La classe operaia adesso va... allo stadio. E protesta

Calcio
Una delegazione degli operai dell'Alcoa di Portovesme al Sant'Elia di Cagliari (GETTY)
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A Cagliari la gara con la Fiorentina è cominciata con mezzora di ritardo per la protesta degli operai dell'Alcoa. A Roma i lavoratori della SigmaTau bloccano il pullman giallorosso diretto all'Olimpico. Quando la lotta si fa con il calcio. LE FOTO

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Di Gianluca Maggiacomo

«Perché coinvolgere il calcio? Beh, perché le partite le guardano tutti. Per noi era l’unico modo per far conoscere la nostra situazione a tutto il Paese. Era una occasione irripetibile. Non potevamo perderla. E così ci siamo mossi». Franco Bardi, 46 anni, è il segretario provinciale della Fiom-Cgil del Sulcis Iglesiente. Lo scorso 22 gennaio ,lui, altri sindacalisti e gli operai dell’Alcoa, azienda leader nella produzione di alluminio primario, sono riusciti a ritardare di mezz’ora l’inizio di Cagliari-Fiorentina. In un batter d’occhio la notizia ha fatto il giro di tv, radio e siti web.

Era una domenica come tante, in Sardegna. La giornata di campionato stava per cominciare. Tutto era pronto. All’improvviso, però, sono cambiati i protagonisti in scena. Non più i calciatori, gli arbitri e i tifosi, ma gli operai.

Quello dell’Alcoa non è un caso isolato. Il 29 gennaio si è replicato a Trigoria, il centro sportivo della Roma, dove una protesta simile a quella sarda è stata inscenata dai lavoratori della Sigma Tau, industria chimica di Pomezia, città alle porte della Capitale.

Per difendere il posto di lavoro si fa di tutto. Si va in piazza, si presidiano le fabbriche, si sale sui tetti e si occupano le torri. Ma non solo. La protesta operaia ha scoperto il mondo del calcio e lo ha coinvolto. Lo ha costretto ad ascoltare e a fare da cassa di risonanza alle varie crisi occupazionali che ci sono in giro per l’Italia. L’idea di fondo dei lavoratori è semplice: “usare” il calcio per amplificare proteste che spesso non riescono a bucare lo schermo.

«Esser riusciti a rimandare l’inizio di Cagliari-Fiorentina è stato un gran successo. A partire dal giorno dopo abbiamo ricevuto tanti attestati di solidarietà provenienti da tutta Italia», dice Franco Bardi, «grande tifoso dell’Inter» ed ex centrocampista in una società dilettante. Fuori dagli stabilimenti dell’Alcoa di Portovesme lo sciopero va avanti dai primi giorni del 2012. «Il 5 gennaio l’azienda ha comunicato la chiusura e il licenziamento di 1.500 persone. Per il territorio è una batosta, perché rimarrebbero a casa anche tutti i lavoratori della filiera dell’alluminio. Per questa parte della Sardegna sarebbe una tragedia. Complessivamente rischiano in 3.500 », racconta Bardi. «L’idea di una protesta eclatante che coinvolgesse il calcio ci è venuta nella settimana che ha preceduto Cagliari-Fiorentina. L’abbiamo discussa con i lavoratori e abbiamo deciso che era arrivato il momento di metterla in pratica. E così, il 22 gennaio, abbiamo occupato l’uscita dell’albergo in cui alloggiavano i viola». La partita doveva cominciare alle 15. Già dalla mattina gli operai manifestavano davanti all’hotel. E quando il pullman con i giocatori a bordo si è mosso per raggiungere il Sant’Elia, i manifestanti hanno fatto blocco. «I calciatori sono stati comprensivi. Io e altri colleghi», racconta il sindacalista, «abbiamo parlato con Delio Rossi e Alessandro Gamberini. Ci hanno ascoltati. Con il mister mi sono scusato per i disagi. Alla squadra abbiamo chiesto una mano per far viaggiare la nostra vertenza al di fuori dalla Sardegna». Il colloquio con tecnico e capitano ha fatto sbloccare la situazione. I giocatori sono riusciti a partire. La manifestazione si è conclusa allo stadio. Una delegazione di operai è entrata nell'impianto e ha assistito alla partita da bordo campo, con in testa i caschi anti-infortunistici.

Dalla serie A alla Lega Pro, la protesta corre sempre su un campo da calcio. A Ferrara a contestare non sono i lavoratori, ma il proprietario della Top Secret, un’agenzia di steward. Lui si chiama Matteo Mazzoni, ha 44 anni e dal 2007 lavora con la Spal, a cui fornisce il personale addetto alla sicurezza per le partite interne. Il 15 gennaio, allo stadio "Mazza", la squadra di casa ospita il Taranto. Il match termina 0-0 e al triplice fischio finale Mazzoni mette in scena la sua protesta. «La società mi doveva 3.500 euro per una parte di lavoro fatto fin lì. Tra noi e Ia Spal c’era un accordo siglato davanti al Prefetto: i soldi mi dovevano esser corrisposti alla fine di quella partita. Così non è stato e allora ho cominciato la mia protesta solitaria. I giornali locali», racconta Mazzoni, «hanno scritto che gli steward hanno bloccato le uscite dello stadio, ma non è vero. Sono stato solo io ad alzare la voce. Ci sono state un po’ di urla. La discussione con i dirigenti è stata molto accesa, ma alla fine sono riuscito nel mio intento. In tre giorni ho avuto i soldi. Ma non finisce qui. La società mi deve ancora ben 104.000 euro per il lavoro del 2011. Si parla di una nuova proprietà per la Spal: speriamo di ottenere quanto ci spetta».

E se a Ferrara ha protestato il titolare di una società, a Trigoria, lo scorso 29 gennaio, sono tornati protagonisti gli operai. Quelli della Sigma Tau, azienda farmaceutica che si trova a sud della Capitale. I lavoratori e i loro figli, sull’esempio di quanto fatto dai colleghi dell’Alcoa prima di Cagliari-Fiorentina, hanno organizzato un sit-in davanti ai cancelli del centro sportivo giallorosso. L’obbiettivo: ritardare l’inizio di Roma-Bologna. Paolo Cotichini, 48 anni, è l’operaio che è stato inquadrato da tutte le telecamere mentre parlava con Francesco Totti. «Io so’ laziale, nun ce volevo nemmeno annà a Trigoria, ma er lavoro è lavoro», dice mentre presidia i cancelli della fabbrica. «Siamo disperati. Sono 27 anni che lavoro lì, mica un giorno. E ora sono in cassa integrazione». Come Cotichini stanno, per ora, altre 350 persone. «Ma la ristrutturazione voluta dall’azienda toccherà fino a un massimo di 596 addetti», dice Roberto Gargiullo, della Filctem Cgil di Pomezia.
Alla Sigma Tau la protesta va avanti da più di un mese. I lavoratori hanno bloccato le strade e hanno costretto il Prefetto a intervenire per far aprire un tavolo di discussione tra l’azienda e i sindacati. «Andare a Trigoria è stato un gesto spontaneo», dice Cotichini, ex terzino del Rocca di Papa, la squadra del suo paese. «Quando si sono aperti i cancelli del centro sportivo mi sono messo con la testa sul pullman e ho detto: “se non scende Totti non facciamo arrivare la squadra all'Olimpico”». All’inizio il bus non voleva fermarsi. Qualcuno ha cominciato ad urlare. Sono stati accesi fumogeni. Poi, la decisione di far incontrare una delegazione della squadra con i manifestanti. «È stato bello che Totti e Perrotta siano scesi a parlare con noi». I figli degli operai hanno consegnato ai giocatori il cappellino simbolo della protesta alla Sigma Tau. «Sulla visiera c’era scritto –596, come il numero di noi che rischia la cassa integrazione. A Francesco (Totti, ndr) avevamo chiesto di indossarlo prima dell’inizio della gara. Non l’ha fatto: ci sono rimasto un po’ male. Sarebbe stato un bel gesto nei confronti di chi, come noi, sta lottando per il posto di lavoro». La protesta, questa volta, non è riuscita a ritardare l’inizio della partita, ma la risonanza mediatica sul caso dell’azienda di Pomezia c’è stata. Eccome. «Il sit-in a Trigoria ci ha dato visibilità perché il calcio lo seguono tutti. In tanti ci hanno mandato attestati solidarietà», ragiona Contichini. «Da quel giorno in tutt’Italia sanno che alla Sigma Tau ci sono lavoratori in sciopero. Per noi è fondamentale tenere accese le lui sulla nostra situazione. Ci siamo riusciti grazie al calcio? Bene. Speriamo solo che porti a qualcosa».