Fortissimamente Stankovic: gioco in una squadra di fenomeni

Calcio
Dejan Stankovic firma il suo libro: "Fortissimamente io"
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L'INTERVISTA. Il centrocampista serbo dell'Inter racconta la sua vita, dall'adolescenza a Belgrado fino alla Champions League vinta a Madrid, nel suo libro autobiografico. Con due personaggi chiave sullo sfondo: Mihajlovic e Mourinho. LE FOTO E IL VIDEO

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di Luciano Cremona

Al primo provino della sua vita, Dejan Stankovic fu scartato. Voleva giocare a pallone nello Zemun, squadra di un quartiere di Belgrado. Gli dissero: "Non hai talento". Aveva dieci anni, Deki. Quando a neanche diciannove giocava nella Stella Rossa e in nazionale, chi gli aveva detto no si è mangiato le mani. Perché tra i tanti talenti usciti dalle giovanili dell'ex Jugoslavia, Stankovic è stato il più precoce, quello che ha battuto tutti i record di gioventù. Ad accompagnarlo, un motto che è anche uno stile di vita: "Rispetto per tutti, paura di nessuno". Una carriera da predestinato, tra alti e bassi, e quasi sempre con la fascia di capitano al braccio. Proprio come in Inter-Bari. Stefan e Filip, due dei tre figli, lo ascoltano attentamente.



La fascia di capitano fin da diciottenne, e adesso quella dell'Inter...
No, un attimo. Ci tengo a ricordarlo a tutti: ho la fascia dell'Inter in questo momento solo perché il nostro grande capitano non era in campo. È un piacere ovviamente rappresentare i colori nerazzurri. Lo ammetto, dai: è bello mettersi lì, in posa, a fare la foto con i miei compagni, indossando la fascia.

C'è più responsabilità?
Sì ma sono abituato. E poi ho le spalle ben coperte, dietro ho una squadra di fenomeni. Posso stare tranquillo. Anche se poi, come ieri, ho preso un giallo per proteste: è la mia indole, non ci posso fare niente.

Un libro, "Fortissimamente io" (Mondadori, 177 p.) , per raccontare una carriera che non è ancora finita...
È vero, ma è un progetto che mi ha proposto Mirko Vrbica, un giornalista serbo molto bravo. Abbiamo iniziato un anno fa, abbiamo raccolto foto e ricordato tutti gli episodi della mia vita e della mia carriera. Che non è finita, certo. Ho un contratto fino al 2014 con l'Inter, credo che al 95% finirò la mia carriera in nerazzurro.

Belgrado, poi Roma, infine Milano. Tappe di una vita resa più triste dalla guerra, dai bombardamenti.

Nel 1999 giocavo nella Lazio, stavamo lottando per lo scudetto. Ma il calcio è passato in secondo piano. La mia testa non ha più pensato al pallone per almeno cinque mesi .

Nel libro una delle parole più ricorrenti è "fratello". È Mihajlovic il tuo vero fratello maggiore?

Sinisa è Sinisa. Lui mi ha insegnato tutto, soprattutto fuori dal campo, soprattutto le regole di vita. In questi giorni l'ho lasciato in pace, dopo la partenza non felicissima con la Fiorentina. Si chiuderà nel suo mondo e reagirà alla grande, perché lui è un grande.

Anche Mourinho è un grande? È lui che ti ha allontanato dalla Juve nel 2008?
Era andato via il Mancio e con lui Sinisa e tutto lo staff. E allora, siccome sono loro amico, dovevo andare via anche io secondo la stampa. Poi è arrivato Josè, ci siamo parlati cinque minuti. Sono bastati.

Il tuo rapporto con l'Inter è stato ancora più saldo da quel momento?
Assolutamente sì. Anche perché i tifosi nerazzurri si ricordano bene che nel 2004 preferii andare a Milano piuttosto che alla Juve dicendo: "Uno scudetto con l'Inter ne vale cinque con la Juve". Pensate che adesso ne abbiamo vinti cinque.

Il 2010 è stato l'anno del "triplete". Non è che avete vinto apposta la Champions così hai aggiunto il capitolo più bello al tuo libro?
In effetti, pian piano abbiamo realizzato la stagione perfetta proprio mentre stavamo scrivendo il libro. Sembrava che doveva compiersi un disegno dall'alto. Ma spero di continuare a vincere, così ci sarà ancora qualche pagina da scrivere.