Il regolamento auto più restrittivo tende a "livellare" la competitività e a smorzare il dominio Peugeot delle ultime due edizioni. Sarà sufficiente?
La competitività, alla Dakar, è una ricetta complessa, per un piatto lungo da preparare. Lo ha dimostrato la Storia della Maratona africana, prima, e sudamericana, oggi. E il tempo di “cottura” si può misurare in anni, addirittura in lustri se prendiamo casi emblematici e quasi clamorosi.
Volkswagen, per esempio, è passata all’unità di misura superiore, pur manifestando da subito un alto livello di competitività. Nessuno, quindi, si è stupito troppo quando nel 2015 Peugeot ha schierato la prima 2008 DKR. Pur evidenziando un buon potenziale, infatti, i “Leoni” avevano concluso la prima partecipazione con un risultato niente affatto eclatante. Sainz fuori per uno spettacolare incidente, Peterhansel e Despres al traguardo con risultati “sperimentali” piuttosto incoraggianti ma non “paurosi”.
La situazione è cambiata radicalmente, e sostanzialmente, già l’anno successivo, questa volta in modo avvincente e clamoroso, quando Peugeot ha spostato l’asse del Rally-Raid “irrimediabilmente” verso Velizy. Al primo successo di Peterhansel aveva fatto da contraltare la pressoché totale inconsistenza, una certa, preoccupante obsolescenza degli avversari. Con l’arrivo di Loeb l’anno scorso, parliamo del 2017, il bis ottenuto dalla 3008 DKR era stato salutato come un atto di prevaricazione. Nove vittorie di tappa e la tripletta finale sul podio di Buenos Aires. Insomma, nel lampo di tre soli anni Peugeot aveva ottenuto un successo completo, storico, e talmente “impari” da lasciare una traccia evidente anche sull’orizzonte del futuro.
Da lì sono iniziate le “lamentele”. Mini e Toyota non erano riuscite ad accettare la sconfitta, troppo sonora, e, mentre cercavano di correre tecnicamente ai ripari, hanno iniziato a lavorare ai fianchi l’istituzione per ottenere, atto tutto sommato poco sportivo, una limatura regolamentare che riducesse la distanza tra le sponde del fossato oltre il quale le Peugeot continuavano a volare.
Non esattamente come pretendevano, quest’anno ci sono riuscite. Cento chili qua, tre centimetri di escursione delle sospensioni di là, flange sotto controllo, e un certo livellamento è potenzialmente possibile. Questo non toglie che la 3008 DKR Maxi, la vettura che il Team Peugeot Total schiera quest’anno, sia la favorita numero uno al successo nella 40ma edizione della Dakar. Meno evidente, semmai, può essere l’ordine di pericolosità che si voglia attribuire ai singoli Equipaggi. Peterhansel, ancora, Loeb, Sainz, Despres? Difficile mettere in ordine di colore i 4 assi di Peugeot. Potrebbe sembrare l’anno “logico” di Loeb, ma come si fa a lasciare in disparte l’affamato Sainz, un fuoriclasse “specializzato” come Despres o il mai pago “Peter”? Lasciando, dunque, l’ordine in sospeso, certamente si può annunciare che la Dakar delle Peugeot sarà sensazionale spettacolo nello spettacolo.
Dall’altra parte del fossato Mini e Toyota hanno affilato le loro proposte. La Squadra di Sven Quandt è tornata in possesso del “cartellino” di Joan “Nani” Roma e l’Enterprise diretta da Jean-Marc Fortin lancia in prima fila ancora una volta Nasser Al Attiyah. Ma non è tutto qui. Anzi. Mini raddoppia, e alla All4 Racing affianca una nuova macchina che si allinea all’ideale di protocollo regolamentare futuro delle due ruote motrici. Il nuovo Buggy, accreditato di un inaspettato potenziale, così l’hanno descritto in Casa Mini, è affidato a Mikko Hirvonen. Mossa gusta? Dipende. È ovvio che un mezzo del tutto nuovo, pur con quasi un anno di test alle spalle, è un’incognita, e per questo Roma ha preferito correre con la “vecchia”, rigenerata 4x4. D’altra parte, è vero anche che Hirvonen ha dimostrato di sapersi adattare molto bene alla nuova disciplina. Quindi, se la “Dueruote” Mini non avesse troppi problemi di gioventù potrebbe essere una piacevole sorpresa, altrimenti bisognerà vedere quanto del gap esistente sarà recuperabile dalla “Quattroruote” Di Roma, dal nuovo arrivato Bryce Menzies o dagli altri nomi che allungano la formazione dei “papabili” Mini, Przygonski, Al Rajhi, Villanova.
Lato Toyota, l’otto cilindri da cinque litri nipponico è l’incognita meno evidente. Il potenziale delle Hilux, Macchina affidabile e con una buona “ciclistica”, è già stato dimostrato, soprattutto dalla stagione di imbattibilità del Pick Up di Al Attiyah e Baumel. Non solo, è certo che il “Principe” del Qatar” ha il dente avvelenato, per vari motivi tra i quali in cima alla lista c’è il ritiro alla terza tappa dello scorso anno, che De Villiers non vorrà continuare a farsi considerare un pilota solo “consistent”, e che l’eccitazione di Ten Brinke è in qualche modo da considerare come il lancio di un guanto di sfida.
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