Dakar 2018, Day-12: nelle auto vince Al-Attiyah. Niente Speciale per le moto

Motori

Piero Batini

Al-Attiyah Dakar 2018 (Getty)

Nella dodicesima tappa delle auto Al-Attiyah (Toyota) è il primo a tagliare il traguardo davanti a Peterhansel (Peugeot) e De Villiers (Toyota), male Sainz che conclude nono ma è sempre leader. Non si è corsa la Speciale delle moto, è stato effettuato solo il trasferimento a San Juan. Per seguire la regina dei raid, Eurosport canale 210 della piattaforma Sky, tutte le sere dalle 23.30

Un giorno di sosta per le moto

Una tappa annullata, neutralizzata, cancellata è ben accolta da chi è davanti e può approfittare del giorno di tregua, e anche se è sempre una sorta di sconfitta dell’organizzatore, anche quando si tratta di “ragioni legate alla sicurezza”, a rimetterci sono sempre e solo quelli che potevano, o dovevano, utilizzarla come risorsa per modificare a proprio vantaggio un’attualità poco favorevole. Uno per tuti, parliamo della gara delle moto, Kevin Benavides, il pilota ufficiale Honda Monster che, secondo a mezz’ora dal leader Matthias Walkner ma pilota orgoglio argentino, avrebbe voluto poter disporre di questa opzione e, due per tutti, l’australiano Toby Price, vincitore dell’Edizione 2016, che è ormai a due minuti soltanto da Benavides e dal titolo di vice, che non conta che una frazione di quanto vale  un successo Dakariano, e magari anche meno, ma è pur sempre un dato di selezione di un certo rilievo.
Il fatto è che la Dakar 2018, esigente come forse non lo è stata mai prima d’ora in Sud America, è effettivamente in discesa, e tutti ormai pensano e vogliono due cose. Arrivare a Cordoba e essere in quel numero percentuale di ossi duri che l’hanno spuntata. Benavides e Al Attiyah sono due esempi di piloti che potrebbero ancora, per ragioni diverse ma assimilabili, aspirare a un sovvertimento del risultato maturato sino a questo momento, ma sono anche, e purtroppo per loro, chiari esempi di frustrazione in una situazione ragionevolmente fissata e che si chiama Walkner/Sainz. Benavides è frustrato perché è l’autore di un errore, date le circostanze, clamoroso, e Al Attiyah lo è perché credeva di avere una macchina con la quale poter lottare per vincere, e invece deve accontentarsi di una macchina che gli consente appena, se non commette il minimo errore, di non fare delle figure troppo brutte. Benavides, per la verità, si sente doppiamente frustrato, perché sperava che fosse accolto il reclamo che la sua squadra ha presentato alla giuria della Dakar per una presunta irregolarità di gestione del “famoso” waypoint della discordia e della disfatta. Invece così non è stato, il reclamo è stato respinto.
La gara è segnata, pare. Chi va a prendere mezz’ora a Walkner e alla KTM ancora e sempre in testa alla Dakar?

Il punto sulle auto

Anche con la 12esima tappa tra Chilecito e San Juan, con la più lunga Speciale del Rally, non ci sono stati né colpi di scena né motivi per agitarsi. Peterhansel ha dato battaglia per tutto il giorno a Al-Attiyah. Non l’ha spuntata, ma al contrario di Nasser, Stephane non ha dato, e neanche cercato, il 100%, e il secondo posto di oggi può facilmente convertirsi nel quarto successo personale domani, e in fin dei conti, se guardiamo allo spazio che c’è tra il fuoriclasse francese e il Principe del Qatar, nulla o quasi è cambiato. Il ritardo da Peterhansel è, a cose normali, incolmabile, così come lo è quello tra Sainz e il suo attuale “vice”, in questo caso un gap presumibilmente cementato, blindato dal direttore. Basta guardare come corre Sainz, un minimo di concentrazione e l’esercizio di stile di un fuoriclasse, ma non di più, e capire che le strategie sono già fatte.
Più verosimilmente, le tre Toyota alle spalle delle due Peugeot in testa alla corsa se la stanno giocando tra loro per il terzo posto sul podio di Cordoba, nulla più, e di fatto non corrono il richio di essere aggredite né dalla Mini superstite di Przygonski, né dalla terza Peugeot ufficiale di Despres e Castera, ormai promossi al ruolo di portatori d’acqua.

Sulle alture ai margini della Laguna Brava, veder passare le auto a tutta birra, e non parliamo degli elefanti del deserto, è uno spettacolo unico, le cui note risuonano per tutta la vallata rimbalzando sulle pareti rocciose delle cornici naturali tutt’attorno. Si ha l’impressione, tuttavia, di non essere più a sbalordire per una battaglia, ma di essere spettatori di una passerella. Lo spettacolo è quello, ma manca la motivazione. Ne parliamo con Mr. Franco, e a un certo punto la chiacchierata diventa dibattito, e vi partecipano tutti i componenti della Banda che bivacca dalla notte precedente per veder passare i Marziani.

A un certo punto uno di loro chiede di poter esprimere la sua. Chiama il silenzio e va avanti: “Non so se ho ragione o no, ma ho visto tutte le Dakar sudamericane e ho imparato a conoscerle. Forse conoscere è una parola grossa, ma sono sicuro che una certa sensibilità l’ho maturata. Ora, da quando la Dakar è in America del Sud, non c’è mai stata, questo è il mio parere, un’edizione completa. Allora sì che il risultato che si era formato due, tre, cinque giorni dalla fine poteva essere considerato quello buono. Da quando è arrivato Marc Coma le cose sono cambiate. Lo scorso anno molto poco, non c’era stato il tempo di dare il proprio imprinting alla corsa che aveva vinto cinque volte, quest’anno totalmente. Quest’anno è una Dakar 100%, full, asfissiante. Ne abbiamo viste di tutti i colori, abbiamo visto cambiare canale varie volte. Questa è una Dakar in modalità "ecatombe". Vuol dire che ha fatto fuori fior di piloti e di equipaggi, insaziabile. E quando la Dakar è così, non ci sperare, sarà così fino alla fine. No, quello che state vedendo, e quello che vedrete domani e fino a dopodomani, non è uno spettacolo fine a sé stesso. La corsa, la Dakar vive, e sarà così fino all’ultimo. Occhi aperti, nessuno può dire che sia finita!

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