Il nuovo modello della casa giapponese si rifà alla storica 900 Z1, vanta un 4 cilindri in linea e una grande ciclistica. Scopriamola insieme
La tendenza retrò non accenna a scemare. Anzi, si vedono sempre più spesso diversi esempi di modelli che reinterpretano in chiave moderna classici del passato. Kawasaki, forse la Casa che questa tendenza l’ha inaugurata con la W 650 di fine anni 90, cala l’asso con la Z900RS, moto moderna nella sostanza ma che omaggia esteticamente la gloriosa Z1 del 1972 – il modello con cui Kawasaki ha posto il primo mattone della sua fama di produttrice di moto velocissime.
La base tecnica è quella della Z900 2017: un quattro cilindri in linea da 948cc rivisto in diverse componenti tecniche – albero motore, distribuzione, rapporto di compressione, alimentazione e scarico – per spostare in basso la curva di coppia. Ad Akashi hanno sacrificato qualche cavallo (111 invece di 125) ottenendo però un motore nettamente più corposo ai medi e ai bassi regimi, che tanto per gradire riceve anche il controllo di trazione K-TRC come già avvenuto su tutti i modelli premium Kawasaki.
Più raffinata anche la ciclistica, che riceve una bella forcella rovesciata da 41mm completamente regolabile con tanto di pinze freno ad attacco radiale. Più pregiato anche il monoammortizzatore a montaggio orizzontale, regolabile in precarico ed estensione. I cerchi, a razze ma con lavorazione di macchina per fare il verso alle unità a raggi, calzano pneumatici nelle misure 120/70 e 180/55.
L’estetica è palesemente ispirata alla Z1, con sovrastrutture tutte nuove. E’ vero, c’è un solo scarico invece dei 4 che forse ci aspettavamo, ma tutto il resto è meravigliosamente riuscito. Serbatoio a goccia, codino a unghia, fiancatine agili e sfuggenti e sella a due piani. E poi i due strumenti tondi nel cruscotto, il manubrio cromato e i fari a LED ma esteticamente quasi indistinguibili da unità dell’epoca. Insomma, un gran bel lavoro – che si paga caro, perché si parte da 11.790 euro destinati a salire se volete le colorazioni più riuscite – per un modello che, non a caso, ha tenuto banco come pochi altri allo scorso EICMA.
In sella ci si trova comodi, con un’impostazione marcatamente retrò: la sella è larga fra le gambe e si raccorda ad un serbatoio altrettanto ampio, con un effetto ormai dimenticato. Il manubrio è ampio e ben arretrato, le pedane avanzate: la triangolazione è diversa, più rilassata rispetto al modello da cui deriva la “ErreEsse”, ma senza grossi compromessi in termini di efficacia della guida. Ci si sposta bene sulla sella, che trattiene bene e non porta ad attaccarsi troppo al manubrio in accelerazione nonostante le già citate pedane un po’ avanzate per la guida sportiva.
Per fortuna, viene da dire, perché il motore è davvero tanta roba. La coppia è prorompente fin dai bassi regimi, con una spinta grintosa e corposa che porta ad aggredire di slancio la seconda metà del contagiri. La coppia è tanta fino ai 7.000 giri, poi la grinta si stempera un po’, ma basta anticipare le cambiate per fare tanta strada e divertirsi come matti. L’unico difetto è relativo ad un marcato effetto on-off in riapertura, che disturba un po’ in città e nelle marce basse. Niente di grave, anche perché ci si fa rapidamente l’abitudine, ma sicuramente da tenere presente soprattutto in caso di scarsa esperienza del pilota.
Il giudizio non può che essere positivo, perché il livello qualitativo della Z900RS è davvero elevato. Cercando la sostanza, la Z900RS è gustosa ma non per tutti: chi cerca una classica tranquilla farà meglio a guardare altrove. Prestazioni importanti, anche se ben tenute a bada da ciclistica ed elettronica, possono intimidire chi non ha una certa pratica alle spalle. D’altra parte la Z900RS vuole essere un omaggio a quella Z1 che nel 1972 ha ridefinito diversi riferimenti prestazionali, e sarebbe stato davvero ingeneroso creare una moto moderna troppo diluita nelle prestazioni.
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