Il breviario del lunedì: le cose più interessanti successe nel weekend di sport

Tutto merito del fado Il derby ha scelto il Milan, e adesso tutti inneggiano a Fonseca. Il portoghese è stato musica in settimana, un fado di parole e di sguardi. Il fado è una melodia dolce e sinuosa, a tratti malinconica, che forse è servita all’allenatore per danzare sopra le solite polemiche. Sembrava sul punto di saltare il bruno Paulo, come se il ballo avesse un difetto di spinta, con l’anca un po’ sbilenca. E invece no, il Milan è stato bello e coordinato, fatto di spirito e passione, voglioso di vincere con l’insieme, sacrificando il nome di uno per il successo dell’altro. Fonseca ha messo in campo una squadra coraggiosa e forte, con tanti avanti che correvano anche indietro. Com’è possibile, domando, che questo allenatore bistrattato sia stato così bravo all’improvviso? Credo sia merito del fato, pardon del fado. Lina senza storia E’ finita male a Roma, che pure ha vinto. Tutti fischiavano, anche le orecchie di De Rossi, ormai lontano. I tifosi gli hanno dedicato striscioni e cori, mentre Lina Souloukou s’incamminava chissà dove. Pare non sopportasse Daniele e che l’antipatia fosse reciproca. Ma da lì al precipizio nessuno pensava mancassero così pochi centimetri. Chi non studia la storia non conosce il futuro, è un concetto elementare che ci tramandano i nostri padri, quelli più illuminati. A Roma sono padroni gli americani, e viene in mente la scena della fontana di Trevi che un intraprendente Totò vuole vendere ad un paesano emigrato all’estero. Si chiamava Deciocavallo, e anche lui non conosceva la storia tanto da farsi fregare da Totò che gli vende l’impossibile. I due si mettono d’accordo e si stringono la mano, come deve aver fatto nemmeno troppo tempo fa Lina con De Rossi, lei greca lui romano. Lei ignorante in fatto di storia, lui protagonista della materia. L’insostenibile leggerezza Vedo il Torino giocare, bastano pochi minuti, e si capisce che fanno sul serio. Si muovono senza fermarsi mai, mettendo pressione agli avversari. E’ incredibile come una metamorfosi del genere sia stata solo il frutto del cambio dell’allenatore, dal momento che il Torino è sulla carta meno forte di quello che sfoggiava Buongiorno e Bellanova. Però cosi pare, e quindi pare Vanoli, è lui l’artefice, insieme a Cairo che lo ha scelto. I giocatori buoni che già c’erano, oggi sembrano forti e quelli forti, fortissimi. Cos’è successo? In assoluto penso che siano fortunate tutte quelle operazioni che tendano a sottrarre peso alla sostanza, in un lavoro apparentemente facile ma in realtà difficilissimo. Cos’era quel peso che impediva al Torino di tornare in testa? Un ricordo perennemente triste? Un allenatore esageratamente spiccio? Un presidente troppo parsimonioso? Se il Toro continuerà a vincere, nessuno si farà più queste domande. Guarda l'uccellino E’ entrato senza la spinta del vento, eppure sembrava leggerissimo, muovendosi per tutto il campo come un uccellino. "E’ proprio lui!", hanno gridato a Firenze, vittime di una visione giunta dal paradiso. Si, perché Albert Gudmundsson, gambotta corta ma veloce in corpo esile ma forte, sembrava proprio il mitico Kurt Hamrin , forse tra i tre più grandi giocatori della storia viola . Non appena entrato dentro l’area ha rubato il tempo all’avversario provocando un calcio di rigore che poi ha segnato. Dopo, ha corso come un mediano, dispensando un gioco semplice ma molto intelligente, conquistandosi il diritto di calciare una seconda volta dal dischetto. E mentre Kean lo redarguiva storto, in preda ad un singhiozzo, tutto lo stadio sembrava suggerire: ehi Moise, guarda l’uccellino! Il tarlo non c'è più Non so come si tolga un tarlo dalla testa, a parte l’uso di qualche farmaceutica pastiglia. E tanto meno conosco l’arte di un ritorno, visto che non ho mai pensato davvero di partire. Per questo vorrei incontrare Matteo Manassero e chiedergli come si fa, dopo che in questa settimana è stato protagonista a Wentworth, in uno dei tornei di golf più importanti del mondo, da lui già vinto quando era solo un ragazzino. Matteo, col tarlo nella testa ha convissuto per dieci anni, vittima di se stesso e di qualche suggerimento sbagliato. Dopo essere stato considerato il nostro Tiger Woods, era finito a giocare tornei minori, realizzando punteggi minori ed esprimendo un golf minore. Gli era perfino arrivato un tic a fargli vacillare il putt, il colpo con cui si vince o si perde. Il suo rientro tra i grandi del golf rappresenta una delle rinascite più straordinarie della storia dello sport italiano. Matteo, grazie alla sua forza di volontà, è ancora vivo, e quel maledetto tarlo, invece, non c’è più.