Letteratura e cinema: a Bologna è andato in scena un progetto nato dalla Rete, parlare di calcio attraverso le parole dette e scritte sul pallone. Da Pasolini a Balotelli, passando per John Foot e Beppe Viola...
di Lorenzo Longhi
(da Bologna)
Un concetto come quello di "decrescita felice", parlando di calcio, vi capiterà di sentirlo poche volte. Ma Paolo Sollier, raro esemplare di calciatore sociale che aveva davvero qualcosa da dire e che ha calcato i campi di Serie A negli anni '70, è riuscito anche in questo, applicare al mondo del pallone nostrano una filosofia che sta trovando molti proseliti, in altri campi. Un altro gol dell'autore dell'immortale Calci, sputi e colpi di testa, che per il calcio di allora ebbe più o meno l'effetto dirompente di Porci con le ali sulla perbenista società italiana.
Lo ha fatto sabato a Bologna, nel corso di Fùtbologia, progetto nato in rete da un’idea di Luca Di Meo (Wu Ming 3) e Christiano Presutti. Parlare di calcio attraverso le parole ed i discorsi sul calcio con l’intento, palese, di farlo in modo singolare e, possibilmente, intelligente. Obiettivo di tutto rispetto, nel giorno di una partita di pancia come Juventus-Inter. E così, alla faccia delle dietrologie arbitrali, il pallone sabato a Bologna è passato attraverso letteratura e celluloide, da Osvaldo Soriano a Flavio Briatore. Accostamento cinematografico, questo, perché alla proiezione de Il Mundial dimenticato di Macelloni e Garzella, mockumentary sul Mondiale di Patagonia 1942 nato da una suggestione di Soriano ne Il figlio di Butch Cassidy, ha fatto da spalla il trailer sul britannico The four year plan, che ha come protagonista proprio Briatore nella sua storia di numero uno del Qpr.
Il mondo di Beppe Viola era entrato in campo nella mattinata e quando si raccontava di lui lo schermo mandava immagini di Gianni Rivera in bianco e nero, in dribbling anni ’60 sullo spallino Bozzao. Già, la Spal, per dire: è un nome storico, ma la squadra non può chiamarsi così da anni ormai a causa di due proprietà costrette a portare i libri contabili in tribunale. A riprova dell'assioma di fondo dell'evento, quello secondo cui "chi sa solo di calcio non sa nulla di calcio", parafrasando lo storico e marxista britannico Cyril James che, nel 1963, lo sosteneva parlando di cricket.
Perché, appunto, non si può parlare di pallone prescindendo dal contesto in cui prospera o declina, soprattutto in un paese che è quello della celeberrima "discesa in campo - argomenta lo storico e autore di Calcio-Storia dello sport che ha fatto l'Italia, John Foot - ma non quella del 1994, bensì quella del 1986, che è molto più importante", intendendo il giorno in cui Berlusconi scese in elicottero sui campi di Milanello ed il pallone nostrano cambiò perdendo quel poco di innocenza che gli era rimasta. "Ma anche ai miei tempi i problemi esistevano", allontana la nostalgia Sollier. Solo che allora se ne parlava molto meno, e soprattutto in modo diverso. In un calcio "che ha diritto all'errore" (arbitrale, s'intende), in un movimento calcistico in cui Balotelli ("che, avendo fatto tutte le cazzate possibili entro i 22 anni, si candida a diventare un vecchio saggio azzurro") ha portato in agenda il dibattito sulle politiche di cittadinanza. Perché il calcio è anche tutto quello che vi è attorno.
(da Bologna)
Un concetto come quello di "decrescita felice", parlando di calcio, vi capiterà di sentirlo poche volte. Ma Paolo Sollier, raro esemplare di calciatore sociale che aveva davvero qualcosa da dire e che ha calcato i campi di Serie A negli anni '70, è riuscito anche in questo, applicare al mondo del pallone nostrano una filosofia che sta trovando molti proseliti, in altri campi. Un altro gol dell'autore dell'immortale Calci, sputi e colpi di testa, che per il calcio di allora ebbe più o meno l'effetto dirompente di Porci con le ali sulla perbenista società italiana.
Lo ha fatto sabato a Bologna, nel corso di Fùtbologia, progetto nato in rete da un’idea di Luca Di Meo (Wu Ming 3) e Christiano Presutti. Parlare di calcio attraverso le parole ed i discorsi sul calcio con l’intento, palese, di farlo in modo singolare e, possibilmente, intelligente. Obiettivo di tutto rispetto, nel giorno di una partita di pancia come Juventus-Inter. E così, alla faccia delle dietrologie arbitrali, il pallone sabato a Bologna è passato attraverso letteratura e celluloide, da Osvaldo Soriano a Flavio Briatore. Accostamento cinematografico, questo, perché alla proiezione de Il Mundial dimenticato di Macelloni e Garzella, mockumentary sul Mondiale di Patagonia 1942 nato da una suggestione di Soriano ne Il figlio di Butch Cassidy, ha fatto da spalla il trailer sul britannico The four year plan, che ha come protagonista proprio Briatore nella sua storia di numero uno del Qpr.
Il mondo di Beppe Viola era entrato in campo nella mattinata e quando si raccontava di lui lo schermo mandava immagini di Gianni Rivera in bianco e nero, in dribbling anni ’60 sullo spallino Bozzao. Già, la Spal, per dire: è un nome storico, ma la squadra non può chiamarsi così da anni ormai a causa di due proprietà costrette a portare i libri contabili in tribunale. A riprova dell'assioma di fondo dell'evento, quello secondo cui "chi sa solo di calcio non sa nulla di calcio", parafrasando lo storico e marxista britannico Cyril James che, nel 1963, lo sosteneva parlando di cricket.
Perché, appunto, non si può parlare di pallone prescindendo dal contesto in cui prospera o declina, soprattutto in un paese che è quello della celeberrima "discesa in campo - argomenta lo storico e autore di Calcio-Storia dello sport che ha fatto l'Italia, John Foot - ma non quella del 1994, bensì quella del 1986, che è molto più importante", intendendo il giorno in cui Berlusconi scese in elicottero sui campi di Milanello ed il pallone nostrano cambiò perdendo quel poco di innocenza che gli era rimasta. "Ma anche ai miei tempi i problemi esistevano", allontana la nostalgia Sollier. Solo che allora se ne parlava molto meno, e soprattutto in modo diverso. In un calcio "che ha diritto all'errore" (arbitrale, s'intende), in un movimento calcistico in cui Balotelli ("che, avendo fatto tutte le cazzate possibili entro i 22 anni, si candida a diventare un vecchio saggio azzurro") ha portato in agenda il dibattito sulle politiche di cittadinanza. Perché il calcio è anche tutto quello che vi è attorno.