Zeichen: io, poeta, canto la Lazio che ha i colori del cielo

Calcio
Valentino Zeichen, uno dei più grandi poeti italiani del '900, è tifosissimo della Lazio
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L'INTERVISTA. Al centro di Roma, in una baracca a due passi da Piazza del Popolo, vive da 40 anni il più grande poeta italiano vivente, che all'amore per i versi unisce la passione biancoceleste. "Ho anche scritto una poesia per Bruno Giordano". LE FOTO

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di ANNA TOPPANI
(da Roma)

Entro in una baracca nel cuore di Roma che è un’ode all'essenziale: c'è solo quello che serve a sopravvivere. E a comporre poesie. Le pareti come una rubrica: decine di numeri di telefono, per me indecifrabili. E poi libri ovunque, accatastati e impilati. In mezzo a tutto quel sapere, appeso sopra il letto, un curioso cimelio si stacca come una mosca sul muro bianco: un calzettone di un giocatore della Lazio.

Sono arrivata "a casa" di Valentino Zeichen ubicata in quello che era il Borghetto Flaminio, un gruppo di casette abusive costruite nel dopoguerra abitate da poeti, pittori e artisti, a due passi da Piazza del Popolo. Di quelle case fatiscenti ne sono rimaste in piedi appena cinque. Le guardo e la sensazione che possano raccontarmi un pezzo della storia di Roma è netta, avvolgente. Di certo, la storia biancoceleste, con gli occhi dolci e la voce buona di questo grande poeta del Novecento. (Ha da poco pubblicato "Aforismi d'Autunno", ndr)

Il calzino l'ha tradita: come coniuga la poesia con la Lazio?
"Per i colori del cielo di Roma: azzurro con, a volte, qualche pennellata di bianco. Sono della Lazio da sempre. La domenica vado a casa di un amico che ha la televisione e seguo le partite. Sono arrivato a Roma nel 1954 con mio padre e da subito ho abbracciato i colori biancocelesti. Ho anche scritto una poesia per Bruno Giordano, il mio giocatore preferito".

Ne ha vista di Lazio, da allora! Da Giorgio Chinaglia fino ad oggi, le cose sono cambiate. Le piace Lotito?
"E’ un uomo molto intelligente. Il salvatore. Non sono d’accordo con quei tifosi che gli danno contro, sono legati ad un passato che non ci appartiene più. Noi dobbiamo guardare al futuro altrimenti non arriveremo mai lontano. Non siamo abbastanza cinici, perdere con il Lecce in casa e non avere quel cinismo e praticità tali da permettere di pareggiare delle partite piuttosto che perderle… Dobbiamo ancora crescere".

La domenica allo stadio non è più soltanto festa e gioia. Cosa pensa della politicizzazione del calcio?
"Io sono apolitico. Non seguo le vicende di attualità, le trovo riduttive. Ergo trovo che il calcio e la politica siano davvero due mondi che non dovrebbero incontrarsi".

Il suo primo libro, del ’74 come il primo scudetto della Lazio, si intitola “Area di rigore”. Come mai?
"L’Area di rigore è il luogo risolutivo in cui il calciatore deve prendere una decisione. E’ la finalità dell’azione, è la trama che porta al gol. Il rigore inteso come ordine, come fine. L’area di rigore è, anche, il luogo delle finte, degli inganni, dove l’avversario è proprio davanti a te. L’ostilità del destino proprio in quella piccola parte di terreno. Ho la passione per il calcio e ho sempre trovato molte metafore della vita. Tirare un rigore e fare gol è un po’ come scrivere l’ultimo verso di una poesia".

Il calcio come metafora di vita. Altri esempi?
"La lealtà. Alla base del calcio dovrebbe esserci un modello di onestà e di comportamento. La figura dell’arbitro, ad esempio. Immagini se nella vita di ognuno di noi ci fosse un arbitro che fischia ogni volta che commettiamo un errore: sarebbe tutto più facile. E poi la ricreazione (“Ricreazione” è anche il titolo del suo secondo libro uscito nel 1979, ndr): a scuola quando suonava la campanella che sanciva pochi minuti di svago giocavamo sempre a calcio. Era un modo per scaricarsi, per essere spensierati. Lo sport, non solo il calcio, ha alla base un fondamento di lealtà e leggerezza che, anche se ultimamente sta andando perduto, è fantastico, quasi magico".

E la magia di Mourinho qual è?
"Mourinho mi piace, ha carisma, ma è troppo prepotente, vuole sempre che si parli di lui. Inoltre non è riuscito a valorizzare il giocatore italiano più forte degli ultimi tempi facendolo scappare in Inghilterra: Balotelli, che classe! Certo è una testa calda, ma quale grande giocatore non lo è?".

Meglio Guardiola, allora?
"Guardiola è più silenzioso, più laborioso. Il Barcellona regala il gioco più bello d’Europa. Certo, con mezza Spagna Campione del Mondo e l’argentino più forte in circolazione, non deve essere troppo difficile".

Con tutta questa passione, perché poeta e non calciatore?
"Ho iniziato a scrivere per caso, avevo diciotto anni, così per gioco senza nessuna pretesa né finalità. Ho sempre fatto le cose per piacere. Sono autodidatta. Studiavo chimica, cose pratiche. La letteratura poi te la fai da solo: Tolstoj, Dostoevskij, Cechov. I geni. Prima si aveva la fortuna di cominciare leggendo dei geni senza dover passare per la mediocrità".

E una poesia sulla Lazio non l’ha mai scritta?
"No non ancora, ma chissà…".

E ci saluta così:

“Noi laziali oltre ad essere aquilotti/Siamo anche imparentati con la fenice immortale”. Pura poesia.