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C'era una volta l'america(no): Kevin Schwantz

MotoGp

Paolo Beltramo

©Getty

Simpatico e dolce lontano dal circuito, quanto pazzo in pista: Kevin Schwantz è entrato da subito nel cuore di tutti gli appassionati di motociclismo. Ripercorriamo il suo cammino sulle due ruote: dall'esordio con il cross a quando è diventato leggenda

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Non c'è alcun dubbio che sia lui, Kevin Schwantz, il pilota che più ha segnato l'immaginario popolare, scolpito il proprio ricordo nelle menti e soprattutto nel cuore degli appassionati, lasciato ricordi profondi, forti, indelebili, nonostante abbia vinto un solo Mondiale. Nato ad Huston il 19 giugno 1964 è figlio di una coppia appassionatissima di moto e proprietaria di una concessionaria Yamaha, cosa che agevola il suo destino, il suo cammino fino a diventare un grande pilota, un "marchio", una leggenda, un personaggio amato e stimato, un signore sempre sincero e disponibile, sorridente, simpatico anche con noi giornalisti. Unico. Spettacolare. Coraggioso.

L'esordio col cross

A 3 anni sale su una motina per la prima volta: allora come adesso, là, come qua, come in Spagna, come in qualsiasi parte del mondo la costante, la base è sempre la stessa: cominciare prestissimo. Inizia col cross, stimolato dallo zio, ma nell'83 ha un incidente che gli compromette la carriera fuoristradistica. Riesce però a provare con la velocità e con la Yamaha nell'86 finisce secondo a Daytona alle spalle di Eddie Lawson e corre nel campionato AMA.

Kevin Schwantz, il "pilota kamikaze" - ©Getty

La svolta nel 1988

Proprio nel 1986 la Suzuki lo adocchia e lo fa esordire in 500 ad Assen, dove si ritira dopo essere caduto tre volte in prova. Corre anche in Belgio e a Misano finendo due volte decimo, l'anno successivo fa qualcosa di simile: 3 gare, un quinto a Jerez, ottavo a Monza, nono in Francia. Dal 1988 comincia a fare sul serio, vince in Giappone e Germania, a fine stagione corre e vince pure quella follia che si chiama GP di Macao, gara cittadina che si corre nelle strade dell'ex colonia portoghese. Nell'89 fa ancora più sul serio e vince ben 6 gare (Giappone, Austria, Jugoslavia, GB, Cecoslovacchia e Brasile), ma nel Mondiale finisce soltanto quarto: per lui era o provare a vincere o niente, e difatti ci sono in quella stagione 5 ritiri e 3 secondi posti.

Kevin Schwantz in azione con il n.34, ritirato dopo il suo addio alle gare - ©Getty

La rivalità con Rainey e Doohan

Il suo stile unico, aggressivo, spettacolare, tutt'altro che classico ed elegante anche per via dell'altezza lo rendeva comunque unico ed inimitabile. Le sue specialità erano l'uscita di traverso, la staccata impossibile e le impennate. Nel 1990, finita l'era Lawson, comincia quella di Rainey vs Schwantz vs Doohan. Saranno anni ineguagliabili, divertenti, spettacolari. Nel '90 finisce secondo dietro a Rainey vincendo 5 gare. L'anno dopo, sempre con 5 successi, finisce terzo dietro Rainey e Doohan, l'astro nascente australiano. Nel '92 continua il dominio di Rainey (anche grazie all'infortunio di Doohan ad Assen) e Kevin vince una sola gara, ma al Mugello. E qui vale la pena di sottolineare quanto sia stato apprezzato ed amato in Italia, probabilmente il luogo al mondo dove ha avuto ed ha più tifosi. E che segnerà la fine della sua carriera

Kevin Schwantz e l'addio alla MotoGP - ©Getty

Il titolo nel 1993

Il '93 va più o meno come al solito: ha quattro successi, ma sembra destinato a finire il Campionato alle spalle di Rainey, che però a Misano cade, si infortuna molto seriamente e lascia il titolo a Schwantz, che diventa così Campione del Mondo, anche se con un fondo di amarezza. Nel '94 abbandona il suo classico 34 e opta per l'1 di campione, vince due gare (Suzuka e GB), ma Doohan è troppo forte. Inoltre quella stagione si infortuna il polso destro a Laguna Seca, salta le ultime due gare in Argentina e a Barcellona. Nel 1995 fa quinto a Eastern Creek in Australia, quarto a Shah Alam in Malesia, sesto a Suzuka, ma si ferma per il dolore al polso e i postumi di moltissimi infortuni patiti in carriera. Il 10 giugno di quel '95, a soli 31 anni, nella sala stampa del Mugello comunica il suo ritiro dalle gare.

Schwantz e il dott. Costa nel giorno del ritiro del pilota texano - ©Getty

Da campione a leggenda

Lo fa alla Schwantz, con sincerità, passione, anima. Lo fa piangendo e ricevendo una delle più lunghe standing ovation della storia, quasi tutti noi cercassimo con quell'applauso di prolungare una leggenda, di fare in modo che questa decisione svanisse. Invece da lì in poi KS 34 è diventato una leggenda, il suo 34 è stato ritirato, lui disputa 18 gare Nascar, ne vince due, ma ogni tanto la sua faccetta aguzza, simpatica e intelligente, il suo sorriso caldo e affettuoso appaiono sui campi di gara. Quando accade è sempre una bella emozione, lui resta uomo immagine della Suzuki, si sposta ad Atlanta dove apre una scuola di motociclismo. Il 6 novembre 2011 ritorna il sella ad una moto del mondiale, ma è quella del suo amico Marco Simoncelli scomparso il 23 ottobre in Malesia che guida nel giro d'onore, di rimpianto e di dolore in ricordo del Sic. In quella gara Loris Capirossi disputa la sua ultima corsa e lo fa abbandonando il suo 65 per utilizzare il 58. Pure Michele Pirro corre in Moto2 con una moto dedicata al Sic e vince. Un giorno tristissimo, quello là di Valencia, ma che ha mostrato al mondo quanto una grande passione comune possa dividere in gara e nella vita, ma quanto invece accomuni e unisca nel profondo.

Kevin Schwantz e il tributo a Marco Simoncelli - ©Getty

L'amicizia con il Sic

Questa digressione ci sta perché Kevin (a proposito, quanti Kevin conoscete?) è molto legato all'Italia, agli italiani, era davvero amico di Marco Simoncelli che da bambino lo idolatrava. Uscivano insieme, cenavano, chiacchieravano col papà Paolo e Aldo Drudi, il mastro d'arte del motomondiale autore di numerosissimi caschi (tutti quelli di Rossi, del Sic, di Schwantz…), tute e stilista di mezzi a motore (moto, barche…). Quando abbiamo presentato il libro "Il nostro Sic" a Misano, scritto da me con Rossella e Paolo, Kevin c'era. Ne ha voluta una copia autografata da me e me ne ha data una autografata da lui.

Schwantz e Beltramo nella presentazione del libro "Il nostro Sic" - ©Getty

Il capolavoro nel 1991

È uno simpatico, dolce, che ti mette a tuo agio. Eppure in pista, pazzesco: quel sorpasso in frenata all'ingresso del Motodrom ad Hockenheim nel 1991 su Rainey, con la ruota posteriore e - incredibile!!! - anche quella anteriore bloccata, resta uno dei pezzi di motociclismo più belli in assoluto della storia. Una Cappella Sistina del motociclismo, dipinta da un pazzo visionario come Kevin: "Aspetto che il panico cresca, quando la paura si trasforma in visioni celestiali, allora inizio a staccare" dice e rende perfettamente l'idea di quel sorpasso all'ultimo giro.

Il segreto dei genitori

In realtà Kevin è sempre andato in giro per il mondo coi genitori. Due persone civilissime, educate, gentili, un po' come il figlio, anche se meno carismatiche e divertenti. Hanno però una caratteristica che ora si può svelare: allora gli orologi di marca, soprattutto Rolex, costano molto meno negli Usa che in Europa. E così mamma e papà Schwantz diventano importatori per le richieste di mezzo paddock: un paio di persone alla volta e pian piano i "tarocchi" acquistati nella Chinatown di Kuala Lumpur diventano pezzi originali pregiati. Il bello è che così, di corsa, nessuno si accorge della differenza…