Dai pulcini alla Serie A con una maglia. In Italia quasi mai

Calcio
Davide Santon, classe '91. Gioca nell'Inter da quando aveva 14 anni, Mourinho l'ha lanciato in Serie A. Adesso sta attraversando un periodo difficile e si parla di prestito
VERONA, ITALY - NOVEMBER 21: Davide Santon of FC Internazionale Milano shoots the ball during the Serie A match between AC Chievo Verona and FC Internazionale Milano at Stadio Marc' Antonio Bentegodi on November 21, 2010 in Verona, Italy.  (Photo by Valerio Pennicino/Getty Images) *** Local Caption *** Marco Andreolli;Davide Santon

INCHIESTA. Altro che Messi, Xavi, Iniesta: al Barça dalla cantera al Pallone d'Oro. I nostri giovani crescono in un club e debuttano in un altro. Pochi hanno avuto possibilità concrete, troppi non indossano mai la maglia della squadra che li ha allevati

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di Vanni Spinella

Un, dos, tres. Stavolta il triplete è riuscito al Barça, e tanto di cappello. Tre giocatori sul podio del nuovo Pallone d’Oro, impresa confezionata prima solo dal Milan di Sacchi, che nel 1989 piazzò ai primi posti della graduatoria Van Basten, Baresi e Rijkaard. Stavolta, però, a trionfare non è una squadra: è un settore giovanile. Dalla cantera ai primi tre posti del mondo.

Ma se esiste un modello che funziona tanto bene, perché nessuno prova a riprodurlo in Italia? A che livello ci areniamo nel processo di crescita dei nostri giovani? Abbiamo provato a indagare, ripercorrendo il curriculum calcistico di tutti i calciatori italiani che giocano nella nostra Serie A, per vedere quanti riescano a esordire con la maglia della squadra che li ha allevati. Dai pulcini al debutto in prima squadra, proprio come hanno fatto Iniesta, Xavi e Messi. Il Pallone d’Oro è un qualcosa che viene dopo.

Del sistema-Italia si è detto e si è scritto tanto: non c’è il coraggio di lanciare i giovani, non si ha la pazienza di aspettarli, non si dà loro modo di sbagliare, imparando sul campo.
Il problema, in realtà, non è tanto quello di non dare l’occasione: i nostri vivai lavorano bene e hanno formato fior di campioni. A lanciarli, però, sono quasi sempre squadre diverse da quelle in cui sono cresciuti.

Ad oggi, sono appena 18 i giocatori italiani che giocano nella squadra in cui hanno iniziato la propria carriera da bambini e che, con quella maglia, hanno fatto il percorso dal settore giovanile all'esordio in campionato, senza altre esperienze di mezzo.

La Roma ha Totti, De Rossi, Rosi (alla Roma da quando aveva 12 anni, prima era nella Lazio) e, fino a pochi giorni fa, aveva anche Okaka (che però ha iniziato in giallorosso “solo” dagli Allievi, bruciando poi le tappe). Nella Juve ci sono Marchisio e De Ceglie; nell'Inter Santon.

La Samp ha Marilungo e ha appena girato Fiorillo in prestito allo Spezia (grande promessa fino a qualche anno fa, era retrocesso al ruolo di terzo portiere). La Fiorentina ha fatto di necessità virtù, mettendo in vetrina Camporese e Piccini. Ottimo il Cesena, in cui due prodotti fatti in casa sono addirittura titolari: Giaccherini e Ceccarelli. Diverse le squadre che non ne hanno neanche uno: Chievo, Lecce, Palermo e Udinese. Ma anche il Milan.

I fantastici 18 sono però le eccezioni. Accanto a loro c'è infatti un esercito di giovani cresciuti dai settori giovanili, che però non fanno mai l'ultimo passo: vengono mandati altrove a farsi le ossa, e lì maturano, si fanno un nome e un prezzo. Per poi tornare in famiglia.

Greco, a 18 anni, è stato spedito un anno in D all’Astrea ed è stato riscoperto quasi per caso, dopo che in estate la Roma aveva provato a piazzarlo ovunque ma nessuno se l’era preso. Abate e Antonini del Milan, finita la trafila con le giovanili, non hanno esordito in A con la maglia rossonera. Sono tornati dopo anni di esperienze altrove. Marchisio si è fatto un anno ad Empoli per convincere del tutto i bianconeri. Tanti hanno dovuto girare il mondo, prima di tornare a casa con un ruolo di prestigio (Paolo Cannavaro o Cristiano Zanetti). Il caso Orlandoni all’Inter è più unico che raro: rientrato alla base all’età di 33 anni, e per fare il terzo portiere.

Numeri alla mano, quanti, completata tutta la trafila delle giovanili, hanno avuto una chance concreta nella squadra che li ha cresciuti?

Su 110 calciatori italiani provenienti dai vivai degli attuali 20 club di A, 48 (il 43,6%) non hanno avuto neanche una possibilità dopo le giovanili (Pepe e Galloppa alla Roma, Destro all’Inter, Bentivoglio alla Juve, Caracciolo, Astori e Maccarone al Milan, per citare i più noti), altri 20 sono stati valutati molto rapidamente. Matri, Donadel, Zigoni e Antonelli non sono andati oltre l’esordio: una presenza in rossonero e poi via. Meggiorini una con l’Inter, Giovinco 3 al primo anno di Juve, Squizzi una. Cerci 4 con la Roma, Daniele Conti (figlio di Bruno, bandiera giallorossa) appena 5. E aspettiamo di vedere quante altre presenze collezioneranno Piccini o Camporese. Paloschi (7 al Milan) e Di Vaio (8 alla Lazio) possono ritenersi fortunati. Morale: il 62% dei giovani viene bocciato nel giro di una o due partite, quando gli va bene.

"Made in Italy" in crisi? Non come siamo abituati a pensare. I nostri settori giovanili, specie quelli delle grandi, lavorano e sfornano di continuo (110 giocatori professionisti solo i 20 club di A). Il problema è che, anziché mettere in vetrina il prodotto caldo, lo rivendono subito al piccolo esercente. Quando non decidono di farlo passare direttamente dal forno al freezer.

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