Ecco perché Juventus-Inter è il "derby d'Italia" doc
CalcioNon c'entrano scudetti, retrocessioni o numero di tifosi: fu Gianni Brera, negli anni '60, a definire così il duello fra bianconeri e nerazzurri, sulla base di una rivalità già epica. Una rivalità che ha diviso i bar d'Italia e, per questo, assai popolare
di Lorenzo Longhi
Il battista fu Gianni Brera, e già questo dovrebbe bastare perché “derby d’Italia” debba essere considerata una definizione doc. A denominazione d’origine controllata, cioè, proprio come il miglior vino del quale - come per il calcio - Gioannfucarlo scrisse pagine memorabili. Se Juventus-Inter è dunque il derby d’Italia, e se tale è diventato nell’immaginario collettivo, lo si deve dunque a chi ha fatto la storia del giornalismo sportivo italiano, e a chi la leggenda del pallone italico ha saputo raccontarla come pochi altri.
Sono passati quasi cinquant’anni di bianconerazzurro, dal giorno in cui per la prima volta - siamo nella seconda metà degli anni ‘60 - la locuzione “derby d’Italia” venne associata alle sfide fra Juventus e Inter. Una definizione suggestiva, pregna, ariosa, tutto sommato anche rivoluzionaria perché capace di allargare i confini geografici di un termine utilizzato in genere per restringerli (derby, appunto). Attecchì. Ma perché proprio Juventus-Inter? La spiegazione, a differenza della definizione, Brera non la vergò mai, ma la forza dirompente stava proprio nella sua semplicità: era la rivalità storica fra i due club e le rispettive tifoserie - negli stadi come nei bar (soprattutto nei bar) - a fare da retroterra alla scelta di investire il duello di tale definizione. A prescindere dalle contingenze: allora, infatti, Juventus ed Inter erano i due club che avevano vinto più scudetti, ed il loro confronto era anche quello fra due delle famiglie egemoni (ieri come oggi gli Agnelli e i Moratti) del capitalismo nostrano. Ma era la tradizione, già epica e popolare, di Juventus-Inter a richiamare la definizione, non tanto il contesto.
Poi, nell’Italia dei campanili e del revisionismo storico, ognuno nella locuzione “derby d’Italia” ha preso a vederci ciò che ha voluto. “Loro sono quelli che hanno vinto di più in Italia, noi nel mondo, dunque sulla base di un semplice calcolo sembra che il derby d’Italia sia Juventus-Milan”, disse Adriano Galliani nel 2009 (ma la provocazione iniziale era di Lapo Elkann, niente meno…) per appropriarsi di un altro titolo, ma non meno fuorviante è la tesi di chi, sino a Calciopoli, l’ha associata alla considerazione che né Juventus né Inter fossero mai retrocesse, dal momento che a quel tempo nemmeno Milan e Bologna avevano mai conosciuto la B. Ma, se è per questo, tanto vale ricordare che per i tifosi juventini l’Inter era retrocessa sul campo nel 1922, mentre per gli interisti la Juventus nel 1913, nella preistoria della Serie A. Rivalità da bar, insomma, dunque rivalità vera, sentita, vissuta come poche altre. Ecco perché Juventus-Inter è, da quasi 50 anni, il “derby d’Italia”.
Il battista fu Gianni Brera, e già questo dovrebbe bastare perché “derby d’Italia” debba essere considerata una definizione doc. A denominazione d’origine controllata, cioè, proprio come il miglior vino del quale - come per il calcio - Gioannfucarlo scrisse pagine memorabili. Se Juventus-Inter è dunque il derby d’Italia, e se tale è diventato nell’immaginario collettivo, lo si deve dunque a chi ha fatto la storia del giornalismo sportivo italiano, e a chi la leggenda del pallone italico ha saputo raccontarla come pochi altri.
Sono passati quasi cinquant’anni di bianconerazzurro, dal giorno in cui per la prima volta - siamo nella seconda metà degli anni ‘60 - la locuzione “derby d’Italia” venne associata alle sfide fra Juventus e Inter. Una definizione suggestiva, pregna, ariosa, tutto sommato anche rivoluzionaria perché capace di allargare i confini geografici di un termine utilizzato in genere per restringerli (derby, appunto). Attecchì. Ma perché proprio Juventus-Inter? La spiegazione, a differenza della definizione, Brera non la vergò mai, ma la forza dirompente stava proprio nella sua semplicità: era la rivalità storica fra i due club e le rispettive tifoserie - negli stadi come nei bar (soprattutto nei bar) - a fare da retroterra alla scelta di investire il duello di tale definizione. A prescindere dalle contingenze: allora, infatti, Juventus ed Inter erano i due club che avevano vinto più scudetti, ed il loro confronto era anche quello fra due delle famiglie egemoni (ieri come oggi gli Agnelli e i Moratti) del capitalismo nostrano. Ma era la tradizione, già epica e popolare, di Juventus-Inter a richiamare la definizione, non tanto il contesto.
Poi, nell’Italia dei campanili e del revisionismo storico, ognuno nella locuzione “derby d’Italia” ha preso a vederci ciò che ha voluto. “Loro sono quelli che hanno vinto di più in Italia, noi nel mondo, dunque sulla base di un semplice calcolo sembra che il derby d’Italia sia Juventus-Milan”, disse Adriano Galliani nel 2009 (ma la provocazione iniziale era di Lapo Elkann, niente meno…) per appropriarsi di un altro titolo, ma non meno fuorviante è la tesi di chi, sino a Calciopoli, l’ha associata alla considerazione che né Juventus né Inter fossero mai retrocesse, dal momento che a quel tempo nemmeno Milan e Bologna avevano mai conosciuto la B. Ma, se è per questo, tanto vale ricordare che per i tifosi juventini l’Inter era retrocessa sul campo nel 1922, mentre per gli interisti la Juventus nel 1913, nella preistoria della Serie A. Rivalità da bar, insomma, dunque rivalità vera, sentita, vissuta come poche altre. Ecco perché Juventus-Inter è, da quasi 50 anni, il “derby d’Italia”.