Elegante e sfrontato: il mio Lorenzo

MotoGp
Paolo Beltramo

Paolo Beltramo

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Nel giorno del suo addio alla MotoGP, ecco il profilo del penta campione del mondo spagnolo: com'è cambiato dall'esordio da record a 15 anni e un giorno e come ha lasciato il segno nel mondo del motociclismo

VALENCIA, LA GARA DI MOTOGP GIRO DOPO GIRO

La prima volta che lo vidi, Jorge Lorenzo era un ragazzino chiuso e con l'espressione serissima, quasi buffa. Eravamo in Giappone, al ristorante, con tutto il Team Derbi di Giampiero Sacchi e lui non aveva potuto salire in sella perché ancora non aveva compiuto 15 anni. Era il 2002 e gli toccò saltare anche il GP del Sud Africa a Welkom per poi esordire il sabato del GP di Spagna di Jerez, più giovane esordiente del mondiale a 15 anni e 1 giorno dopo aver guardato con invidia e un po' di rabbia gli altri che giravano il venerdì. Allora era grintoso, rabbioso anche da pilota. Una volta stava facendo nettamente la pole, si fermò per montare un’altra gomma da tempo che non era pronta. Scaduta la possibilità di rientrare e migliorare scese di sella quasi gettando la moto ai meccanici, si tolse il casco lo buttò sulla sedia e se ne andò arrabbiatissimo. Aveva mantenuto la pole, ma lui voleva fare meglio e non aveva potuto.

Corre col numero 48 e dopo 3 stagioni in 125 con la Derbi, passa in 250. Prima stagione in Honda. A Motegi, all'ultimo giro, nella "esse" finale vede uno spazio e si infila stendendo Pedrosa e De Angelis. Gli viene comminata una gara di squalifica. Personalmente ritengo quella punizione ingiusta, esagerata. Quella sera ci chiedono, lui e il suo manager di allora, un passaggio per Tokio dato che saremmo andati con un autobus nello stesso Hotel. Così, mentre aspetto, comincio a chiacchierare con lui. Un po' come da vecchio zio a nipotino discolo. Gli dico che provarci è bello, lecito, stimolante, ma che ci sono volte che è meglio rinunciare al massimo per prendere un po’ meno, ma prenderlo. Però lo consolo per l'ingiusta punizione. Insomma è uno che ascolta, che dialoga. Gradevole.

Vince per 2 stagioni consecutive sull'Aprilia. Sono anni esaltanti: Jorge è bello da vedere quando guida. Elegante e aggressivo, sfrontato, esplosivo, preciso. Ama i sorpassi all’esterno, "por fuera", li ama tanto da farli diventare il suo marchio. Una volta in MotoGP, come compagno di Valentino Rossi in Yamaha, agli esterni aggiunge il martello e il burro per sintetizzare il suo stile costante, ritmico, sfiancante e la scorrevolezza della sua guida leggera e stilosa. Anche con la Yamaha affronta polemiche, infortuni, cadute, ma riesce a vincere.

Ingaggia una battaglia, secondo me sbagliata, contro i piloti aggressivi come in particolare Marco Simoncelli, chiede di regolamentare i sorpassi, ma si espone come sempre con coerenza e coraggio, senza pensare a eventuali conseguenze dei suoi discorsi. Nel frattempo cambia anche il numero, dopo essere stato messo in difficoltà dal manager storico e dal sostituto e passa al 99: un 9 angelico, l'altro diabolico. Il contrasto conquista anche lui dopo Rossi che da sempre usa il sole e la luna, il giorno e la notte.

Jorge è un misto di autocontrollo e di esagerazioni come quella del tuffo nel laghetto di Jerez con tuta, casco e stivali. Vince tre mondiali con Yamaha, l'ultimo controverso contro Rossi nel 2015. I due non si piacciono, ma convivono fino a quando prima Rossi (2011 e 12) e poi lui stesso passa in Ducati alla ricerca di nuovi stimoli. Fatica molto, ma il secondo anno riesce a vincere 3 gare. Lui e la casa non si intendono, si lasciano. Jorge decide di passare alla Honda dopo un finale di 2018 difficile con infortunio serio in Thailandia per un problema alla sua Ducati. Durante l'inverno si rompe lo scafoide in allenamento, salta i test in Malesia, comincia in Qatar e capisce che con quella moto sarà ancora più dura che con Ducati. Si infortuna, poi arrivano Barcellona dove stende alla prima curva 3 piloti e Assen dove invece si frattura due vertebre. Salta qualche gara, si cura, rientra a Silverstone, ma da lì in poi è soltanto una conferma dell'impulso che aveva sentito durante quell'ultima caduta. Capisce che non ha più sufficienti stimoli per risalire una china che è difficilissima anche tecnicamente con quella Honda fatta da Marquez per Marquez e assolutamente lontana dal suo stile. Si chiede se valga la pena continuare e si dice di no. Una parte di sé triste, l’altra felice per questa decisione. 99 fino alla fine per lui che è stato in testa in 99 gare. Ora qualche mese di spiaggia, caldo e relax, pensando a cosa fare nella seconda vita che gli resta. Buon vento.