MotoGP, la sfida a tre nell'Italia del dopo Agostini: Ferrari, Lucchinelli e Uncini

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Paolo Beltramo

Paolo Beltramo

Da sinistra nella foto: Uncini, Ferrari, Lucchinelli
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Sembravano odiarsi, non capirsi né volersi capire, ma alla fine in realtà sono diventati amici: Virginio Ferrari, Franco Uncini e Marco Lucchinelli hanno fatto superare il trauma dell'assenza di Agostini con una rivalità a tre entrata nella storia del Motomondiale

Tra la fine degli anni settanta e l'inizio del decennio successivo ci sono stati molti piloti italiani di alto o altissimo livello in tutte le categorie. D'altronde il ritiro del Grande Maestro era recentissimo e Giacomo Agostini aveva anche stimolato un esercito di epigoni, avversari, sognatori, appassionati. A mio modo di vedere i 3 rappresentanti più illustri di quel periodo fantastico dove convivevano due anime diverse del motociclismo, quella antica, ancestrale dei circuiti stradali, delle tute nere e dei caschi jet e poi quella moderna che voleva circuiti sicuri, usava tute e caschi colorati, diventava lentamente, ma inesorabilmente, che lo cercasse o meno, pubblica, televisiva.

I tre del dopo Agostini

Dovrei parlare di rivalità e la prima cosa che ti viene in mente è un dualismo, un duello, un duopolio. Invece anche questa volta vado oltre, parlo di una rivalità a 3, quella tra Virginio Ferrari, Marco Lucchinelli e Franco Uncini, i tre della 500 che hanno fatto superare il trauma dell'assenza di Agostini e diviso gli appassionati in tifoserie.

Ferrari, tutto voglia e coraggio

Virginio Ferrari è il meno giovane dei 3: nato nel 1952 vicino a Parma, ma poi abitante nei pressi di Milano, all'idroscalo. Di lui, come degli altri tre ho conosciuto padre, madre, sorelle-fratelli, figli, figlie e mogli. Essendo più o meno coetanei (Lucky e del ’54, Uncini del 55) avevamo come molti altri nel paddock di allora più o meno gli stessi gusti musicali, ma non di vita. 

Ferrari era un indefesso lavoratore, si allenava così tanto che il magrolino Uncini disse del suo modo di intendere le corse: "La moto se deve guidà, mica se deve spezzà…". Sia Lucchinelli che Uncini fumavano e non si allenavano, Ferrari non fumava e aveva meno talento, ma più voglia, più coraggio cosciente: andava a judo per imparare a cadere, faceva quella curva là a manetta perché se lo imponeva, non perché gli venisse naturale. Era tosto, ma buono, onesto, litigioso (ha scisso discutendo sia col team Zago, sia con la squadra di Agostini) se credeva che qualcosa non andasse secondo i suoi principi. Per me è stato, insieme agli altri due, importantissimo: mi ha portato al mio primo Gran Premio all'estero, mi ha concesso la mia prima intervista da mezza pagina di Repubblica nell'inverno tra il '78 e il '79, quando dopo aver vinto al Nurburgring era stato invitato in Giappone a provare la moto ufficiale con quale avrebbe corso l’anno dopo col Team Gallina. Abbiamo anche trascorso una vacanza in Kenya insieme nella villa che aveva affittato lui. Era un coraggioso appassionato di ragazze che lo trovavano irresistibile (tanto che ho dovuto aspettare che se ne andasse lui un paio di giorni prima di ma dalla villa di Malindi per mettere a segno un colpo anch'io…). Ad Imola nel 1979, alla 200 Miglia, cadde in prova al Tamburello, allora ancora senza la variante messa dopo l'incidente di Senna, e alla sera l'ho visto personalmente mangiare tenendo il cucchiaio tra indice e medio e stando seduto di traverso dopo aver perso un paio d'etti di sedere sull'asfalto. Il giorno dopo corse e fece bene. Ma lui era apparentemente normale, il più normale dei tre, mentre in realtà era un pazzo scatenato, capace di costruirsi un motor-home con vasca normale, palestra e ogni attrezzatura possibile. Ha iniziato di nascosto dai suoi, finanziato, all'inizio, anche da una sua amica diciamo così… di facili costumi. E’ stato l'antagonista di Roberts nel '79, poi litigi, l'esordio con la Cagiva 500 al Nurburgring del 1980 (vinto proprio da Lucchinelli) fino a vincere il Mondiale F1, formula che precedeva la Superbike nata l’anno dopo, nel 1987 con la Bimota Yamaha. Poi è stato anche direttore di squadra per la Ducati di piloti come Fogarty, Falappa, Kocinski, Hodgson, Chili, Corser, Spencer e Goberts. Ora vende moto a Monte Carlo ed è per fortuna sopravvissuto ad un incidente stradale gravissimo.Ha fatto il commentatore tv.

Uncini appassionato di successo

Franco Uncini era figlio di papà. Industriale nel settore delle tastiere elettroniche e appassionato di corse che infatti permise ai suoi due figli carriere in moto, Franco e auto, Henry che poi ha preso ad occuparsi dell’azienda, mentre Franco ha fatto carriera come consulente della sicurezza sui circuiti ed è un membro fisso del "consiglio d’amministrazione" delle corse come Capirossi. Quando è venuto il momento di smettere con 250 e 350, categorie nelle quali ha messo in crisi molti piloti tra i quali anche il grande Walter Villa, nel 1979 si è comprato una Suzuki privata (allora erano moto molto competitive) e si si è messo in mostra come il privato più veloce del mondo, per poi passare, nel 1982, dopo che Lucchinelli aveva lasciato Suzuki e Gallina per andare alla Honda da campione, al posto dello spezzino. Era appassionato di successo, non di moto. Quello gli è venuto dopo, allora diceva che per lui "vincere a tennis o in moto sarebbe la stessa cosa, soltanto che in moto gli riusciva meglio". Quanto belle fossero le corse di moto lo ha capito più avanti quando ha dovuto smettere anche per le conseguenze invisibili dell'incidente di Assen '83 quando l'esordiente Gardner l'ha investito alla prima curva. Ma era gentile, disponibile, simpatico. A me lasciava la disponibilità del posto letto sul suo camion officina. Gli piaceva il successo, ma non aveva l’anima da rock-star, cosa che invece era la sintesi di Marco Lucchinelli. Comunque dopo Uncini per vedere un italiano vincere la 500 si dovrà attendere fino al 2001 con Rossi…

Lucchinelli e il talento sprecato

Lucchinelli è forse l’esempio classico del talento sprecato, o quanto meno sfruttato al minimo: un titolo, tanto bastava per dimostrare chi era. In compenso si godeva la vita in tutti i modi, anche quelli un po' fuori dalle righe. Allora era comunque normale qualche eccesso e anche piloti come Sheene, Nieto e molti altri ogni tanto sgarravano, ma nessuno è riuscito ad andare a San Remo per cantare come ospite (Stella Fortuna, scritta col suo amico spezzino Borghetti), nessuno ha buttato giù il cancello di Assen a mezzanotte perché era chiuso il centro accrediti (allora ci voleva un pass ad ogni GP) ma lui aveva il bimbo piccolo che piangeva sul motor home, nessuno ha preso una denuncia da una guardia giurata per essere entrato al Motor Show, del quale era Padrino, spostandolo con la macchina, nessuno è stato in carcere per traffico di droga, nessuno ha vinto un Mondiale da team manager (Roche con Ducati SBK) finendo quasi in mare dal ponte di Phillip Island al rientro dai festeggiamenti. Spezzino come mio papà, ci siamo visti abbastanza e gli voglio un gran bene, come agli altri due.

Il personaggio Graziano Rossi

Ci sarebbe anche un quarto personaggio di quesi tempi meritevole di citazione, Graziano Rossi, papà di Valentino, ma sinceramente la sua carriera sportiva non è stata all’altezza degli altri tre. Quella del personaggio sicuramente sì. 

I tre sembravano odiarsi, non capirsi, né volsi capire, ma alla fine sono diventati amici, hanno colto che la parte condivisa delle loro vite è stata molto più importante di quella che li aveva divisi. Quanto a noi, beh fare i giornalisti con uno come Rossi che vince è stato bellissimo, straordinario, ma anche con quei tre là non era assolutamente male, anzi…E io gli voglio come come se fossero uno solo.