Storia di Vanni Oddera, campione di motocross che ha scelto di donare la propria passione per aiutare gli altri. Grazie alla "mototerapia" anche i bambini disabili possono provare l'emozione di salire in sella a una moto
"Sentivo nello stomaco il verme che mi attraversava e non sapevo cosa fare. Intanto mi allenavo. Ero qui a Pontinvrea e mentre facevo tutto quel che ormai mi ero abituato a fare come routine del mio lavoro, un giorno mi venne in mente Chicco. Era un omone enorme che spesso veniva a bere al Beer Room. Due metri. Stazza possente. Del tutto rasato. Uno che se lo incontri da solo di notte ti prende la caga. Poi lo conosci e scopri che è la persona più dolce e buona del mondo. E infatti io sapevo che lavorava in una casa per disabili a Acqui Terme. Lo chiamai. Sentivo di poter fare qualcosa per i suoi ragazzi. Qualcosa di semplicissimo. Io mi allenavo, saltavo, rombavo, facevo cose spettacolari da solo. Perché non condividerle e offrire una giornata diversa ai suoi ragazzi? Mi sarei sentito meglio. Avrei dato un senso ai miei pensieri. (…)
Mi ricordo quella giornata come un sogno. Mi misi prima a fare il buffone per rompere il ghiaccio, poi mostrai la moto e tutto quel che serviva per saltare, infine cominciai con lo spettacolino serio: saltai e tutto quel che serve a impressionare la folla. Solo che la folla non era una folla, ma una piccola platea di ragazzi affamati di vita. La loro felicità fu immensa. Sembravano trasformati, dopo il mio “allenamento” finì e tornai da loro. (…) Finché un ragazzo venne da me e mi fece la domanda più importante. “Mi fai provare?”, disse a modo suo, nella sua lingua. Mi fai provare. Mi fai provare. Per qualche secondo la frase mi martellò in testa eppoi saltai su e non ci pensai due volte. Lo presi in braccio. Accesi la moto e con lui fra me e il manubrio feci un giro dei campi. Non mi misi a saltare, ovvio, quello era improponibile, però lo portai su e giù per le piste, le collinette, i saliscendi. Lui urlava, rideva, piangeva. Era impazzito. Quando ci fermammo aveva il volto trasfigurato e rideva e si scompisciava e saltava e diceva che era la cosa più bella della sua vita"
Eccolo, il “grande salto”. Il vero grande salto di Vanni Oddera, 35 anni, professione campione di motocross e freestyler, uno di quelli che con la moto ci vanno anche a dormire oltre che compiere evoluzioni a 30 metri di altezza. Lui, dopo una vita da fuori di testa ha deciso di iniziare a restituire un po’ della fortuna che aveva, e si è inventato la “mototerapia”. Sessioni gratuite, in giro per il mondo, per regalare giornate di gioia a persone e bambini disabili. Restando comunque un fuori di testa. La sua vita, e il suo salto, li racconta in un libro (“Il grande salto. Ovvero come ho capito che l’amore per gli altri rende felici”, appena uscito per Ponte alle Grazie).
Partiamo dall’inizio, Vanni. Un’infanzia vissuta nel bosco, a contatto con la natura.
"Sì, sono cresciuto a Pontinvrea, un paesino di montagna dell’entroterra ligure, tra boschi, torrenti e valli dove mi rifugiavo appena finivo la scuola. Era la mia casa. Annusavo, ascoltavo, assaggiavo tutto. Conosco il gusto del legno, della terra, delle rocce, dei fiori. Ero un bambino selvatico. Nel bosco ho incontrato anche quello che è stato il mio più grande amico d’infanzia, 'Scheggia', un cinghiale di oltre 100 chili che ho addomesticato dandogli da mangiare per diversi mesi"
Insomma, mentre gli altri bambini dopo la scuola guardavano i cartoni in tv tu ti nascondevi nei boschi o sfidavi i tuoi limiti ricercando il pericolo di proposito.
"È sempre stata la mia natura, quella di spingermi oltre. Da bambino cercavo di continuo di sfidare i pericoli facendo regolarmente quello che mi veniva detto di non fare. Nel cantiere dove lavorava mio padre, ad esempio, c’erano delle lunghe assi con dei chiodi conficcati. Mi era stato detto chiaro e tondo di non avvicinarmi a quelle assi. E io cosa facevo? Non solo mi ci avvicinavo, ma mi piaceva mettere il piede sul chiodo e spostare il peso dell’altra gamba finché non sentivo che la punta del chiodo perforava la suola della scarpa. Allora scattavo su ed evitavo di ferirmi. Ho ripetuto il gioco per parecchi giorni, finché non mi sono ritrovato con un chiodo che mi aveva trapassato il piede"
E intanto sogni la moto…
"L’ho amata fin da piccolo, anche se non sapevo neanche cosa fosse di preciso: nel paese dove vivevo moto da cross non ce n’erano, eppure ero attratto da questo oggetto che vedevo poche volte e che mi faceva godere. I miei genitori, però, non ne volevano sapere"
Come se non bastasse, a 12 anni ti diagnosticano il situs viscerum inversus.
"È una patologia molto rara. Significa che ho il cuore a destra anziché a sinistra, e tutti gli organi invertiti: il fegato al posto della milza, i reni spostati, così come i lobi del cervello, e il sangue che circola in maniera contraria. L’ho scoperto per caso dopo essermi sottoposto a un elettrocardiogramma necessario per iscrivermi a pattinaggio artistico, un’idea di mia mamma che cercava di distrarmi dalla fissazione per la moto"
I medici quindi ti consigliano da sempre una vita senza eccessi
"«Lei dovrebbe stare attento anche a scendere le scale», mi ripetono ogni volta. Aggiungiamoci pure che ho un cuore grande il doppio del normale e l’osso del tallone vuoto, un’altra cosa rarissima e molto pericolosa, perché se si dovesse rompere sarebbe quasi impossibile da ricostruire e resterei zoppo…"
Di stare fermo però non se ne parla. Conto delle ossa rotte in carriera?
"Ventisei. Tibia e perone due volte: un male…"
Quando finalmente è arrivata la moto, comprata con i primi soldi guadagnati, ti sei dato una calmata.
"Esatto, ero fuori di testa, lo ero molto di più prima di fare freestyle e motocross. Certe cose che ho fatto quando vivevo nei boschi è meglio non raccontarle nemmeno"
Inizia una vita fatta di moto feste ragazze bevute e divertimento. E poi, cosa succede a quel ragazzo?
"Succede che nel 2009, a Mosca, incontro il 'mezzo uomo'. Dopo un’esibizione torno in hotel per cambiarmi, mi vesto bene, mi profumo e mi metto in tasca un bel mazzo di banconote, pronto a godermi una megafesta che mi attendeva con alcool a fiumi e ragazze che ti assaltano. Chiamo un taxi, salgo su. Era una specie di latrina, una puzza immonda. Io tutto profumato, costretto lì dentro… Incazzatissimo mi sporgo in avanti verso l’autista e vedo che non aveva le gambe. Guidava con degli strani aggeggi ed era evidentemente incontinente, ma anziché fare l’elemosina guidava un taxi superando la sua stessa vergogna. Capii che io avevo tutto. Gli ho dato tutti i soldi che avevo in tasca e mi sono fatto riportare indietro. Pazzesco come una persona che non conosci nemmeno e che nella tua vita è solo di passaggio possa cambiarla così"
Da lì quel “verme nello stomaco” che non ti lascia in pace finché non trovi la maniera per donare una parte di quello che hai. E così nasce la mototerapia.
"La moto è libertà ma non è alla portata di tutti. Io sto cercando di farla arrivare a tutti perché è troppo bella e va condivisa. Per dei ragazzi che passano la vita in sedia a rotelle, salire in moto è una bomba. E io non mi tolgo niente: do quello che ho in più. Faccio più di 50 date all’anno, tutto totalmente gratuito"
Come funziona concretamente?
"I ragazzi arrivano nella location quando tutto è già pronto, con i piloti cambiati ma senza casco. Mi guardano e mi vedono già un po’ strano, ma mi vedono in faccia. Accendo la moto vicino a loro e li faccio sedere vicino alle rampe perché devono essere parte integrante di tutto quello che sta succedendo. Poi inizio a saltare e loro sentono la botta dentro la rampa di lancio, l’aria che si sposta, l’atterraggio, il volo. In quel momento loro mi vedono come un supereroe, colorato, che vola. Quando finisco, tolgo il casco, torno la persona che ero prima e li invito a salire in moto con me. Salgono tutti. Tutti. Ragazzi disabili, autistici, faccio guidare anche i bambini ciechi: loro tengono la moto, io la direziono con il corpo"
Le loro reazioni?
"Rimangono estasiati, scivolano sull’aria. Credo che la sensazione sia quella che prova Atreiu, il protagonista de ‘La storia infinita’ quando sale sul drago, lo prende per le orecchie e vola"
Tu parli spesso della forza della “catena umana”
"Penso che partendo dalle piccole cose si possa arrivare a smuovere le montagne. Ai “Maiali con le ali”, il mio locale a Varazze, ho deciso con i miei soci che i disabili non pagano. Per chi ha un’attività non cambia niente, mentre a loro dai la possibilità di uscire, di sentirsi vivi. Ma la cosa bella è quando altri prendono esempio e lo diffondono. A Savona c’è il MareHotel, uno dei più chic della zona, di quelli con ristorante stellato e suite costosissime: bene, loro hanno messo a disposizione la loro struttura per le famiglie dei bambini ricoverati al Gaslini di Genova, gratuitamente"
Si può cambiare il mondo così?
"Intanto si può cambiare la vita di queste persone. Ho fatto mototerapia con i bambini dei raparti di ematologia e oncologia del Gaslini. Bambini gasati che non hai idea, urlavano, facevano le giravolte prima di salire in moto. Di solito, quei bambini, non li fanno uscire neanche in giardino e invece li hanno fatti venire in moto con me. La moto è così potente che smuove anche la burocrazia"