
Marisa Raciti, vedova di Filippo Raciti
ESCLUSIVA SKY. La vedova dell'ispettore ucciso dopo il derby Catania-Palermo del 2 febbraio 2007 parla alla vigilia della sfida che vedrà le due squadre ancora di fronte: "Il sacrificio di mio marito deve avere un seguito, non si può far finta di niente"
Non devo essere solo io a portare un messaggio anti-viloenza, però la mia testimonianza può essere importante perché il sentire, il vedere, il capire, forse anche attraverso la presenza, aiuta molto. Gli incontri sono stati fatti sia nella scuola elementare ma soprattutto li rivolgo ai ragazzi delle superiori. Ho girato in venti mesi parecchie scuole in tutta Italia, pochissime a Catania e nessuna ad Acireale, a parte la scuola di mia figlia. Io mi auguro, attraverso la mia testimonianza, che alcuni possano comprendere e capire però, ovviamente, una sola voce non è forte quanto un coro. Mi auguro che accanto a me ci siano altre voci, altre persone capaci e che abbiano la possibilità di potersi impegnare in questo cammino di educazione.
La prima volta che sono andata allo stadio dopo la morte di mio marito sono andata senza i miei figli ed era il 2 settembre, sette mesi esatti dopo la morte di mio marito. Non vi sono andata con odio ma a portare un messaggio di pace e di civiltà, in modo di poter dare e poter vedere una risposta. Volevo dare una risposta alla violenza che avevo ricevuto ma anche pretendevo che ci fosse una risposta dall’altro lato. La seconda volta sono andata con i miei figli grazie al Presidente Galliani, che ci ha invitato in occasione della partita Milan-Catania. Continuo a ringraziare Galliani perché mi ha dato la forza di portare i miei figli in quel luogo, guardare in faccia il trauma e questo poteva servirci come terapia. Infatti, all’indomani della partita, mio figlio Alessio è riuscito a tirare fuori degli argomenti che aveva chiuso dentro. E da lì, è tornato piano piano a giocare a pallone. Queste sono state le due uniche volte in cui sono andata allo stadio.
Il caso di violenza del 2 febbraio è totalmente diverso dalla morte di Gabriele Sandri. Purtroppo, noi familiari abbiamo ritoccato un determinato odio perché si sono scagliati contro me e i miei figli anche determinate forme di razzismo ad Acireale, che non avrei pensato di vivere: determinate scritte sotto casa, mia figlia ha trovato scritte offensive vicino all’aula, nei suoi confronti e nei confronti del padre poliziotto. E non è bello, perché è un’altra forma di violenza che continua e non ti lascia lo spazio per riemergere. La tranquillità non la vive più il poliziotto che va in servizio allo stadio perché comunque non è in grado di garantire la sicurezza né degli altri, né di sé stesso. E quindi la mancanza di tranquillità si vive già in famiglia. Per quanto riguarda l’episodio di Gabriele Sandri, ogni soggetto risponde delle proprie azioni. Un caso non può coinvolgere tutto il resto, quello è un caso e c’è in atto un processo, delle indagini per valutare la situazione, ma è un caso a parte, un caso a sé dal resto, che riguarda il servizio di ordine pubblico delle Forze dell’Ordine allo stadio. Credo che le Forze dell’Ordine non possano garantire la sicurezza agli altri ma non la possano garantire neanche a sé stessi. Lo provo a casa.