La Ducati 916 compie ben 25 anni

Motori

Edoardo Licciardello

foto: moto.it
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La sportiva bolognese firmata dal genio di Massimo Tamburini arriva al quarto di secolo. Ripercorriamo insieme la sua storia

Salone di Milano 1993. Il mondo delle sportive è appena stato ridefinito, due anni prima, dalla Honda CBR 900RR, e la maggior parte delle concorrenti sono ancora impegnate a capire da dove è arrivato il colpo che le ha stese. In Honda sono giustamente orgogliosi, ma ancora non sanno che la loro punta di diamante sportiva avrà una bruttissima concorrente di lì a breve.

Quando Claudio Castiglioni svela la nuova Ducati 916, il parterre di addetti ai lavori resta senza fiato e poi prorompe in un fragoroso applauso. Un po’ perché allora, prima dell’arrivo di Internet, non c’erano foto spia e anticipazioni che rovinassero la sorpresa, un po’ perché la nuova bicilindrica bolognese era semplicemente stupenda. E più avanti, oltre, qualunque cosa si fosse vista fino ad allora, tanto da restare praticamente invariata nella linea per ben otto anni, pur passando da 916 a 996 e poi a 998.

foto: moto.it

Ironia della sorte, la linea dell’erede della 851 avrebbe dovuto essere molto diversa. Senonché, Honda al Salone di Tokyo di due anni prima aveva presentato la NR 750 a pistoni ovali. Rivoluzionaria nella sostanza, ma anche nell’estetica, l’ammiraglia tecnologica di Tokyo convinse Tamburini a tornare al tavolo da disegno e ripartire da zero. Ma anche se gli affiliatissimi fari affiancati, il doppio scarico sotto il codino, ma anche diversi altri sapienti tratti di matita sono in effetti elementi ispirati alla NR, è indiscutibile che la 916 sia stata tutt’altra storia.
Snella, essenziale, con un vestito attillatissimo, ha definito l’estetica di tutta un’epoca di sportive. Facendo invecchiare di colpo tutto il resto, perché nessun’altra “racing” ha potuto arrivare a quelle vette di bellezza almeno fino all’arrivo della Yamaha YZF-R1. Nel frattempo, però, sono passati quattro anni.

La sostanza non era da meno, perché il motore era il bicilindrico Desmoquattro derivato dalla precedente 851/888, più potente, affidabile e raffinato nell’erogazione. Solo nel 2001, con la 996R – che introdusse anche l’unica variazione degna di nota nell’estetica, sigillando il taglio laterale della carenatura – si verificò un cambio di generazione nel motore della serie Superbike Ducati: l’arrivo di quel Testastretta che poi arrivò anche sulle 998 in due diverse versioni.

La ciclistica era molto più innovativa. Forcellone mono-braccio infulcrato nel carter motore ma anche nel telaio, unità a traliccio in tubi con reggisella alleggerito e scomponibile, sospensione posteriore con regolazione altezza indipendente dall’ammortizzatore, ma soprattutto tre soluzioni che divennero brevetti depositati: il cannotto di sterzo regolabile ad eccentrici, l’ammortizzatore di sterzo trasversale dietro la piastra e il dado della ruota posteriore con fermaglio in acciaio armonico.

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La carriera agonistica è stata incredibile, con ben sei titoli in otto anni di competizioni, ad opera di Fogarty, Corser e poi Bayliss. E tantissime vittorie con tanti altri piloti – vale la pena di ricordare i nostri Chili e Falappa – e chissà quanti titoli e vittorie nei campionati nazionali e continentali che non riusciamo a ricordare.

La 916 è stata – assieme al Monster, che l’aveva anticipata di un anno – la prima icona che ha definito una famiglia contraddistinta da un linguaggio formale senza soluzione di continuità per tutti gli anni a venire. Perché se si esclude l’episodica 999 – mai realmente amata o addirittura riconosciuta dai ducatisti duri e puri – tutte le Superbike successive recuperano in gran parte l’estetica della 916. La 1098/1198 e poi la Panigale – V2 e V4 – si identificano come discendenti della 916 fin dal primo colpo d’occhio.

Sono passati 25 anni, e fa davvero impressione pensarlo. Perché da allora è cambiato quasi tutto: le sportive hanno raddoppiato le potenze ed è arrivata l’elettronica, le moto che “andavano” allora oggi sono ridotte a nicchie di mercato soppiantate da altre su cui allora non avremmo posato lo sguardo due volte. E siamo cambiati anche noi motociclisti. Quello che invece non è cambiato è l’impatto della 916. Che è bella oggi come allora, avvicinandosi moltissimo allo sfuggente concetto di perfezione.

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