Hellas contro Chievo: alla scoperta del derby che verrà
CalcioNeanche la prossima stagione sarà quella dello scontro diretto, ma tutta Verona lo aspetta. Tra dispetti e sfottò, lanci di uova e bandiere rubate, ecco come convivono le due anime della città. Basta solo non toccare la scala... GUARDA LE FOTO
Luoghi e personaggi del derby di Verona. Le foto
di Vanni Spinella
da Verona
Neanche la prossima stagione sarà quella del derby, ma a Verona ne sono tutti convinti: ci siamo quasi. Alla lenta risalita dell’Hellas manca solo l’ultimo scalino, con il tanto atteso ritorno in serie A. E a quel punto sì, sarebbe ancora derby tra Hellas e Chievo.
“Sempre che nel frattempo non sia il Chievo a scendere in B”, gufano alcuni tifosi dell’Hellas. E c’è anche chi godrebbe più per una caduta dei cugini che per un successo della propria squadra. Perché Verona è così: romantica, elegante, signorile. Fino a quando non si inizia a parlare di calcio.
La Verona dei tifosi è lontanissima da quella dei turisti stranieri che, ai tavolini dei ristoranti nella piazza dell’Arena, ordinano per cena “pizza e cappuccino”.
La Verona dei tifosi è quella dei tassisti che, appurato che non sei interessato né all’opera né al balcone di Giulietta, ti fanno subito una domanda: “Ma allora sei qui per l’Hellas o per il Chievo?”. E devi scegliere.
Una città spaccata dal derby più strano d’Italia, che le manca da quasi 10 anni.
Verona e Chievo: un insieme e il suo sottoinsieme (Chievo è un quartiere di Verona) che hanno convissuto tranquillamente finché il piccolo “Ceo”, come lo chiamano in dialetto, non si è stancato di essere considerato solo una parte del tutto. Finché i “mussi”, gli asini, non hanno iniziato a volare.
“Quando i mussi i volerà faremo il derby in serie A”, recitava uno striscione provocatoriamente esposto dalla Curva dell’Hellas quando il piccolo Chievo iniziava a diventare grande. Nel 2001 il Chievo in A ci arrivò veramente, e i suoi tifosi diventarono i “mussi volanti”: il tempo di giocare due derby (una vittoria a testa) e l’Hellas retrocede in B e poi persino in Lega Pro.
Adesso i due poli opposti si stanno riavvicinando. La città si prepara a una doppia stagione calcistica, e lo fa festeggiando ancora per la promozione in B dell’Hellas (bandiere ovunque, ai balconi) e con qualche anticipazione della battaglia che verrà. Sfottò, goliardate, piccoli dispetti.
Come ricorda Alice, tifosa del Chievo che nel giorno del suo matrimonio si è vista presentarsi fuori dalla chiesa un amico dell’Hellas, con tanto di fumogeni gialloblù: “Un giorno indimenticabile: e un buco così nel vestito da sposa”.
“La notte dopo la promozione in B dell’Hellas, alcuni tifosi sono venuti a Chievo – racconta invece Gianni, il proprietario della “Tana dei Mussi volanti”, il bar-ritrovo dei tifosi clivensi. “Volevano tirare giù la nostra bandiera, che sventola su un pennone al centro della piazza del quartiere. Ci hanno provato, ma non ci sono riusciti: hanno tirato il cavo sbagliato, l’hanno rotto, e la bandiera è rimasta lì dov’era. Non sanno neanche ammainare una bandiera…”.
Roba d’altri tempi, roba da pirati. Il panettiere del quartiere ha dovuto togliere il vessillo che teneva sul balcone: continuavano a tirargli le uova. Per non parlare del cartello che c’è all’ingresso di Chievo: il comune lo cambia ogni settimana, perché la scritta “frazione di Verona” viene sistematicamente cancellata. Un modo per sottolineare che Chievo non sarà mai parte di Verona.
“Chievo? Quattro case e un forno”, taglia corto il signor Luciano, enciclopedia ambulante dell’Hellas, che con i suoi racconti intrattiene chi entra nel bar “Stadio”, il punto di ritrovo dei tifosi Hellas, proprio di fronte al Bentegodi: un locale che, a domeniche alterne, o fa il pienone o è deserto, a seconda di chi gioca in casa.
“Ribadisco: quattro case” – continua Luciano. “Ma lo dico per sentito dire. Io non ci sono mai stato. Non ho il passaporto”.
A due passi dallo stadio c’è anche il Carlo, al secolo Carlo Avesani, il macellaio di fiducia di quelli del Ceo che, ai tempi del "Chievo dei miracoli" allenato da Delneri, si rifornivano da lui per organizzare le cene a base di stracotto d’asino. Gira e rigira, sempre al “musso” si torna.
Inevitabile, poi, parlare di scale. A Verona ne hanno fatto una vera questione. Se Benigni insegna che a Palermo non bisogna toccare le banane, a Verona è meglio non chiedere mai di chi sia la scala. La diatriba va avanti da anni, con quelli del Ceo sul banco degli imputati, rei di aver “rubato” quello che era il simbolo dell’Hellas, oltre ai colori gialloblù, usandoli sulle proprie maglie. “Sarebbe ora che si facessero una loro identità, senza cercare di imitare chi ha più storia”, è l’accusa.
Intanto, i tifosi dell’Hellas rivendicano la paternità della scala anche sul web, dove hanno trovato il modo di inserirla in ogni loro firma, con due barre e un uguale: /=, e la scala è fatta.
Quelli del Chievo rispondono portando le prove: nel 1932 la scala era già presente sulla maglia del Ceo. Che però era biancoazzurra. “Il gialloblù possono anche tenerlo – è la concessione di Luciano – da quando tifo sono abituato a vederli con quei colori. Tanto il loro sarà sempre un gialloblù taroccato”.
“Il loro simbolo, però, è sempre stato la diga. Poi sono arrivati in B e stranamente si sono appropriati della scala. Attaccandosi a scuse come ‘la nostra scala ha 5 pioli e non 4…’. Ma per favore…”.
L’ultimo aneddoto è di Vittorio che, prima di lasciare la “Tana dei Mussi”, racconta: “Qualche giorno fa ero in giro con addosso la giacca del Chievo, quella ufficiale, con sponsor e simboli in bella mostra. Praticamente ero una bandiera. Sto per attraversare la strada quando vedo arrivare una macchina. Mi fermo. Si ferma anche l’autista. Abbassa il finestrino e mi fa: ‘Sarebbe stata una soddisfazione immensa investire uno del Chievo’. Mi spiegate come possiamo convivere?”.
Fortunatamente ci si ferma sempre allo sfottò, a un sano derby delle parole, praticamente quotidiano. Intanto, in attesa di quello sul campo, scordatevi la città degli innamorati. A Verona, quando si parla di pallone, sono tutti per il divorzio.
di Vanni Spinella
da Verona
Neanche la prossima stagione sarà quella del derby, ma a Verona ne sono tutti convinti: ci siamo quasi. Alla lenta risalita dell’Hellas manca solo l’ultimo scalino, con il tanto atteso ritorno in serie A. E a quel punto sì, sarebbe ancora derby tra Hellas e Chievo.
“Sempre che nel frattempo non sia il Chievo a scendere in B”, gufano alcuni tifosi dell’Hellas. E c’è anche chi godrebbe più per una caduta dei cugini che per un successo della propria squadra. Perché Verona è così: romantica, elegante, signorile. Fino a quando non si inizia a parlare di calcio.
La Verona dei tifosi è lontanissima da quella dei turisti stranieri che, ai tavolini dei ristoranti nella piazza dell’Arena, ordinano per cena “pizza e cappuccino”.
La Verona dei tifosi è quella dei tassisti che, appurato che non sei interessato né all’opera né al balcone di Giulietta, ti fanno subito una domanda: “Ma allora sei qui per l’Hellas o per il Chievo?”. E devi scegliere.
Una città spaccata dal derby più strano d’Italia, che le manca da quasi 10 anni.
Verona e Chievo: un insieme e il suo sottoinsieme (Chievo è un quartiere di Verona) che hanno convissuto tranquillamente finché il piccolo “Ceo”, come lo chiamano in dialetto, non si è stancato di essere considerato solo una parte del tutto. Finché i “mussi”, gli asini, non hanno iniziato a volare.
“Quando i mussi i volerà faremo il derby in serie A”, recitava uno striscione provocatoriamente esposto dalla Curva dell’Hellas quando il piccolo Chievo iniziava a diventare grande. Nel 2001 il Chievo in A ci arrivò veramente, e i suoi tifosi diventarono i “mussi volanti”: il tempo di giocare due derby (una vittoria a testa) e l’Hellas retrocede in B e poi persino in Lega Pro.
Adesso i due poli opposti si stanno riavvicinando. La città si prepara a una doppia stagione calcistica, e lo fa festeggiando ancora per la promozione in B dell’Hellas (bandiere ovunque, ai balconi) e con qualche anticipazione della battaglia che verrà. Sfottò, goliardate, piccoli dispetti.
Come ricorda Alice, tifosa del Chievo che nel giorno del suo matrimonio si è vista presentarsi fuori dalla chiesa un amico dell’Hellas, con tanto di fumogeni gialloblù: “Un giorno indimenticabile: e un buco così nel vestito da sposa”.
“La notte dopo la promozione in B dell’Hellas, alcuni tifosi sono venuti a Chievo – racconta invece Gianni, il proprietario della “Tana dei Mussi volanti”, il bar-ritrovo dei tifosi clivensi. “Volevano tirare giù la nostra bandiera, che sventola su un pennone al centro della piazza del quartiere. Ci hanno provato, ma non ci sono riusciti: hanno tirato il cavo sbagliato, l’hanno rotto, e la bandiera è rimasta lì dov’era. Non sanno neanche ammainare una bandiera…”.
Roba d’altri tempi, roba da pirati. Il panettiere del quartiere ha dovuto togliere il vessillo che teneva sul balcone: continuavano a tirargli le uova. Per non parlare del cartello che c’è all’ingresso di Chievo: il comune lo cambia ogni settimana, perché la scritta “frazione di Verona” viene sistematicamente cancellata. Un modo per sottolineare che Chievo non sarà mai parte di Verona.
“Chievo? Quattro case e un forno”, taglia corto il signor Luciano, enciclopedia ambulante dell’Hellas, che con i suoi racconti intrattiene chi entra nel bar “Stadio”, il punto di ritrovo dei tifosi Hellas, proprio di fronte al Bentegodi: un locale che, a domeniche alterne, o fa il pienone o è deserto, a seconda di chi gioca in casa.
“Ribadisco: quattro case” – continua Luciano. “Ma lo dico per sentito dire. Io non ci sono mai stato. Non ho il passaporto”.
A due passi dallo stadio c’è anche il Carlo, al secolo Carlo Avesani, il macellaio di fiducia di quelli del Ceo che, ai tempi del "Chievo dei miracoli" allenato da Delneri, si rifornivano da lui per organizzare le cene a base di stracotto d’asino. Gira e rigira, sempre al “musso” si torna.
Inevitabile, poi, parlare di scale. A Verona ne hanno fatto una vera questione. Se Benigni insegna che a Palermo non bisogna toccare le banane, a Verona è meglio non chiedere mai di chi sia la scala. La diatriba va avanti da anni, con quelli del Ceo sul banco degli imputati, rei di aver “rubato” quello che era il simbolo dell’Hellas, oltre ai colori gialloblù, usandoli sulle proprie maglie. “Sarebbe ora che si facessero una loro identità, senza cercare di imitare chi ha più storia”, è l’accusa.
Intanto, i tifosi dell’Hellas rivendicano la paternità della scala anche sul web, dove hanno trovato il modo di inserirla in ogni loro firma, con due barre e un uguale: /=, e la scala è fatta.
Quelli del Chievo rispondono portando le prove: nel 1932 la scala era già presente sulla maglia del Ceo. Che però era biancoazzurra. “Il gialloblù possono anche tenerlo – è la concessione di Luciano – da quando tifo sono abituato a vederli con quei colori. Tanto il loro sarà sempre un gialloblù taroccato”.
“Il loro simbolo, però, è sempre stato la diga. Poi sono arrivati in B e stranamente si sono appropriati della scala. Attaccandosi a scuse come ‘la nostra scala ha 5 pioli e non 4…’. Ma per favore…”.
L’ultimo aneddoto è di Vittorio che, prima di lasciare la “Tana dei Mussi”, racconta: “Qualche giorno fa ero in giro con addosso la giacca del Chievo, quella ufficiale, con sponsor e simboli in bella mostra. Praticamente ero una bandiera. Sto per attraversare la strada quando vedo arrivare una macchina. Mi fermo. Si ferma anche l’autista. Abbassa il finestrino e mi fa: ‘Sarebbe stata una soddisfazione immensa investire uno del Chievo’. Mi spiegate come possiamo convivere?”.
Fortunatamente ci si ferma sempre allo sfottò, a un sano derby delle parole, praticamente quotidiano. Intanto, in attesa di quello sul campo, scordatevi la città degli innamorati. A Verona, quando si parla di pallone, sono tutti per il divorzio.