Morte Tomizawa, fermare la corsa? Il circus si interroga
MotoriDopo la morte del pilota giapponese in Moto2, sono tante le domande che coinvolgono gli addetti ai lavori. Si poteva evitare? I soccorsi sono stati adeguati? E perchè non fermare la gara della Motogp in segno di rispetto? GUARDA IL VIDEO E LA FOTOGALLERY
Morte di Tomizawa, inchiesta per omicidio colposo
Guarda la tragica fotosequenza dello schianto fatale
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Nessuno è riuscito a dimenticare la sequenza dell'incidente che ha portato alla morte di Shoya Tomizawa. Mentre il manager dello sfortunato pilota, l'ex centauro 125 Noboru Ueda, è all'aeroporto di Rimini in attesa dei genitori che riportino a Chiba, in Giappone, il corpo del figlio, nel mondo della Motogp ci si interroga su quanto accaduto.
La procura di Rimini ha già dato il via a un'indagine sull'accaduto, mentre il mondo delle corse saluta per l'ultima volta un pilota considerato una promessa per il futuro. Ma una sembra la domanda a cui è difficile dare una risposta. Sarebbe stato giusto bloccare la partenza della Motogp? Che le condizioni di Tomizawa fossero gravissime lo si era capito da subito, ed i piloti della classe regina, che uno sguardo alle categorie inferiori lo danno sempre, sapevano quanto era successo. Possibile che una vita umana valga meno di un titolo mondiale, di un podio, dei palinsesti?
Possibile, se prendiamo in considerazione la logica del rispetto delle condizioni di sicurezza in pista. Principio espresso dal Managing Director Events della Dorna Javier Alonso, che ha affermato come la morte di Tomizawa fosse avvenuta alle 14.20, e quindi fuori tempo massimo per l'interruzione di una gara, quella di Motogp, ormai a metà del suo svolgimento, essendo partita alle 14. Vero. Ma era proprio necessario andare avanti? Si, se si guarda quanto successo con gli occhi dei diritti televisivi delle varie emittenti collegate, che avrebbero avuto un'ora di buco difficilmente colmabile, a meno di non dover fare approfondimenti sull'accaduto.
Ora è il momento delle riflessioni. I due piloti che hanno investito Tomizawa, Alex De Angelis e Scott Redding, ancora non si danno pace, col primo scappato a casa sua a San Marino ed il secondo sedato dai medici perchè non riusciva a smettere di piangere. Sconvolti dall'essere i responsabili della morte di un collega ma resi innocenti dalla dinamica, assurda nella sua fatalità, incredibilmente illesi nonostante la gravità dell'incidente. Si ragiona sull'eventualità di fermare la gara con la bandiera rossa. Lo si è sempre fatto con un pilota esamine a terra, come testimoniato da Valentino Rossi. C'è da chiedersi come mai Jorge Lorenzo abbia ripetuto più volte ai microfoni mediaset che sapeva della morte di Tomizawa già prima della partenza della sua gara, salvo poi evitare di approfondire alla richiesta di chiarimenti.
Come poteva già sapere se il povero Tomizawa è morto ufficialmente 19 minuti dopo lo start della Motogp? Perchè portare via il corpo del pilota nipponico in ambulanza anzichè in elicottero, con Valentino Rossi che ai microfoni di Mediaset ha dichiarato: "Quando l'ho vista andare via così piano ho capito. In genere quando partono così o non è successo niente, o è successo qualcosa di brutto brutto". Perchè il ferito è stato tirato via come un sacco di patate senza alcuna cura per i traumi da lui riportati? E non può non tornare alla memoria l'incidente in cui perse la vita Daijiro Kato a Suzuka nel 2003 così come le operazioni di soccorso, così simili a quelle di Misano. C'è da chiedersi come mai tra i presenti alla conferenza stampa dopo la gara ci fosse il solo Jorge Lorenzo a rimanere seduto e commosso in quinta fila, ancora in tuta, in mezzo ai giornalisti, a sentire le spiegazioni di una giornata nera.
I piloti lo sanno. Il motociclismo è uno sport pericoloso. Giacomo Agostini lo ha ricordato. Ai tempi suoi morivano una domenica si e una domenica no. Lo stesso Ago ha detto: "Inutile fermarsi. Siamo piloti, non farmacisti". La tecnologia ha fatto passi da gigante. La percentuale di incidenti fatali è crollata. L'ultima morte in pista in un evento del motomondiale è del 2003. Si son viste tante cadute spettacolari, ma nessuna fatale. Forse è per questo che due incidenti mortali in una settimana, il tredicenne Peter Lenz a Indianapolis in una gara di contorno del mondiale e Shoya Tomizawa hanno tanto colpito.
In tutte queste domande resta da piangere un pilota di 20 anni, già vincitore di una gara in Moto2, in Qatar, e che prometteva bene. Ma nonostante tutto era capace di passare nei paddock in sella al suo motorino sorridendo a tutti. Il ragazzo che chiedeva consigli al decano dei piloti in griglia, Loris Capirossi e che aveva scelto il numero 48, con il quale Jorge Lorenzo vinse due mondiali 250 e che se n'è andato per una fatalità quando aveva ancora un talento da dimostrare e una vita davanti.
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Nessuno è riuscito a dimenticare la sequenza dell'incidente che ha portato alla morte di Shoya Tomizawa. Mentre il manager dello sfortunato pilota, l'ex centauro 125 Noboru Ueda, è all'aeroporto di Rimini in attesa dei genitori che riportino a Chiba, in Giappone, il corpo del figlio, nel mondo della Motogp ci si interroga su quanto accaduto.
La procura di Rimini ha già dato il via a un'indagine sull'accaduto, mentre il mondo delle corse saluta per l'ultima volta un pilota considerato una promessa per il futuro. Ma una sembra la domanda a cui è difficile dare una risposta. Sarebbe stato giusto bloccare la partenza della Motogp? Che le condizioni di Tomizawa fossero gravissime lo si era capito da subito, ed i piloti della classe regina, che uno sguardo alle categorie inferiori lo danno sempre, sapevano quanto era successo. Possibile che una vita umana valga meno di un titolo mondiale, di un podio, dei palinsesti?
Possibile, se prendiamo in considerazione la logica del rispetto delle condizioni di sicurezza in pista. Principio espresso dal Managing Director Events della Dorna Javier Alonso, che ha affermato come la morte di Tomizawa fosse avvenuta alle 14.20, e quindi fuori tempo massimo per l'interruzione di una gara, quella di Motogp, ormai a metà del suo svolgimento, essendo partita alle 14. Vero. Ma era proprio necessario andare avanti? Si, se si guarda quanto successo con gli occhi dei diritti televisivi delle varie emittenti collegate, che avrebbero avuto un'ora di buco difficilmente colmabile, a meno di non dover fare approfondimenti sull'accaduto.
Ora è il momento delle riflessioni. I due piloti che hanno investito Tomizawa, Alex De Angelis e Scott Redding, ancora non si danno pace, col primo scappato a casa sua a San Marino ed il secondo sedato dai medici perchè non riusciva a smettere di piangere. Sconvolti dall'essere i responsabili della morte di un collega ma resi innocenti dalla dinamica, assurda nella sua fatalità, incredibilmente illesi nonostante la gravità dell'incidente. Si ragiona sull'eventualità di fermare la gara con la bandiera rossa. Lo si è sempre fatto con un pilota esamine a terra, come testimoniato da Valentino Rossi. C'è da chiedersi come mai Jorge Lorenzo abbia ripetuto più volte ai microfoni mediaset che sapeva della morte di Tomizawa già prima della partenza della sua gara, salvo poi evitare di approfondire alla richiesta di chiarimenti.
Come poteva già sapere se il povero Tomizawa è morto ufficialmente 19 minuti dopo lo start della Motogp? Perchè portare via il corpo del pilota nipponico in ambulanza anzichè in elicottero, con Valentino Rossi che ai microfoni di Mediaset ha dichiarato: "Quando l'ho vista andare via così piano ho capito. In genere quando partono così o non è successo niente, o è successo qualcosa di brutto brutto". Perchè il ferito è stato tirato via come un sacco di patate senza alcuna cura per i traumi da lui riportati? E non può non tornare alla memoria l'incidente in cui perse la vita Daijiro Kato a Suzuka nel 2003 così come le operazioni di soccorso, così simili a quelle di Misano. C'è da chiedersi come mai tra i presenti alla conferenza stampa dopo la gara ci fosse il solo Jorge Lorenzo a rimanere seduto e commosso in quinta fila, ancora in tuta, in mezzo ai giornalisti, a sentire le spiegazioni di una giornata nera.
I piloti lo sanno. Il motociclismo è uno sport pericoloso. Giacomo Agostini lo ha ricordato. Ai tempi suoi morivano una domenica si e una domenica no. Lo stesso Ago ha detto: "Inutile fermarsi. Siamo piloti, non farmacisti". La tecnologia ha fatto passi da gigante. La percentuale di incidenti fatali è crollata. L'ultima morte in pista in un evento del motomondiale è del 2003. Si son viste tante cadute spettacolari, ma nessuna fatale. Forse è per questo che due incidenti mortali in una settimana, il tredicenne Peter Lenz a Indianapolis in una gara di contorno del mondiale e Shoya Tomizawa hanno tanto colpito.
In tutte queste domande resta da piangere un pilota di 20 anni, già vincitore di una gara in Moto2, in Qatar, e che prometteva bene. Ma nonostante tutto era capace di passare nei paddock in sella al suo motorino sorridendo a tutti. Il ragazzo che chiedeva consigli al decano dei piloti in griglia, Loris Capirossi e che aveva scelto il numero 48, con il quale Jorge Lorenzo vinse due mondiali 250 e che se n'è andato per una fatalità quando aveva ancora un talento da dimostrare e una vita davanti.
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