Guardiola vs Mourinho: racconto e retroscena dell'ultima sfida con un trofeo in palio

Lo stadio dello Slavia Praga si chiama Eden Arena, e mai nome sembrò più azzeccato la sera in cui - era il 30 agosto 2013 - l’impianto della capitale ceca ospitò il 16esimo capitolo della rivalità tecnica più grande del calcio moderno: Pep Guardiola contro José Mourinho. Sono passati undici anni da allora, e la Supercoppa Europea ha scritto altre pagine introduttive alla stagione europea di assoluto spessore. Ma quel match, per come era nato, per l’attesa che concludeva, per il suo emozionante svolgimento e per la soluzione ai rigori, resta un picco insuperato nella storia della competizione. Vale la pena rievocarlo mentre viene apparecchiata l’edizione 2024 fra il Real Madrid di Carlo Ancelotti e l’Atalanta di Gian Piero Gasperini. Dopo la prima fase del duello, quella culminata con l’eliminazione del Barça di Guardiola da parte dell’Inter di Mourinho nella semifinale di Champions del 2010, il confronto tra i due allenatori si era spostato in Spagna, e per due stagioni era stato qualcosa di molto più vicino al Trono di Spade che a una rivalità calcistica, per quanto accesa. Intrighi, tradimenti, giocate sublimi e polemiche roventi. Guardiola aveva prevalso il primo anno, portando a casa Liga e Champions mentre il Real Madrid del rivale s’era dovuto accontentare della Copa del Rey. Ma l’anno successivo era stato Guardiola a inchinarsi in Liga, mentre in Champions erano usciti entrambi in semifinale. Non solo: la battaglia con Mourinho, molto mediatica e senza esclusione di colpi, aveva lasciato Guardiola psicologicamente stremato, bisognoso del famoso anno sabbatico trascorso lontano dal calcio, addirittura a New York, per ritrovare le energie mentali. Privato del suo antagonista, però, anche Mourinho era crollato, facendosi sopravanzare ovunque: in Liga dal Barcellona del povero Tito Vilanova, in Copa dall’Atletico del Cholo Simeone, in Champions dal Dortmund del fenomeno nascente Jurgen Klopp. Era successo così che nel corso della stagione i due si fossero trovati a dover decidere la loro futura destinazione: Guardiola aveva ceduto alla corte del Bayern, più volte volato a New York per convincerlo mentre in molti lo consideravano già promesso al Manchester City . Mourinho invece aveva deciso di chiudere l’esperienza col Real - un inferno per chiunque, quando non porti a casa trofei - per tornare al Chelsea, sollecitato dal suo vecchio estimatore Roman Abramovich. L’ironia della sorte è che a contratti già firmati il Bayern aveva vinto la Champions sotto la guida di Jupp Heynkes, mentre il Chelsea aveva fatto sua l’Europa League grazie a Rafa Benitez. Nessun passo indietro da parte delle dirigenze - non si recede da ingaggi così pesanti - e così la Supercoppa Europea di agosto era diventato il primo inatteso palcoscenico per riprendere il confronto interrotto un anno prima dallo stop di Guardiola. Se chiudo gli occhi sono di nuovo lì. La conferenza stampa della vigilia si gioca sull’intento di levare anziché aggiungere. Come sempre Mou è più teatrale e divertente di Pep: entrambi dribblano le domande sul duello ritrovato, ma mentre Guardiola si limita a immaginare che il rivale sia contento di trovarsi lì esattamente come lui, José prende in mano lo stemma del Chelsea sulla giacca della tuta e dice “è bianca anche questa, ma quello che vi sto mostrando non è il simbolo del Real, e dunque fatemi domande soltanto sul Chelsea”. Poi sdrammatizza: “E’ una situazione particolare perché si affrontano le squadre che hanno vinto le due competizioni europee, ma Pep non è il campione della Champions e io non sono il campione dell’Europa League”. Parole atte a dissimulare la posta in palio già rilevante, per loro due più ancora che per i club: non si affrontano da oltre un anno, ma sotto la cenere accumulata le braci sono ancora roventi. Difatti la partita è bellissima. Asseconda il solito copione delle sfide tra i due, la squadra di Guardiola attacca in prevalenza tenendo il pallone mentre quella di Mourinho risale il campo a velocità supersonica: vertiginoso l’1-0 di Torres in coda a un contropiede Lampard-Schurrle, lungamente inseguito l’1-1 di Ribery, che poi corre a baciare Pep in modo plateale. Il match è durissimo, nove cartellini gialli: finché Ramires, già ammonito, entra senza cautele su Gotze meritandosi il secondo giallo. E’ l’85’, uscendo il brasiliano trova Mourinho che gli porge la mano, chi ha seguito i capitoli precedenti della sfida distingue immediatamente i nuvoloni che si addensano sul dopopartita. L’unico ombrello sarebbe una vittoria del Chelsea, e un gran tiro di Hazard bucato da Neuer all’inizio dei supplementari porta le cose in quella direzione: inizia allora un assedio alla porta di Cech come se ne sono visti pochi, ma tra prodezze del portiere ed errori di mira dei bavaresi si arriva al minuto 121, dunque nel recupero, col Chelsea esausto ma ancora in piedi. Il pareggio di Javi Martinez è tecnicamente corretto, ma filosoficamente crudele. Si va ai rigori. Succede allora che Guardiola raduni l’intero Bayern, titolari, riserve e staff, massaggiatori e fisioterapisti inclusi, e s’inventi uno di quei discorsi destinati a restare, come rivela Marti Perarnau nel suo libro “Herr Pep”: “Ragazzi, non saprei cosa dirvi sui calci di rigore perché non ne ho mai tirato uno. Ma qui tra noi c’è il miglior rigorista del mondo”. Lo stress dei giocatori lascia spazio alla curiosità. Guardiola indica Manel Estiarte, pure lui nel cerchio bavarese. “E’ stato il più grande giocatore nella storia della pallanuoto , e non sbagliava mai i rigori. Ne avrà segnati centinaia”. Manel sorride senza dire nulla, lascia che sia Pep a portare la squadra dove desidera. “Lui mi ha insegnato due cose, a proposito dei rigori: che dovete decidere adesso dove tirarlo, e non cambiare più idea qualsiasi cosa accada, e che da qui all’esecuzione dovete ripetere continuamente che lo segnerete, e che non avete alcun dubbio. E adesso scegliete voi chi se la sente e l’ordine di tiro, tanto con queste due regole li segnerete tutti”. Il diversivo funziona: cinque tiri cinque gol, Alaba Kroos Lahm Ribery Shaqiri. Il Chelsea realizza i primi quattro, poi sul dischetto va un ragazzone di 20 anni appena rientrato da un prestito al West Bromwich: si chiama Romelu Lukaku, e la sua esecuzione centrale permette a Neuer la parata decisiva. La Supercoppa va al Bayern di Guardiola. Il commento di Mourinho è che non abbia vinto la squadra migliore - tesi forte ma dal suo punto di vista ammissibile - e che la gara sia stata decisa dall’espulsione di Ramires, e anche qui c’è del vero. “Se siamo comunque andati vicini alla vittoria è perché contro Guardiola sono abituato a giocare in dieci: mi succede sempre”. Il riferimento è alla semifinale di ritorno della Champions 2010, quando il suo Thiago Motta venne cacciato ingiustamente, e a quella d’andata 2011, quando il suo Pepe venne cacciato giustamente. Ma l’intervento di Ramires meritava il secondo giallo? “A termini di regolamento forse sì, ma darlo in quel momento vuol dire rovinare la partita”. Mourinho in purezza, insomma. A oggi il bilancio della rivalità fra Pep e José consta di 25 match: 12-7 per il primo, con 6 pareggi. Quello di Praga resta l’ultimo incontro con un trofeo in palio, non solo nell’immediato: negli anni di Manchester, quando guidava lo United, Mourinho si è tolto delle soddisfazioni con Guardiola ma non gli è mai stato rivale nella corsa ai titoli. Il ruolo di antagonista è passato a Klopp.