Turchia, quando soldi e passione non bastano per la Champions

Il 2 giugno scorso, il giorno dopo aver assistito alla finale di Champions League a Londra, Josè Mourinho sbarcava a Istanbul. Per lui la solita accoglienza trionfale stavolta da parte dei tifosi del Fenerbahce. La presentazione al Sukru Saracoglu è stata quasi come una festa per celebrare uno scudetto o una coppa che, dalle parti del Fener, manca ormai dal 2014. L’uomo dei “tituli” al Porto, al Chelsea, all’Inter e alla Roma ha infiammato subito la folla. "Da oggi i vostri sogni sono i miei sogni", una delle tante frasi ad effetto usate dallo Special One, "Sono qui per migliorare il calcio turco". Ad agosto il sogno sembra già finito o almeno in buona parte ridotto. È bastato il Lille, fino alla stagione scorsa nelle mani di Fonseca, per riportare alla realtà questa parte di Istanbul. Niente Champions League nell’anno delle grandi ambizioni proprio come era successo nella stagione 2022-23, quella della finalissima all’Ataturk di Istanbul tra il City di Guardiola e l’Inter di Inzaghi. Anche quell’anno niente squadre turche al via del torneo più importante, con il Trabzonspor eliminato dal Copenaghen e lo stesso Fenerbahce fatto fuori dalla Dinamo Kiev. Stavolta oltre al Fenerbahce è capitato anche al Galatasaray di Okan Buruk, fatto fuori dallo Young Boys. A guardare il monte ingaggi delle squadre c’è da mettersi le mani nei capelli. Il Lille supera di poco i 20 milioni di euro l’anno, lo Young Boys non arriva neanche a 15. Fra i 75 e gli 80 milioni la spesa annuale invece delle due grandi di Turchia che mettono insieme, leggendo i nomi delle rose, Dzeko, Tadic, En-Nesiry, Saint-Maximin, Becao, Krunic, Zajc, Under, Icardi, Zaha, Ziyech, Mertens, Batshuayi, Torreira e Muslera per citare quelli con gli ingaggi più pesanti. Senza dimenticare la terza grande squadra di Istanbul, città da quasi 16 milioni di abitanti: il Besiktas, nuovo regno di Ciro Immobile che a 34 anni si è visto proporre un triennale da 6 milioni di euro a stagione con la speranza di arrivare almeno all’Europa League, Lugano permettendo. Insomma, in Turchia il calcio è quasi un mondo a parte. In un paese che negli ultimi anni vive una profonda crisi economica con un’inflazione fuori controllo, per il pallone si continua a spendere ben oltre le proprie possibilità sognando visibilità e risultati fuori dei confini che continuano a latitare . L’unica risonanza internazionale è arrivata nell’ultimo anno solo per ripetuti atti di violenza incontrollata dentro e fuori gli stadi. Il più clamoroso a dicembre del 2023 con Faruk Koca, presidente dell’Ankaragucu, poi arrestato e radiato dalla Federazione, che aggredì fisicamente Halil Umut Meler, arbitro del match di Super Lig contro il Rizespor per un rigore concesso al 97' agli avversari. Intervento anche di Erdogan e campionato sospeso fino al 19 dicembre ma poi, nel corso della stagione gli animi sono rimasti esasperati. Clamorosa la rissa, per motivi anche etnici, in terza serie fra i tifosi del Bursaspor e del Diyarbakirspor e ancor di più la decisione di Ecmel Faik Sarıalioğlu, presidente dell'Istanbulspor di ritirare la propria squadra dal campo per protesta contro una decisione arbitrale confermata dal Var. L’estate e l’arrivo di Mourinho avevano dato l’idea di un’inversione di tendenza. Sogni di mercato dei tifosi alimentati dai media e presenza massiccia allo stadio per l’inizio della stagione. La passione non manca, i risultati invece sì e la Turchia, da sempre ponte fra Europa ed Asia rischia di allontanarsi sempre di più dal calcio che conta e di diventare soltanto una piccola Arabia d’Europa.