Omicidio Bergamini: sviluppi e colpi di scena nei primi 7 mesi del processo

caso bergamini

Silvia Vallini

Emergono colpi di scena e sviluppi sorprendenti nei primi 7 mesi del processo per l’omicidio del calciatore del Cosenza Denis Bergamini, morto 33 anni fa. Il punto della situazione

33 anni dopo l’uccisione di Denis Bergamini, l’aula del tribunale di Cosenza si affolla di "non ricordo" inevitabili e di molti altri che cozzano contro le dichiarazioni rese agli ispettori di polizia giudiziaria Ornella Quintieri e Pasquale Pugliese nel 2017, soltanto 5 anni fa. Dopo 28 i ricordi sono riaffiorati, negli ultimi 5 molti sono finiti nell’oblio e da lì riemergono solo in virtù della lettura dei verbali stilati nel tempo. E’ così che per due testimoni all’epoca vicini a Isabella Internò, unica imputata per concorso in omicidio volontario pluriaggravato, è stata chiesta la trasmissione degli atti alla Procura per falsa testimonianza: le loro parole non si conciliavano con quelle rese in fase di indagini.  "Sviluppi clamorosi" li definì in quell’occasione l’avvocato della famiglia Bergamini Fabio Anselmo, che ha peraltro reso noto di aver subito nel corso del processo minacce da parte di uno dei legali della difesa.

Tensione e discordia

Urla e scontri tra le parti, testimoni chiamati a un confronto per capire dove stesse la verità. E’ accaduto all’ultima udienza tra le molteplici che ancora mancano per sentire gli oltre 200 testi al momento in lista. L’allora maresciallo di Trebisacce Antonio Carbone da una parte, il medico del Pronto Soccorso Antonio Raimondi di fronte a lui per spiegare come mai il primo nel verbale di conferimento incarico e consulenza sulla causa della morte di Denis, riportò le generalità di Raimondi quale medico che gli avrebbe dettato parole come "digitopressione", "ipostasi" sul corpo di Bergamini, "poli-traumatismo", morte per arresto "cardiorespiratorio". "Sarei da rinchiudere se davvero avessi detto cose simili" - dice oggi Raimondi, che nega di aver svolto quell’attività così come descritta, anzi, racconta di aver fatto solo un’ispezione visiva, a distanza di 2/3 metri. E su questo Carbone, che semplicemente scrisse, scelto per la bella calligrafia, non perché prestasse attenzione alle parole che dalla stessa venivano rivestite, concorda: fu fatto solo un esame visivo. Ed allora, quell’attività di cui si parla nel verbale della discordia, chi la svolse? Carbone lascia il tribunale con piena fiducia verso il processo, l’unico prima d’ora, che risale al 1991, ignaro di tutto ciò che è accaduto poi. Raimondi se ne va, faticando a reggersi sulle gambe malcerte tra il dispiacere e l’imbarazzo e mai si sarebbe aspettato di trovarsi a vivere tutto questo 33 anni dopo.

Colpi di scena

Chi avrebbe potuto prevedere che d’urgenza potesse essere chiamato il Pm Ottavio Abate, che si trovò a gestire il caso alla sua origine e che quel verbale lo firmò a differenza di Raimondi? Nessuna firma del medico cui vengono attribuite le conclusioni sulle cause della morte di Denis. "E’ una grave mancanza" – ammette in aula lo stesso Abate, che dice di aver partecipato all’esame, come sempre, che conferma tutto quanto riportato, che spiega nel dettaglio cosa sia un’ipostasi e anche quanto sia tutto sommato semplice evincere il poli-traumatismo. Tutte le perizie successive, però, lo hanno escluso, parlando di "trauma monofocale". "E’ stato un errore" – dice una volta che gli viene fatto notare. Tanti errori. Troppi errori. Abate spiega che in un primo momento non fu ritenuta necessaria una autopsia, perché la "causa appariva chiara" e non c’era motivo di dubitare della testimonianza resa allora dalla Internò e da altri. Bastava quello. 33 anni dopo i fatti raccontano che siamo a un processo per omicidio avvenuto il 18 novembre del 1989. Quel giorno Michele De Marco - guardia medica - fu chiamato sul luogo per constatare il decesso. Anche lui fece un’ispezione sostanzialmente visiva, non girò il corpo che giaceva a pancia in giù, afferma. Eppure, nel suo verbale parlò di sfondamento toracico. Come lo rilevò? Addome, torace, forse si è confuso, come dice lui stesso in aula. 

La verità

Nessun dito puntato. Alla difesa è stato chiesto più volte di parlare, com’è giusto che sia, perché quello che conta è solo la verità, tutta la verità. Esistono luoghi e persone per fare giustizia, esiste un giudice, Paola Lucente, che con grande attenzione, professionalità e carattere sta gestendo un processo atteso per oltre tre decenni.