora avevo un po’ di dubbi, ma oggi ringrazio ancora Guido per avermi consigliato di fare questo lavoro".

 

Allora, per chiarire: ma di preciso cosa cavolo fa un coach?

"Il coach deve aiutare a risolvere quei dubbi che non sono risolti né dai dati, dai numeri, né dalle sensazioni. Il pilota è il primo a sentirsi in errore, tu coach devi essere quello che soppesa il tutto e dà una risposta. Non sulla scelta di un assetto, ma nel modo di portare al massimo la somma tra guida, traiettorie, talento. Oggi per esempio ci sono 8 Ducati in MotoGP, tutti hanno i dati. Bisogna cercare di dare risposte, magari dicendo cosa non va bene. Non ti nascondo che il lavoro che ho fatto in TV, dove guardavo i numeri, le analisi, per prendere spunti su quello che volevo dire, mi è servito per questo lavoro. Perché vedevi cose che dai box non vedi".

 

Roberto Locatelli

Adesso sei addirittura Team Manager della Fantic in Moto2!

"Adesso è un sogno che si sta realizzando, anche perché andando verso i 50 anni, volevo trovare una strada. Quando la Fantic e Stefano Bedon mi hanno proposto questo ci ho pensato con molta calma, ne ho parlato amichevolmente con Uccio e Pablo seduto in terra nel loro ufficio (a me piace sedermi in terra, voglio essere il più basso quando chiedo di sentire quello che ho da dire). Ci siamo lasciati diciamo 'amorevolmente' perché loro hanno capito il mio desiderio di provare a sviluppare il mio lavoro".

 

Mi sembra giusto, anche perché quella è un po' la struttura che era il Team Sky, un ambiente che conosci bene.

"Certo, certo, vero, la stessa".

 

E Aron "Tattoo" Canet com’è? Lo chiamo così per sorridere, ma tu lo hai portato alla sua prima vittoria in Portogallo ed è tra quelli che si giocano pole e probabilmente il Mondiale.

"Stai parlando dell'uomo più dipinto del mondo? È un ragazzo che per me assomiglia a Casey Stoner del quale sono stato compagno e ti dico che questo talento esplosivo, immediato che parte da subito al 100 per 100 deve soltanto imparare a gestirsi. È quello che stiamo cercando di fare. Considerando la sua bravura se riusciamo a far sì che il suo 'traction control' umano funzioni può essere vincente".

 

Roberto Locatelli
Foto IG @fanticmoto2

Come vedi il campionato adesso rispetto ai tuoi tempi?

"Io lo vedo bello. Star qui a parlare di cose vecchie, non restiamo innamorati del vecchio, ma guardiamo avanti. Chi si ferma a guardare al passato, che non sfrutta le cose che ci sono e non guarda avanti, poi forse la gara la perde anche la domenica. Sono convinto che a gestire questo sport ci siano persone intelligenti che non snatureranno, né perderanno l'anima di questo sport. Cerchiamo di aggiungere qualcosa".

 

Tu come Roberto Locatelli, vorresti arrivare anche in MotoGP?

"Sì, voglio vincere un campionato del mondo di MotoGP da team manager, non mi fermo. Come sono riuscito a vincere quel campionato che sognavo da bambino, il mio sogno non si ferma qua. Con Fantic ci sono tanti progetti, tanti sogni e mi piace salirci su questi treni. Valutare e lavorare per far diventare i sogni qualcosa di possibile".

 

Foto IG @fanticmoto2
Foto IG @fanaticmoto2

Con la famiglia sei felice, va tutto bene.

"Mia moglie compensa anche quella parte di me come padre che non riesco a fare perché il mio lavoro mi porta purtroppo molto spesso lontano da casa. Lei mi aspetta, mi completa. Prima poteva venire spesso alle gare, ma adesso ci sono i figli da cresce, curare, portare a scuola e alle varie attività".

 

Vuoi aggiungere qualcosa che non ti ho chiesto?

"Se ci potessero essere dei cloni di Roberto Locatelli, non avrei mai mollato i lavori che ho avuto: mi piacerebbe essere ancora in Gilera con Simoncelli, a lavorare da Valentino, a fare il commentatore, essere ancora da Vasco Rossi. Insomma non riesco a stare dove avrei voluto restare per tutta la vita. È una cosa positiva, ho sempre cambiato per fare qualcosa in più, ma se potessi essere cento Locatelli starei  in ognuno dei posti dove sono stato, perché ci sono stato bene".

 

Beh grazie "Loca", un modo di vedere le cose molto personale e umano. Con un linguaggio pure lui molto peculiare.