I rinnovi di Chris Paul e Clint Capela hanno costretto i texani a rinunciare a pedine fondamentali come Trevor Ariza e Luc Mbah a Moute. La vera novità però è arrivata al minimo salariale sul finire del mercato: Carmelo Anthony può rendere letale l’attacco di Houston, nonostante tutti i punti interrogativi che si porta dietro
IL RIASSUNTO DELL'ESTATE (4^ PUNTATA): ADDIO SPURS, KAWHI LEONARD VA IN CANADA
Da quando Mike D’Antoni è approdato in Texas, i Rockets hanno iniziato a sublimare quel concetto di gioco che gli affezionati alle etichette hanno definito MoreyBall. Tiri da tre punti e conclusioni al ferro, abbandono del mid-range, alto numero di possessi e un James Harden in cabina di regia a dettare i tempi. Un modello che alla prima stagione ha portato l’ex allenatore dei Suns a vincere il premio di miglior coach dell’anno, naufragato però contro San Antonio in semifinale di Conference. L’anno successivo (lo scorso) il colpo grosso: arrivano Chris Paul, P.J. Tucker e Luc Mbah a Moute; una parata di specialisti per provare a battere finalmente Golden State. Il progetto (purtroppo per i texani) è stato fermato in gara-5 dall’infortunio al bicipite femorale di CP3; niente Paul e rimonta Warriors che porta poi al titolo NBA. La condizione fisica di Paul infatti è stata il grande punto interrogativo che ha accompagnato le scelte fatte dalla dirigenza dei Rockets in estate. Alla fine la decisione è stata di andare all-in su di lui: 160 milioni di dollari in quattro anni (sono 40 a stagione di media, da versare anche quando avrà superato i 36 anni), ben consapevoli che i guai fisici potrebbero ripresentarsi e metterlo fuori uso. Un rischio necessario, visto che contro di lui Golden State ha vacillato, ma un costo non indifferente per un roster uscito inevitabilmente rivoluzionato. La sua conferma infatti ha costretto Houston a salutare Trevor Ariza – ricoperto di verdoni (ben 15 milioni) dai Suns – e Luc Mbah a Moute – ritornato ai Clippers dopo un anno. Due specialisti difensivi (e non solo) fondamentali nel tenere a bada l’attacco degli Warriors, assieme al totem a centro area che spesso ha fatto da baluardo a protezione del ferro: Clint Capela. Il lungo svizzero è stato l’altro grande tormentone dell’estate texana (meno di Kawhi Leonard, per carità), confermato soltanto a fine luglio: 90 milioni in cinque anni, giusto compromesso per entrambe le parti. Il modo migliore per confermare di avere un roster di primissimo livello.
L’arrivo di Carmelo Anthony porta con sé un’infinità di domande
Discorso a parte invece va fatto per la lunga estate vissuta da Anthony, il tassello nuovo di questa versione aggiornata dei Rockets che proverà inevitabilmente a implementare la sua potenza di fuoco. L’ex n°7 dei Thunder lo scorso 23 giugno ha reso noto di voler esercitare la player option presente nel suo contratto: 27.9 milioni di dollari per un altro anno, intasando il salary cap di OKC che nel frattempo aveva aggiunto a libro paga (per la gioia di Sam Presti) anche il maxi rinnovo da 137 milioni di Paul George – rimasto in Oklahoma, nonostante il lungo corteggiamento dei Lakers. Una situazione di stallo che costringeva virtualmente i Thunder a dover versare 300 milioni di dollari totali tra stipendi e tassa di lusso. Una cifra spropositata a cui dover porre rimedio e dare un taglio in qualche modo: i primi sondaggi sul mercato però non avevano portato a nessuna offerta concreta, nonostante la lista delle pretendenti fosse molto lunga. Diventare free agent via buyout sembrava la strada più comoda da percorrere, prima dell’accordo raggiunto con gli Atlanta Hawks in uno scambio a tre che ha portato Dennis Schröder ai Thunder. Una parentesi breve in Georgia quello del n°7, visto che Anthony è stato subito tagliato dagli Hawks; mossa che lo ha reso così nuovamente disponibile sul mercato. Ad Atlanta però hanno fatto in tempo ha preparare la sua maglia (costata in teoria 25.5 milioni di dollari – i soldi versati nonostante non sia mai sceso in campo); l’ennesima in un’estate in cui alla fine è riuscito a vestire anche quella dei Rockets: accordo di un anno al minimo salariale, per un giocatore che porta con sé tante incognite (difensive e non). Il tutto senza considerare il complicato rapporto tra lui e D’Antoni ai tempi dei Knicks, concluso secondo molti con l’allontanamento del coach per volere proprio di Anthony. L'allenatore dei Rockets ha già rassicurato tutti, mentre Chris Paul è sicuro che il suo contributo sarà decisivo per colmare la distanza tra i Rockets e il titolo: la speranza in Texas è che anche questa volta CP3 abbia ragione.