L’ Alfa deve correre, lo si capisce bene da qui

Motori

Matteo Valenti

L'Alfa Romeo ha le corse nel suo DNA, dall'anno della fondazione, il 1910. Le affermazioni di Sergio Marchionne su un possibile ritorno in Formula 1 si comprendono meglio dopo una visita al Museo di Arese. Un tesoro tutto da scopire che proviamo a svelarvi in questo video

Sono tanti gli eventi che hanno reso il 1976 un anno indimenticabile. In quell'anno Steve Jobs insieme al socio Steve Wozniak fondava la Apple Computer, mentre sulle ferrovie italiane iniziava a sfrecciare il famigerato “pendolino”, il primo treno ad assetto variabile (era il celebre ETR.401). Anche il mondo delle corse segnava quel periodo in maniera unica. In estate si verificava il terribile incidente di Niki Lauda al Nürburgring, seguito dal commovente ritorno in pista a Monza e dal drammatico finale al Monte Fuji. All’inizio dell’anno invece Sandro Munari si aggiudicava per la seconda volta il Rally di Montecarlo, al volante di una leggenda come la Lancia Stratos.

Prima di Mercedes, BMW e di tutti gli altri - Ma nello stesso anno si verificava un altro avvenimento che ogni appassionato di tecnica e motori non può trascurare. Finalmente, il 18 dicembre, dopo varie sistemazioni di fortuna, la collezione Alfa Romeo trovava una fissa dimora in un vero e proprio Museo. La struttura – prima nel suo genere - sorgeva ad Arese, alle porte di Milano e a pochi passi dallo stabilimento che all’epoca sfornava ogni ora Giulia e Alfetta.
L'inaugurazione accadeva esattamente 40 anni fa e per festeggiare un traguardo così importante il Museo Alfa Romeo, da poco riaperto dopo una ristrutturazione in grande stile, si è concesso una giornata veramente speciale. Soltanto per un giorno i visitatori hanno potuto ammirare i modelli dell’intera collezione con i cofani spalancati e i motori lucenti belli in vista.

Il cuore sportivo esce allo scoperto - Poter ammirare le Alfa che hanno fatto la storia con il cofano alzato non è stata soltanto un’occasione più unica che rara. L’operazione infatti ha permesso ai visitatori più attenti di scovare anche alcuni segreti e una serie di “chicche” normalmente impossibili da notare con le auto “chiuse”. Accompagnati dal curatore del Museo, ne abbiamo scoperte davvero delle belle. Come la 2600 Sprint esposta nella prima sala, che sotto al cofano nasconde il prototipo di un motore sei cilindri in linea a iniezione, davvero avanzatissimo per l'epoca (siamo nel cuore degli anni '60). Un dettaglio solitamente nascosto agli sguardi, ma che ancora una volta ci racconta di come l’Alfa sapeva anticipare i tempi e le tecnologie.

I maestri Busso e Gandini - Siamo passati poi alla 164 esposta poco più in là, scoprendo che il suo magnifico 3.0 V6 Busso ha percorso soltanto 75 km (!) e poi ancora alla 8C, con quel particolare cofano che tradisce la sua essenza di prototipo pre-serie. E poi abbiamo ammirato auto che soltanto in una giornata come questa, dove le carrozzerie sono state “aperte” nel senso più letterale del termine, riescono a comunicare tutta la loro storia. Come la Carabo concept di Gandini, che anticipava già negli anni ‘60 le forme spigolose che andranno di moda soltanto 10 anni dopo e che una volta aperta ci è sembrata davvero un insetto, come del resto voleva suggerire il suo nome (Carabo significa coleottoro).

La leggendaria 33 Stradale. Soltanto guardando sotto la sua pelle ci siamo resi conto per la prima volta di essere realmente in presenza di un’auto da corsa fatta a finita, trasformata solo in un secondo momento in auto “stradale”. La meccanica che abbiamo potuto ammirare era in effetti la stessa della Tipo 33 che correva nel Campionato Sportprototipi. Ma ci ha colpito moltissimo anche la 8C 2900. Un’auto che siamo abituati a considerare come la “bella addormentata” del Museo, uno dei pezzi più sensazionali della collezione. Eppure, aprendo il cofano, ci siamo accorto che in realtà, “sotto”, si nasconde una vera auto da gran premio, super sportiva, come testimonia il motore collocato molto più in basso rispetto agli altri modelli dell’epoca.

La “bellezza necessaria” delle auto da corsa - Quella delle corse è però la sala che assume il significato più profondo grazie ai cofani aperti. Perché questo è il regno della meccanica del cuore che trionfa sulla pelle. Qui non esiste il design o lo stile, perché la bellezza può essere al massimo una conseguenza della ricerca della massima prestazione. Guardando il motore della Tipo P2 del 1925 Campione del Mondo si riesce ad afferrare fino in fondo il concetto di “bellezza necessaria”. E cioé che un motore impeccabile nelle sue forme, pulito e bilanciato come questo, appare così bello soltanto perché meccanicamente perfetto.

Tra DTM e ProCar - La nostra visita si è chiusa con altre due auto da corsa leggendarie. La prima è la 155 DTM del 1993, capace di battere i tedeschi in casa propria grazie ad una supremazia tecnica totale. La seconda è la 164 ProCar, la silhouette per eccellenza, la F1 vestita da auto stradale capace di toccare i 340 km/h. Poter ammirare questi gioielli, in una giornata così particolare, è stata davvero un’occasione unica. È bastato contemplare la loro bellezza per capire come il Museo Alfa sia stato in grado di attirare più di 100.000 visitatori in un solo anno. Insomma, se non ci siete mai stati, è davvero arrivato il momento di una visita. Perché almeno una volta nella vita, in un posto come questo, è obbligatorio concedersi qualche ora. 

Powered by automoto.it