E' l'Inter dei sudamericani "operai". Ma la fantasia dov'è?
CalcioDieci dei 14 nerazzurri che hanno vinto il derby vengono dall'America latina, ma non c'è traccia di futebol bailado nell'Inter di Stramaccioni. Che - proprio come Mou - punta alla concretezza prima che allo spettacolo. E se qualcuno rimpiangesse Recoba?
di Stefano Rizzato
Gioco frizzante e spettacolare, fantasia e spregiudicatezza, magari un po’ di futebol bailado. Da una squadra che mette in campo 10 sudamericani su 14 giocatori, sarebbe lecito aspettarseli. Invece nessuno di questi ingredienti è nella ricetta che ha consentito all’Inter di Stramaccioni di battere il Milan e, più in generale, di trovare la quadratura. Una squadra che gioca da provinciale? Guai a dirlo a Moratti, o tanto meno al tecnico romano. Eppure quella difesa a tre fatta di giganti e il gioco a base di ripartenze hanno fatto mugugnare più di un interista. Persino dopo un derby vinto giocando un tempo in 10.
Era meglio Recoba? – Ah, quando i sudamericani erano davvero sudamericani! Nessuno arriverà a rimpiangere Vampeta e Pacheco (chi?), ma più di qualche tifoso pagherebbe di tasca propria per riavere Ronaldo, Veron, o addirittura Adriano e Recoba. Giocatori che magari avevano meno spirito di sacrificio di Cambiasso e compagni, eppure erano capaci di far sognare davvero: con un dribbling, una punizione sotto il “sette”, un gioco di prestigio.
Nell’Inter di Strama, mentre Coutinho è ancora un mezzo mistero, il brasiliano che fa la differenza è Juan Jesus: un terzino spilungone e molleggiato che ha messo il lucchetto alla difesa nerazzurra. Gli argentini – Zanetti, Cambiasso, Samuel, Milito – sono in Italia da una vita e ormai sono maestri del calcio all’italiana e dell’arte della concretezza.
Gli altri? Meno esperti di serie A, Guarin e Pereira promettono un po’ di brio in più e, forse non a caso, sono finiti in panchina. E se persino Palacio – d’accordo, rientrava dall’infortunio e l’Inter era già in 10 – veste i panni del ragioniere e non riesce a dare fantasia, sarà dura ritrovare lo spettacolo, di qui a fine stagione. A meno che Coutinho non inizi a mostrare le proprie doti anche fuori dall’Azerbaijan. O che, a fare i sudamericani, non siano in realtà un olandese (Sneijder) e un barese (Cassano).
Prima i risultati e poi lo spettacolo: Stramaccioni studia da Mou – Certo per l’Inter il bicchiere è più che mezzo pieno: il terzo derby consecutivo vinto, il +8 sui cugini, una solidità che ha fatto dimenticare le sbandate interne contro Roma e Siena. Prima i risultati e la serenità, poi lo spettacolo: sembra essere questo il Stramapensiero.
A pensarci bene, anche l’Inter dell’Età dell’oro – quella del triplete – era una squadra che badava al sodo e senza tanti fronzoli. A compensare l’assenza di fantasia in campo, ci pensava quell’istrione del Mou in panchina (e nelle interviste). Stramaccioni insista pure nell’evitare il paragone. Di certo domenica sera, vedendolo saltare e sbracciarsi, era impossibile non pensare al portoghese.
Gioco frizzante e spettacolare, fantasia e spregiudicatezza, magari un po’ di futebol bailado. Da una squadra che mette in campo 10 sudamericani su 14 giocatori, sarebbe lecito aspettarseli. Invece nessuno di questi ingredienti è nella ricetta che ha consentito all’Inter di Stramaccioni di battere il Milan e, più in generale, di trovare la quadratura. Una squadra che gioca da provinciale? Guai a dirlo a Moratti, o tanto meno al tecnico romano. Eppure quella difesa a tre fatta di giganti e il gioco a base di ripartenze hanno fatto mugugnare più di un interista. Persino dopo un derby vinto giocando un tempo in 10.
Era meglio Recoba? – Ah, quando i sudamericani erano davvero sudamericani! Nessuno arriverà a rimpiangere Vampeta e Pacheco (chi?), ma più di qualche tifoso pagherebbe di tasca propria per riavere Ronaldo, Veron, o addirittura Adriano e Recoba. Giocatori che magari avevano meno spirito di sacrificio di Cambiasso e compagni, eppure erano capaci di far sognare davvero: con un dribbling, una punizione sotto il “sette”, un gioco di prestigio.
Nell’Inter di Strama, mentre Coutinho è ancora un mezzo mistero, il brasiliano che fa la differenza è Juan Jesus: un terzino spilungone e molleggiato che ha messo il lucchetto alla difesa nerazzurra. Gli argentini – Zanetti, Cambiasso, Samuel, Milito – sono in Italia da una vita e ormai sono maestri del calcio all’italiana e dell’arte della concretezza.
Gli altri? Meno esperti di serie A, Guarin e Pereira promettono un po’ di brio in più e, forse non a caso, sono finiti in panchina. E se persino Palacio – d’accordo, rientrava dall’infortunio e l’Inter era già in 10 – veste i panni del ragioniere e non riesce a dare fantasia, sarà dura ritrovare lo spettacolo, di qui a fine stagione. A meno che Coutinho non inizi a mostrare le proprie doti anche fuori dall’Azerbaijan. O che, a fare i sudamericani, non siano in realtà un olandese (Sneijder) e un barese (Cassano).
Prima i risultati e poi lo spettacolo: Stramaccioni studia da Mou – Certo per l’Inter il bicchiere è più che mezzo pieno: il terzo derby consecutivo vinto, il +8 sui cugini, una solidità che ha fatto dimenticare le sbandate interne contro Roma e Siena. Prima i risultati e la serenità, poi lo spettacolo: sembra essere questo il Stramapensiero.
A pensarci bene, anche l’Inter dell’Età dell’oro – quella del triplete – era una squadra che badava al sodo e senza tanti fronzoli. A compensare l’assenza di fantasia in campo, ci pensava quell’istrione del Mou in panchina (e nelle interviste). Stramaccioni insista pure nell’evitare il paragone. Di certo domenica sera, vedendolo saltare e sbracciarsi, era impossibile non pensare al portoghese.