Dakar 2013, Biasion: ma l'importante non è battere un pilota
MotoriDalle dune del deserto peruviano, alte fino a 1.700 metri, ai 4mila metri della Cordigliera delle Ande. E' la natura l'avversario numero uno alla Dakar al via sabato. Il pilota italiano: se il tuo avversario ha dei problemi, ci si ferma e lo si aiuta
Oltre 8 mila chilometri in 14 giorni, da Lima a Santiago Del Cile. Dalle dune di sabbia del deserto peruviano, alte fino a 1.700 metri, ai 4mila metri della Cordigliera delle Ande. E' la natura l'avversario numero uno alla Dakar. "Si parte non per battere un pilota, ma per riuscire ad attraversare una certa zona e ad arrivare senza problemi a fine tappa", spiega Miki Biasion, che sabato prenderà il via alla sua decima Dakar al volante del New Trakker Evolution 2 del team olandese Petronas De Rooy Iveco.
"Ci vogliono regolarità, tattica, esperienza" è la ricetta del pilota italiano, secondo cui l'aspetto dominante è quello "umano". "Si prova a vincere - dice - ma se il tuo avversario ha dei problemi in corsa, ci si ferma e lo si aiuta. Non c'è differenza, la natura livella tutti".
Adrenalina, rischio, emozione le caratteristiche di questa Dakar, che dal 2009 non si corre più in Africa ma appunto in Sudamerica. "Ora è tecnicamente più difficile - dice il driver italiano - ci troveremo di fronte il deserto e in due occasioni affronteremo la Cordigliera". Ecco perché, "se per la classifica contano gli altri piloti", per la sopravvivenza l'avversario numero uno è la natura. Oltre, naturalmente, alla fatica di guidare per 800-1.000 chilometri al giorno, tra prova speciale e trasferimento, in condizioni sempre al limite e con le incognite del percorso, dal momento che il navigatore di ogni team riceve il tracciato del giorno dopo soltanto la sera prima di ogni tappa.
"E' come una caccia al tesoro - sottolinea il pilota vicentino - ma è l'unica disciplina del mondo dei motori dove l'aspetto umano è dominante". Il paragone di Biasion è con "il terzo tempo del rugby": "si prova a vincere - dice - ma se un avversario ha dei problemi in corsa, ci si ferma e lo si aiuta". Una solidarietà che va ben oltre la gara. "Alla sera, al bivacco, quando siamo tutti in fila al buffet per la cena - racconta il pilota del truck Iveco - siamo tutti allo stesso livello. Dalla star all'ultimo meccanico non c'è differenza, la natura livella tutti".
"Ci vogliono regolarità, tattica, esperienza" è la ricetta del pilota italiano, secondo cui l'aspetto dominante è quello "umano". "Si prova a vincere - dice - ma se il tuo avversario ha dei problemi in corsa, ci si ferma e lo si aiuta. Non c'è differenza, la natura livella tutti".
Adrenalina, rischio, emozione le caratteristiche di questa Dakar, che dal 2009 non si corre più in Africa ma appunto in Sudamerica. "Ora è tecnicamente più difficile - dice il driver italiano - ci troveremo di fronte il deserto e in due occasioni affronteremo la Cordigliera". Ecco perché, "se per la classifica contano gli altri piloti", per la sopravvivenza l'avversario numero uno è la natura. Oltre, naturalmente, alla fatica di guidare per 800-1.000 chilometri al giorno, tra prova speciale e trasferimento, in condizioni sempre al limite e con le incognite del percorso, dal momento che il navigatore di ogni team riceve il tracciato del giorno dopo soltanto la sera prima di ogni tappa.
"E' come una caccia al tesoro - sottolinea il pilota vicentino - ma è l'unica disciplina del mondo dei motori dove l'aspetto umano è dominante". Il paragone di Biasion è con "il terzo tempo del rugby": "si prova a vincere - dice - ma se un avversario ha dei problemi in corsa, ci si ferma e lo si aiuta". Una solidarietà che va ben oltre la gara. "Alla sera, al bivacco, quando siamo tutti in fila al buffet per la cena - racconta il pilota del truck Iveco - siamo tutti allo stesso livello. Dalla star all'ultimo meccanico non c'è differenza, la natura livella tutti".