C'era una volta l'Inter. Perché un anno dopo è tutto finito

Calcio
Zanetti, Ranocchia e Motta: l'immagine della delusione dopo l'uscita dalla Champions
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Incubo zero tituli. Storia di una parabola discendente e di amari destini incrociati. Il magico maggio 2010 sembra lontano un secolo, la squadra è fuori dalla lotta scudetto e dalla Champions. Stessa sorte per l'artefice di quel capolavoro, Mourinho

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Le foto: tutti i look di Leonardo

di Alfredo Corallo

Piangevano l'uno sulla spalla dell'altro, quella notte, José Mourinho e Marco Materazzi. Quel tenero abbraccio d'addio, sullo sfondo della magica serata madrilena, segnava inesorabilmente la parabola discendente di un legame viscerale che al Bernabeu aveva partorito l'emozione più grande, attesa da una vita, autentica "ossessione" degli inquieti sonni interisti (checché ne dicesse lo strategico Mou). "Resta, nessuno ti amerà come noi" gli sussurrò Matrix, ben consapevole che il totem portoghese la sua decisione l'aveva presa da un pezzo: rimaneva a Madrid, "tradendo" la fede di un popolo che lo aspettava adorante nella folle alba della Milano nerazzurra. Era l'Inter campione d'Europa, all'apice di una stagione irripetibile, ma che a un anno scarso di distanza appare già un dolce, sbiadito ricordo. E le cose non sono andate certo meglio allo Special One, in preda ad una costante crisi di nervi  per le sistematiche lezioni di calcio del Barça di Guardiola (Copa del Rey a parte).

MANCIO E L'AVVENTO DEL MESSIA. Prima dell'arrivo di Mourinho, l'imprinting manciniano, costruito sul filotto di coppeitalie-supercoppe e scudetti (non legittimati peraltro dalla forza di  un avversario all'altezza) aveva sì tracciato il percorso da compiere, ma le tre eliminazioni europee su tre - e la celebre "sparata" delle dimissioni dello stesso Mancio nel post-Liverpool - avevano convinto Massimo Moratti a puntare su questo lusitano arrogante, polemico, ma tremendamente ambizioso. Campione d'Europa con il Porto dei miracoli, era smanioso di rifarsi dell'annata di frustrazioni trascorsa per il suo Chelsea al termine di un ciclo culminato in due Premier league d'antologia. Il 3 giugno 2008, nell'attesissima conferenza stampa di presentazione ad Appiano Gentile, sfoderava già un perfetto milanese: "Non sono mica un pirla, qui faremo la storia". Se il primo anno porterà in corso Vittorio Emanuele la solita supercoppa italica e lo scudetto (ormai d'inerzia), al secondo tentativo, la storia, quella promessa, acquistava le prime sembianze di verità nella semifinale di Barcellona (ovviamente in 10 contro 11...) prendendo corpo con il capolavoro del "principe" Milito, a spese del Bayern, l'indimenticabile serata del 22 maggio.



IL BUON BENITEZ. Sancito il commiato con l'amato José, in estate Moratti pensa bene di consegnare i suoi campioni, spremuti dai Mondiali, nelle mani di uno spagnolo comprensivo, fin troppo, incapace di "estorcere" al suo presidente un solo pezzo da novanta (Coutinho e Biabiany bastavano e avanzavano...). Naturalmente Rafa Benitez non mangerà il panettone, ma farà in tempo ad aggiungere in bacheca l'ennesima supercoppa nostrana (fallito invece l'appuntamento con l'Atletico Madrid per quella europea), elevando l'Internazionale al punto più alto, con la conquista del Mondiale per club 45 anni dopo l'ultimo titolo iridato (e pazienza se gli avversari si chiamavano Seongnam e Mazembe e non Boca Juniors).  Ciò non toglie che a dicembre l'ex manager del Liverpool  lascia una squadra stanca, massacrata dagli infortuni e per di più attardata in campionato  - complice le partite saltate per l'Intercontinentale - con la prospettiva di un ottavo di Champions da brividi contro l'avvelenato Bayern, causa uno sciagurato girone eliminatorio.

LA LEOMUNTADA. L'operazione "remuntada" viene così arditamente affidata ad un nemico storico, quel Leonardo silurato dal Milan appena 6 mesi prima e dopo un'esperienza ultradecennale dall'altra parte del Naviglio. Ma "Leo 4-2-allegria" ha l'appoggio incondizionato di Moratti (che gli "regala" subito Ranocchia e Pazzini al mercato di gennaio) e trova nel vate Mourinho un insospettabile "sponsor" agli occhi dei più scettici nerazzurri. E il brasiliano non delude: trasmette entusiasmo da vendere ai vecchi campioni e, poco a poco, una vittoria dietro l'altra, conquista l'intero ambiente, raggiungendo il picco dei consensi la sera della rimonta all'Allianz Arena, in casa dei bavaresi. La settimana clou arriva ad inizio aprile, con il fiato sul collo del Milan (a -2) e il "fortunato" quarto di Champions con l'innocuo Schalke 04. Accolto dal Meazza al grido di "Giuda interista" Leonardo crolla sotto i colpi di Pato e Cassano rinunciando definitivamente ai sogni di scudetto. Tre giorni dopo la disfatta è compiuta: il pokerissimo esterno dei tedeschi chiude ogni illusione di ripetere la storia. Insomma, dall'estasi del "triplete" all'incubo dei "zeru tituli" il passo è stato brevissimo, ma ora qualcuno spieghi il perché.

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