La vita da 'Urlo' di Pal Enger, calciatore ladro

L'urlo di Tardelli e quello di Munch. E poi le vite, da urlo. Come quella del norvegese Pal Enger, generoso centrocampista e scaltro criminale, specializzato in furti di quadri celebri, meglio se firmati, appunto, dal suo connazionale Edvard Munch, genio controverso almeno quanto lui. Una storia che, nella sua unicità, fa comunque a pezzi gli stereotipi attorno all'ignoranza dei calciatori. Al loro presunto disinteresse per le più sacre forme espressive. Qui si viaggia in direzione ostinata e contraria, anche se nel territorio dell'illegalità. Perché Enger coltivava per l'arte, per la pittura ‘alta’, un interesse ossessivo, maniacale, assieme al gusto perfido di sbeffeggiare la legge in stravagante stile. Con un significativo distinguo. Se in mutande, nella mediana del Valerenga, si faceva apprezzare come onestissimo travet , in pochi ne hanno sfiorato l'ingegno, a volte raffinatissimo, altre meno, nei fascinosi panni di ladro gentiluomo. E vanesio assai, da cliché letterario, da Lupin in giù. La sua irresistibile attrazione per "L’Urlo", simbolo universale delle nevrosi contemporanee, e realizzato in quattro versioni, , affondava le radici nell'adolescenza ammaccata, scandita dai continui soprusi del patrigno violento. Le mani, nel dipinto di Munch, a coprire le orecchie, a strillare il disagio, diventavano le sue, tremanti, in quell'angosciosa realtà. Incubo costante a cui l'inquieto Pal cercava di sottrarsi violando casseforti e rincorrendo palloni, sino al debutto in prima squadra a 18 anni, ma con il chiodo fisso di dribblare gendarmi piuttosto che avversari. Circostanza che finì per interrompere le sue imprese, non memorabili, sui campi di calcio. Nel 1988 viene arrestato e condannato per il furto di "Amore e dolore" nel museo Munch di Oslo. Il vero obiettivo è "L’Urlo", qualcosa non funziona, ripiega su un altro capolavoro dell'idolatrato maestro. Prima nasconde la tela nella sala biliardo di un bar frequentato da poliziotti, poi si fa scoprire appendendola al muro di casa. Che gusto c'è a fare il topo da museo, avrà pensato, senza una sana dose di improntitudine? La stessa che ne avrebbe accompagnato le successive scorribande. Sei anni dopo, scontata la pena, gli bastano una scala e meno di un minuto per centrare la sua utopia. Impacchetta "L’Urlo" e lascia un biglietto, grondante abrasivo sarcasmo: "Grazie per la scarsa sorveglianza". Enger, per il colpo, aveva individuato il giorno perfetto, quello dell'inaugurazione delle Olimpiadi Invernali di Lillehammer, con il grosso delle forze di polizia dislocato altrove. Non contento, insiste, a modo suo, nel ferire l'orgoglio nazionale. Mentre il Paese organizza la caccia al ladro, saluta la nascita del suo primogenito con la consueta, irriverente ironia. Acquista uno spazio su un quotidiano e sfacciatamente annuncia: "Con un urlo è venuto alla luce". Beh, il troppo solitamente stroppia. E così accade anche con gli spericolati eccessi dell'ex centrocampista. Che finisce per cadere nella trappola tesagli dagli agenti di Scotland Yard, accorsi in aiuto delle stremate autorità norvegesi, mentre, assieme a dei complici, imbastisce una trattativa con un gruppo di ricettatori. Ma neppure la nuova condanna argina la sua eccentrica bulimia. Che nel 2015 lo rispedisce dietro le sbarre per il furto di 17 dipinti in una galleria nel centro di Oslo. Qui Munch non c'entra, le opere hanno altri padri, è la fretta a tradirlo, o forse la spiccata vocazione per le sfide estreme. Prima della fuga, dimentica, o chissà, volutamente lascia, all'interno della galleria, portafoglio e carta d'identità. Vezzo d'artista? Goffo inciampo? Il finale della storia, a differenza dell'avvincente sviluppo, non brilla per originalità. Nel senso che Enger, durante i suoi lunghi soggiorni carcerari, matura una decisione obbligata, l'unica possibile, diventa lui stesso pittore. Ma a sorprendere tutti, critica compresa, è l'eccellente qualità della sua produzione, ispirata ai giganti dell'astrattismo. E quindi non alla lezione del suo amatissimo Munch. L'ultima inversione a U nel suo romanzesco percorso. "Non era il miglior calciatore del mondo, era più bravo come ladro - l'omaggio del Valerenga, quando Pal Enger muore, lo scorso giugno, a 57 anni - per questo aveva scelto la carriera di criminale". Il succo è tutto qui. La vita, in fondo, è una questione di do di petto. Perché ognuno ha il suo urlo. E può scegliere come lanciarlo. Anche se quello di Munch resta ovviamente inarrivabile.