Ducati: da Rossi a Lorenzo, i motivi di una separazione inevitabile

MotoGp

Paolo Lorenzi

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Entrambi sono scesi dalla Yamaha ufficiale per salire sulla rossa bolognese. Entrambi hanno vissuto problemi di adattamento a una moto dal carattere impegnativo. E per tutte e due alla fine ha prevalso il desiderio di cambiare strada

LORENZO IN HONDAIL RETROSCENA - L'UFFICIALITÀ

PETRUCCI IN DUCATI

SYAHRIN RESTA ALLA TECH3

Sul podio del Mugello era rappresentato il passato, il presente e il futuro della Ducati. Rossi, l’ex ducatista di lusso degli anni 2011 e 2012, Dovizioso che raffigura la certezza dell’oggi e del domani, e Jorge Lorenzo che condivide il presente ma è ormai proiettato al passato prossimo. Tre stagioni e un solo vero denominatore comune: vincere con la Desmosedici è faticoso.

Dovizioso ha aspettato per quattro anni il primo successo con la Ducati (Malesia 2016), Lorenzo c’ha messo meno (24 gare), ma comunque troppo per un penta titolato, Rossi invece si è fermato al secondo gradino del podio (Francia e Misano del 2012) nel suo biennio in rosso. Il forlivese ha rivelato la sua tempra ducatista al nono anno in MotoGP, dopo una lunga traversata del deserto motociclistico che lo ha tratto fuori dal limbo agonistico in cui era precipitato. Ma Rossi e Lorenzo sono entrati dalla porta principale, accolti sul tappeto rosso riservato ai grandi campioni. Tutto inutile.

C’è più di un aspetto che lega le due vicende: entrambi arrivavano dalla Yamaha dominatrice. E nessuno dei due è riuscito ad adattarsi all’impegnativa moto bolognese, potente e fisica, indomabile come un cavallo selvaggio. La Yamaha al confronto era un violino, armoniosa e accordata a tutte le piste. C’è voluto un cowboy australiano per tirare fuori il grande potenziale dalla Ducati. E prima di Casey Stoner c’erano riusciti solo Capirossi e Bayliss, parlando di piloti non proprio due damerini in guanti bianchi. La moto bolognese richiede dedizione assoluta; con l’arrivo di Gigi Dall’Igna ha migliorato il suo carattere, ma ad ogni modo va capita e assecondata. Difficile che si pieghi al volere del pilota. Si chiami Rossi o Lorenzo non fa differenza. Rossi ha rinunciato alla fine del secondo anno, ma forse non ci ha mai creduto fino in fondo.

Lorenzo si è arreso come lui, nonostante la vittoria del Mugello, giunta troppo tardi. E così come fece il suo ex compagno di squadra tornerà a guidare una giapponese. Non una Yamaha, bensì una Honda ufficiale. L’epilogo e la sostanza non cambiano, solo la destinazione finale è diversa. Con la Rossa resta così chi l’ha capita davvero, aspettando con pazienza di esserne ricambiato. La Ducati non è una “signora” che si concede facilmente. Pretende devozione totale, al limite del sacrificio. Quella che solo un “umile” pilota come Dovizioso era disposto a concederle.