A 60 anni da Superga il Grande Torino vive ancora
CalcioIl 4 maggio del 1949 l’aereo che trasportava la squadra granata di ritorno da un’amichevole a Lisbona contro il Benfica si schiantò su una collina nei pressi del capoluogo piemontese. Fu la tragica fine di una formazione diventata mitica. GUARDA IL VIDEO
di AUGUSTO DE BARTOLO
"Quel Grande Torino non era solo una squadra di calcio, era la voglia di Torino di vivere, di tornare bella e forte; i giocatori del Torino non erano solo dei professionisti o dei divi, erano degli amici". (Giorgio Bocca)
Fin troppo conosciuta per ricordare, solo nei fatti, la strage che dilaniò il cuore di milioni d'italiani, tifosi del Torino e non. Serve, però, tramandare la memoria di quella squadra fiore all'occhiello di un'Italia che a fatica cercava di smaltire le devastazioni materiali e morali della seconda guerra mondiale. Quel Grande Torino diventato prematuramente mito, trasformato in leggenda dalla storia, dalle sue vittorie, dal trascorrere degli anni, 60 dalla sua fine, in un epilogo il più tragico e amaro, in una gara persa senza demerito contro il destino. Come ogni anno, il pellegrinaggio alla basilica di Superga, sancirà l'ennesima manifestazione d'affetto verso una squadra capace di trascendere il campanilismo di quegli anni grazie alla classe dei suoi giocatori, alle qualità calcistiche e umane del suo capitano, Valentino Mazzola, che incarnava quello spirito che il tempo e la passione granata hanno definito "cuore Toro", mai troppo apprezzato dalle generazioni che del pallone hanno conosciuto altro.
L'immane tristezza di quel giorno, il 4 maggio 1949, segna ancora il volto di qualche tifoso un po' attempato che ricorda, con rispetto misto a deferenza, le immagini in bianco e nero che annunciarono all'Italia la tragedia. Un sentimento tanto profondo, tale da permeare intere generazioni di calciatori "cresciuti troppo in fretta" (come disse un giorno l’ex giocatore Aldo Agroppi) nel ricordo di quella squadra i cui risultati nessuno seppe ripetere in maglia granata.
Uno stato d'animo difficile da cogliere da un cronista un po' distratto che sfoglia foto ingiallite o ascolta aneddoti e ricordi, senza capire l'importanza, il senso di riscatto che un popolo considerato di "individualisti" come quello italiano, aveva affidato, invece, a un collettivo, il più bello, il più affiatato mai visto dal 1945 al 1949. Per questo, quello che il Grande Torino seppe suscitare, non si è schiantato contro la collina di Superga, ma si è trasformato in una vittoria che si è protratta nel corso dei decenni, in una riaffermazione di quei valori di sportività e lealtà che rendono, ora, il ricordo meno triste.
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"Quel Grande Torino non era solo una squadra di calcio, era la voglia di Torino di vivere, di tornare bella e forte; i giocatori del Torino non erano solo dei professionisti o dei divi, erano degli amici". (Giorgio Bocca)
Fin troppo conosciuta per ricordare, solo nei fatti, la strage che dilaniò il cuore di milioni d'italiani, tifosi del Torino e non. Serve, però, tramandare la memoria di quella squadra fiore all'occhiello di un'Italia che a fatica cercava di smaltire le devastazioni materiali e morali della seconda guerra mondiale. Quel Grande Torino diventato prematuramente mito, trasformato in leggenda dalla storia, dalle sue vittorie, dal trascorrere degli anni, 60 dalla sua fine, in un epilogo il più tragico e amaro, in una gara persa senza demerito contro il destino. Come ogni anno, il pellegrinaggio alla basilica di Superga, sancirà l'ennesima manifestazione d'affetto verso una squadra capace di trascendere il campanilismo di quegli anni grazie alla classe dei suoi giocatori, alle qualità calcistiche e umane del suo capitano, Valentino Mazzola, che incarnava quello spirito che il tempo e la passione granata hanno definito "cuore Toro", mai troppo apprezzato dalle generazioni che del pallone hanno conosciuto altro.
L'immane tristezza di quel giorno, il 4 maggio 1949, segna ancora il volto di qualche tifoso un po' attempato che ricorda, con rispetto misto a deferenza, le immagini in bianco e nero che annunciarono all'Italia la tragedia. Un sentimento tanto profondo, tale da permeare intere generazioni di calciatori "cresciuti troppo in fretta" (come disse un giorno l’ex giocatore Aldo Agroppi) nel ricordo di quella squadra i cui risultati nessuno seppe ripetere in maglia granata.
Uno stato d'animo difficile da cogliere da un cronista un po' distratto che sfoglia foto ingiallite o ascolta aneddoti e ricordi, senza capire l'importanza, il senso di riscatto che un popolo considerato di "individualisti" come quello italiano, aveva affidato, invece, a un collettivo, il più bello, il più affiatato mai visto dal 1945 al 1949. Per questo, quello che il Grande Torino seppe suscitare, non si è schiantato contro la collina di Superga, ma si è trasformato in una vittoria che si è protratta nel corso dei decenni, in una riaffermazione di quei valori di sportività e lealtà che rendono, ora, il ricordo meno triste.
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