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"La Suzuki per me". La Casa giapponese lascia la MotoGP: il commento di Paolo Beltramo

MotoGp

Paolo Beltramo

Il 2 maggio è arrivata una notizia terribile: il consiglio di amministrazione della Suzuki ha deciso di sospendere la sua partecipazione alle gare di MotoGP a fine stagione 2022. Suzuki rappresenta una sorta di primo vero amore, per me, mi mancherà, penso che prima o poi tornerà perché nel suo profondo ci sono le corse

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La notizia è arrivata come un fulmine a test sereno, lunedì 2 maggio nel tardo pomeriggio della prima giornata di prova post GP a Jerez. Sembrava una giornata normale, bella come poteva essere un lavoro finalizzato alla soluzione dei problemi, alla ricerca di maggiore competitività. Ed invece, ecco la notizia terribile, brutta: il consiglio di amministrazione della Suzuki ha deciso di sospendere la sua partecipazione alle gare di MotoGP a fine stagione 2022. L'ha comunicato al team il presidente dell'industria giapponese che produce auto, moto e motori marini Hiroshi Tsuda a causa delle difficoltà economiche della casa dopo i due anni di pandemia. Una decisione difficile da accettare anche perché la squadra Suzuki anche adesso è un insieme di persone gentili, simpatiche, ospitali, appassionate, capaci. Una sorta di isoletta felice tra tanti giganti non sempre così alla mano.

Per la mia vita di appassionato di moto da sempre e poi da giornalista che ha avuto la fortuna di raccontare per lavoro decenni di corse, Suzuki rappresenta una sorta di primo vero amore. Certo, quando ero ragazzino, altri marchi, soprattutto italiani, mi avevano fatto innamorare a cominciare, figuratevi, dal Ciao. Più da grande ho avuto una Suzuki 500 bicilindrica 2 tempi. Erano gli anni ’70, l’epoca della Kawasaki 3 cilindri, delle Yamaha 250 e 350 e poi delle altre Suzuki la 380, la 550 e la 750, tutte 3 cilindri due tempi, le prime due raffreddate ad aria, la sette e mezzo ad acqua. Fino ad arrivare alle 500 stradali degli anni ’80 (Yamaha e Suzuki 4 cilindri, Honda 400cc V3) e delle meravigliose, fantastiche 125 stradali di Gilera, Aprilia e tanti altri sempre a 2 tempi. E poi anche di Aprilia e Suzuki 250 V2 2T.

La prima vittoria in 500 nel 1971

Le prime gare le ho viste nel 1976, '77. GP delle nazioni, 200 miglia di Imola, roba così. C'erano un sacco di piloti Suzuki che correvano. Basti pensare che la prima vittoria in 500 della casa di Hamamatsu risale al 1971, circuito di Belfast, grazie a Jack Findlay che ha poi vinto anche la seconda gara per la casa al Tourist Trophy del ’73. Ma la Suzuki che mi ha fatto innamorare la guidava Barry Sheene che ha vinto la sua prima gara in 500 nel 1975 ad Assen. Nel 1976 Sheene ha ottenuto la prima delle due consecutive vittorie nel campionato mondiale in top-class (perché nelle classi minori Suzuki era fortissima, aveva addirittura disegnato un 50cc bicilindrico) e portato anche il primo pilota americano della storia a vincere un GP con Pat Hennen ad Imatra, in Finlandia nel ‘76. Qualche gara, alla fine, l'hanno corsa anche Read e Agostini, con la RG 500.

Nel ’77 Sheene, il mitico, fantastico numero 7 col paperino sul casco, ha insomma vinto di nuovo il titolo della 500. Da quegli anni, ma anche prima, le Suzuki 500 4 cilindri in quadrato con presa di forza in centro (cioè, praticamente, 4 singoli 125 uniti, ognuno col suo albero motore e l'aspirazione a disco rotante con quei 4 carburatori ai lati del motore). Ci correvano un sacco di italiani: Lucchinelli, Ferrari, Perugini, Rolando, Rossi papà, Uncini e poi Van Dulmen, Middelburg, Hartog, Parrish, Lansivuori, Katayama, Crosby, Coulon, Rougerie, Estrosi, Mamola, Herron, Ireland, Baldwin, Grant, Pellandini, Kawasaki il collaudatore, Newbold, Reggiani, Pons…e molti altri. In certi anni dei 36 partenti, la stragrande maggioranza era in sella ad una Suzuki privata o ufficiale.

La reazione

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Insomma, Suzuki ha tenuto in piedi il mondiale 500 per molti anni, dalla seconda metà dei ’70 per una decade anche se poi magari vincevano le Yamaha con Roberts, la Honda del rientro con Spencer e ancora la Yamaha con Lawson, vendendo moto competitive ai piloti privati. E ha sempre avuto una sorta di atteggiamento di simpatia, forse dovuto ai suoi piloti, in primis a Barry Sheene, il primo vero personaggio di rottura col passato delle tute nere, dei caschi con pochi colori e dei numeri che venivano dalla posizione nel precedente campionato.

Oltre a Barry Sheene, che è una persona che mi manca moltissimo, per me però, Suzuki ha voluto dire soprattutto Virginio Ferrari e Marco Lucchinelli, Team Gallina, amicizia, aiuti mentre ero un giovane che girava l'Europa in auto, in moto e dormiva in tenda, quanti pasti offerti, quante notti ospitato nel conforto di un camion, quante serate divertenti a ridere, suonare, chiacchierare, scherzare. Quella Suzuki, la RG 500, è la mia preferita perché quelli erano ancora anni romantici, dove dormivi di fianco ai tuoi idoli, dove li vedevi in giro, sui traghetti, nelle piazze di tracciati stradali o comunque anche di quelli permanenti. Anche dopo, al ritorno in pista, con Schwantz, Mc Elnea, Barros e ancora a cavallo del cambio di millennio, Kenny Roberts Jr. Un altro stop e la prima MotoGP a V con Capirossi e Hopkins, il nuovo ritiro, il ritorno con il motore in linea come adesso con Vinales, Mir e il suo titolo mondiale inatteso, Rins. Con Suzuki sono stati campioni del mondo in top-class Sheene 2 volte (’76 e 77), Lucchinelli (’81), Uncini (‘82), Schwantz (93), Roberts Jr (2000), Mir (2020). Insomma, cara Suzuki, mi mancherai, ma pure stavolta penso che prima o poi tornerai perché nel tuo profondo ci sono le corse.

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