L'Aquila, storia di chi rinasce. Sempre, nonostante tutto
CalcioIl terremoto del 2009, due fallimenti fra il 1994 e il 2004, un passato ricco di difficoltà ma anche di coraggio ha portato il club a rimettersi sempre in piedi. Anche dopo la tragedia di Contigliano, la Superga del calcio aquilano, ai tempi della B
di Lorenzo Longhi
C'è un luogo, Contigliano, che sta alla storia del calcio aquilano come Superga sta a quella del Torino, o Monaco a quella del Manchester United. Un luogo che evoca una tragedia, il primo vero dramma di un'intera squadra. Contigliano è un piccolo paese del Reatino, nella Piana del Velino, e fu proprio lì che, il 3 ottobre 1936, si chiuse l'era migliore dell'Aquila calcio, che giocava allora in B, l'apice della sua storia.
L'incidente. Fu un incidente ferroviario a cambiare tutto. La squadra, guidata dall'allenatore Attilio Buratti, era partita alle 7.40 per iniziare la sua lunga trasferta a Verona, su una littorina a due carrozze. Erano le 10 quando il convoglio, giunto in stazione a Contigliano, trovò sui suoi binari un vagone postale. Fu un errore umano del capostazione, un errore fatale. Lo scontro fu inevitabile: morì Buratti, morirono altri sette passeggeri, gli altri si salvarono, chi per fortuna, chi per miracolo, tutti perché la littorina rimase in bilico sul burrone, ma non precipitò. 12 giocatori della squadra si ferirono gravemente e non tornarono mai più a giocare. Uno di loro, Marino Bon, fu addirittura ritenuto morto e il suo corpo venne adagiato accanto a quelli degli altri. Ma respirava ancora, a fatica. Qualcuno se ne accorse, e lo riportò alla vita.
Orgoglio e sogno. L'Aquila era in B da tre anni. La Figc, dopo l'incidente, si disse disponibile a concedere alla squadra la salvezza d'ufficio. Ma era un calcio d'altri tempi, leale e sportivo: la società, pur nel dolore, ebbe l'orgoglio di rifiutare e ci provò sul campo, a salvarsi. Con i pochi uomini rimasti, con qualche giocatore prestato in mutuo soccorso (altri tempi, appunto) da alcune altre società, con coraggio. Non si salvò, né riuscì mai più a tornare in B. Ecco perché, anche se ieri il sogno Serie B si è fermato ai play off con l'allenatore Pagliari, con De Sousa, Del Pinto e capitan Pomante, tutta la città spera prima o poi che, quasi 80 anni dopo, L'Aquila possa riavere ciò che perse.
Rinascite. Del resto, più che la fenice, è L'Aquila che rinasce, sempre. Accadde allora, nel giorno di dolore del calcio rossoblù, accadde dopo i fallimenti del 1994 e del 2004. E accadde anche nel 2009, in quell'aprile maledetto in cui il terremoto ha modificato la storia e le prospettive della città. Eppure, nonostante siano passati 78 anni da Contigliano, 20 anni dal primo fallimento del club, 10 dal secondo e 5 dal sisma, L'Aquila è sempre risorta, a modo suo, come ha potuto. In tutti i sensi.
C'è un luogo, Contigliano, che sta alla storia del calcio aquilano come Superga sta a quella del Torino, o Monaco a quella del Manchester United. Un luogo che evoca una tragedia, il primo vero dramma di un'intera squadra. Contigliano è un piccolo paese del Reatino, nella Piana del Velino, e fu proprio lì che, il 3 ottobre 1936, si chiuse l'era migliore dell'Aquila calcio, che giocava allora in B, l'apice della sua storia.
L'incidente. Fu un incidente ferroviario a cambiare tutto. La squadra, guidata dall'allenatore Attilio Buratti, era partita alle 7.40 per iniziare la sua lunga trasferta a Verona, su una littorina a due carrozze. Erano le 10 quando il convoglio, giunto in stazione a Contigliano, trovò sui suoi binari un vagone postale. Fu un errore umano del capostazione, un errore fatale. Lo scontro fu inevitabile: morì Buratti, morirono altri sette passeggeri, gli altri si salvarono, chi per fortuna, chi per miracolo, tutti perché la littorina rimase in bilico sul burrone, ma non precipitò. 12 giocatori della squadra si ferirono gravemente e non tornarono mai più a giocare. Uno di loro, Marino Bon, fu addirittura ritenuto morto e il suo corpo venne adagiato accanto a quelli degli altri. Ma respirava ancora, a fatica. Qualcuno se ne accorse, e lo riportò alla vita.
Orgoglio e sogno. L'Aquila era in B da tre anni. La Figc, dopo l'incidente, si disse disponibile a concedere alla squadra la salvezza d'ufficio. Ma era un calcio d'altri tempi, leale e sportivo: la società, pur nel dolore, ebbe l'orgoglio di rifiutare e ci provò sul campo, a salvarsi. Con i pochi uomini rimasti, con qualche giocatore prestato in mutuo soccorso (altri tempi, appunto) da alcune altre società, con coraggio. Non si salvò, né riuscì mai più a tornare in B. Ecco perché, anche se ieri il sogno Serie B si è fermato ai play off con l'allenatore Pagliari, con De Sousa, Del Pinto e capitan Pomante, tutta la città spera prima o poi che, quasi 80 anni dopo, L'Aquila possa riavere ciò che perse.
Rinascite. Del resto, più che la fenice, è L'Aquila che rinasce, sempre. Accadde allora, nel giorno di dolore del calcio rossoblù, accadde dopo i fallimenti del 1994 e del 2004. E accadde anche nel 2009, in quell'aprile maledetto in cui il terremoto ha modificato la storia e le prospettive della città. Eppure, nonostante siano passati 78 anni da Contigliano, 20 anni dal primo fallimento del club, 10 dal secondo e 5 dal sisma, L'Aquila è sempre risorta, a modo suo, come ha potuto. In tutti i sensi.