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NBA, cosa si lascia alle spalle Magic Johnson dopo l’addio ai Lakers

NBA

Dario Vismara

L’esperienza di Magic Johnson come capo della dirigenza è stata fallimentare, non solo per gli scarsi risultati ma soprattutto per il modo in cui si è conclusa. Dal rapporto difficile con Luke Walton fino agli errori sul mercato, ora i Lakers sono in condizioni peggiori che mai

MAGIC JOHNSON SI È DIMESSO

Ventisei mesi. Tanto è durato il regno di Magic Johnson come presidente dei Los Angeles Lakers, dal febbraio del 2017 (quando è stato chiamato a bordo per raddrizzare una barca che stava pericolosamente andando fuori rotta) a ieri notte (quando quella stessa barca è andata a schiantarsi al termine di una stagione deludente). In mezzo è cambiato più o meno tutto, dal giorno in cui è diventato leader unico della dirigenza dopo un breve interregno con Mitch Kupchak e Jim Buss, all’arrivo al suo fianco di Rob Pelinka (ex agente di Kobe Bryant) fino all’estate che ha portato in città nientemeno che LeBron James. Ma se a vederla da fuori la facciata dei Lakers guidati da Magic sembrava scintillante, almeno all’inizio, dentro la franchigia le cose andavano in maniera decisamente diversa. Già da diversi giorni si rincorrevano le voci sulla discutibile guida avuta da Magic sulla dirigenza gialloviola, tanto che Adrian Wojnarowski – l’insider per eccellenza dei circoli NBA – poco dopo l’annuncio di Magic ha sparato a zero: “Da quando è diventato presidente, Magic Johnson non si è mai impegnato davvero nel suo lavoro” ha scritto su Twitter. “Spesso era in viaggio e lontano dalla squadra. Le sue ore in ufficio erano limitate. Non faceva tanto scouting. Guidare una franchigia NBA richiede un enorme impegno di tempo ed energie”. Non contento, Woj ha continuato: “Il coaching staff dei Lakers si aspettava di essere licenziato a poche ore dalla fine della regular season. Da mesi ormai credono di essere cacciati. Ora? Magic se ne è andato in pubblico, dicendo che è troppo spaventato per dirlo a Jeanie Buss faccia a faccia. Che episodio imbarazzante per una franchigia storica”.

L’imbarazzo dei Lakers dopo l’addio improvviso

E “imbarazzo” è una frase che si è ripetuta spesso nelle ultime ore per commentare il modo in cui Johnson ha lasciato il suo posto di lavoro, dicendo a chiare lettere di preferire la sua vita da Magic Johnson piuttosto che quella da presidente dei Los Angeles Lakers. Non solo: l’ormai ex dirigente solamente ieri si è impegnato in un meeting di tre ore per discutere del futuro dei Lakers con la Buss, e sabato era a colloquio con LeBron James e il suo agente Rich Paul per pianificare i prossimi passi della franchigia senza che nessuno si aspettasse un suo addio. Poi, tutto d’un tratto, come se solo adesso si sia fatto la domanda “Ma chi me lo ha fatto fare?”, ha sganciato la bomba, lasciandosi alle spalle solo la polvere – come spesso ha fatto in questi suoi 26 mesi nei quali la dirigenza dei Lakers è diventata una sorta di barzelletta in giro per la lega. Il fatto che non abbia avuto la voglia o la forza di dirlo in faccia a Jeanie Buss prima di rivelarlo in pubblico (“Perché altrimenti avremmo pianto e sarebbe riuscita a farmi cambiare idea”) è un’assoluta mancanza di professionalità e un pessimo segnale per l’intera franchigia, specialmente alla vigilia di un’estate che si preannuncia cruciale per il ritorno ad alti livelli dei gialloviola. Perché che idea si saranno fatti i free agent in giro per la lega dopo quello che è successo ieri notte?

Il rapporto tormentato con coach Walton (e quindi Jeanie Buss)

Al centro dell’esperienza di Magic alla guida dei Lakers sta il suo rapporto con coach Luke Walton. Di fatto, a Johnson è stato ribadito più e più volte dalla proprietà che aveva il potere di decidere del futuro di Walton, ma alla fine ha preferito dimettersi piuttosto che assumersi la responsabilità di una decisione in aperto contrasto con la volontà di Jeanie Buss, da sempre sostenitrice del giovane allenatore. Pur di non compromettere il rapporto con quella che lui ha definito come sua “sorella” (ai Lakers è pur sempre una questione di famiglia), Johnson ha preferito farsi da parte nella maniera più tristemente spettacolare possibile (e anche questa sembra essere una tradizione in casa gialloviola). A Luke Walton è legato anche il più grande fallimento dell’esperienza di Magic come dirigente, ovverosia l’assoluta incapacità di creare una cultura sportiva all’interno della franchigia in grado di reggere nel tempo. Nel momento stesso in cui ha “minato” la sicurezza di Walton a inizio novembre, accusandolo dei problemi della squadra senza assumersi la responsabilità di aver costruito quel roster, di fatto ha reso il coach quello che negli Stati Uniti definiscono come un “Lame Duck”, un’anatra zoppa – uno destinato a essere licenziato. E secondo quanto è emerso, nel loro incontro accesissimo Johnson avrebbe detto a Walton di “chiudere la ca…o di bocca” quando lui parlava. Non solo: dopo settimane in cui ha cercato di scambiare tutti i giocatori del roster mantenendo al minimo i rapporti con loro, quando si è ripresentato davanti ai microfoni – in una delle rare trasferte di questa stagione al seguito della squadra – Magic ha essenzialmente ribadito che i giovani dovevano accettare la situazione e comportarsi in maniera professionale. Cosa che però lui ieri sera non ha fatto, prendendo la via dell’uscita piuttosto che affrontare il momento più duro della sua carriera da dirigente.

L’elefante nella stanza: l'inchiesta segreta di ESPN

Proprio sul rapporto difficile tra Magic e i suoi sottoposti si stava concentrando un’inchiesta di ESPN di cui si rumoreggia da tempo, ma che ancora non è stata pubblicata. Secondo i bene informati, le testimonianze raccolte dal sito dell’emittente televisiva sarebbero estremamente pesanti nei confronti del 59enne, anche se lui stesso ha affrontato “l’elefante nella stanza” nella sua conferenza stampa improvvisata ieri notte. “In quarant’anni non ho mai mancato di rispetto a nessuno e non ho mai fatto nulla di sbagliato. Sono duro? Certo che lo sono. Se lavori per me, sono esigente. Sono fatto così” si è difeso Magic parlando del modo in cui tratta i suoi impiegati. “Sono mesi che si parla di questo pezzo, eppure non è uscito. La mia domanda è: hanno intervistato qualcuno all’interno di ESPN? Perché sono stato assunto da loro due volte [come talent televisivo, ndr]. Se avessi fatto qualcosa di sbagliato nei confronti dei loro impiegati, pensate che mi avrebbero chiamato ancora? So che ci sono ex assunti dei Lakers che parlano con i media, e diranno quello che vogliono dire perché non stavano facendo bene il loro lavoro. E cosa fa una persona del genere? Punta il dito contro chi lo ha licenziato. Ma sono a posto con la mia coscienza. Ho le spalle larghe”.

La costruzione del roster attorno a James

Non abbastanza larghe però per sopportare ancora il ruolo di capo della dirigenza dei Lakers, anche perché spesso è stato indicato come principale responsabile del disastro di questa stagione. D’altronde è stato lui a costruire questo roster pieno di (supposti) playmaker e pochi tiratori – in aperto contrasto con quello che ha funzionato negli ultimi otto anni da Miami a Cleveland attorno al Re. Decisioni prese e ribadite in una telecronaca alla Summer League che, a vederle in retrospettiva, si sono rivelate disastrose: Magic sosteneva di aver visto tutte le serie di playoff giocate quell’anno e che secondo le sue conclusioni a vincere erano le squadre con i giocatori più “duri”, non quelle con i migliori tiratori. E che non voleva creare “Cleveland 2” sovraccaricando James di responsabilità offensive, anche se la reazione di LeBron a quelle parole è stata netta (“Non mi sono piaciute quando le ho sentite, perché sono andato a quattro finali consecutive [giocando in quel modo]”). Magic ha quindi seguito le sue idee e ha riempito la squadra di Lance Stephenson, Rajon Rondo, JaVale McGee e Michael Beasley piuttosto che tenere uno come Brook Lopez che ha fatto le fortune dei Milwaukee Bucks al minimo salariale. Ed è solo uno dei giocatori che i tifosi dei Lakers hanno finito per rimpiangere, per non parlare di giovani come Julius Randle (che il coaching staff avrebbe voluto trattenere, così come Lopez) o pezzi di complemento come Thomas Bryant (divenuto un giocatore da rotazione a Washington) e Ivica Zubac (ceduto ai Clippers tra le risate di Jerry West e del resto della dirigenza). Sopra tutti, però, c’è D’Angelo Russell, diventato un All-Star ai Brooklyn Nets dopo essere stato ceduto dai Lakers insieme al contratto di Timofey Mozgov per creare spazio salariale. Una decisione che Magic ha difeso – secondo lui difficilmente sarebbe potuto arrivare LeBron James senza quel sacrificio –, ma che in retrospettiva è stata, se non proprio sbagliata, quantomeno affrettata.

Magic va su Twitter e ringrazia tutti

A salvare un po’ la forma – o almeno a provarci – nella mattinata di Los Angeles del day after Magic Johnson ha utilizzato il suo account Twitter come cassa di risonanza dei suoi pensieri, più che altro però ringraziamenti di circostanza verso tutti i suoi compagni di avventura. “Voglio ringraziare la proprietaria dei Lakers Jeanie Buss, il general manager Rob Pelinka, il nostro allenatore Luke Walton, tutti i giocatori e l’intero staff delle basketball operations per avermi concesso questa incredibile opportunità di essere stato il presidente dei Lakers. Sarò sempre un Lakers, per tutta la mia vita”, il messaggio di commiato posato dell’indimenticato e indimenticabile n°32 dello Showtime gialloviola degli anni ’80. I ringraziamenti poi sono continuati, a tutta la famiglia Buss in vari ruoli coinvolta nella gestione della franchigia, al figlio del celebre Jerry West – Ryan – che ricopre la carica di Director of Player Personnel, fino a Linda Rambis e a suo marito (e suo ex compagno di squadra) Kurt, oggi senior advisor della dirigenza. Una lunga lista di nomi e di “grazie” per sgombrare il campo anche da possibili malintesi e chiarire le modalità di un addio che, se ha sorpresa molti, non vuole essere traumatico, almeno agli occhi del diretto interessato.

La "grande vita" di Magic fuori dal basket

Ora Magic potrà tornare a fare quello che più gli piace fare: il businessman, il leader civile, il mentore, la celebrità internazionale, la leggenda dei Lakers e l’ambasciatore della pallacanestro nel mondo. Nel momento forse più candido di tutta la sua conferenza stampa-fiume, ha raccontato tra una risata e l’altra: “Ho una grande vita. Ho davvero una grande vita fuori da qui. Mi sono detto: ‘Ma che ca… stai facendo?’. Perciò, non vedo l’ora di tornare alla mia grande vita. […] Ma ora, Rachel [Nichols, ndr], sono libero cara mia” ha concluso con un lungo sospiro di sollievo. “Mentre venivo qui, parlavo con delle persone che mi chiedevano certe cose per il prossimo anno e io rispondevo: ‘Non sarò da queste parti il prossimo anno’”, scoppiando in una risata anche se c’era ben poco da ridere, specialmente per un tifoso dei Lakers all’ascolto. Alla fine, rimangono solo queste parole: “Sono uno spirito libero e sono stato ammanettato [per tutto questo tempo]. E non mi è piaciuto”. Forse il prossimo presidente dei Lakers sarà qualcuno che davvero vuole quel ruolo, o almeno è quello che sarebbe giusto pretendere per una delle franchigie più importanti dello sport mondiale.