Juventus-Napoli, se il risveglio è più bello della favola

Calcio

Massimo Corcione

Il passato glorioso, Dieguito. E il presidente del Napoli di oggi, De Laurentiis
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Per la prima volta da trent’anni senza il fantasma Maradona. Che cos'è il big match dello Stadium? Molto più di una partita, di un derby, di un Clasico. Un cofanetto di ricordi per una generazioni di dubbiosi. Che adesso, però, non ha più complessi d'inferiorità

Che cosa è Juve-Napoli? Molto più di una partita, di un derby, di un Clasico. Difficile, quasi impossibile da spiegare a chi ha perso una puntata: un cofanetto di ricordi, da Platini e Maradona a Dybala e Higuain. In mezzo una generazione di dubbiosi. Soprattutto napoletani.

Come Manuela: ha poco più di vent’anni ed è nata quando l’Inimitabile aveva già concluso la sua esperienza italiana con una fuga ignominiosa e una squalifica ancora più umiliante. Manuela, quando arriva il momento della Grande Scelta – per quale squadra tifare? – non ha dubbi: terrà alla Juventus, per sempre. Anche quando il grande buio che ha avvolto il Calcio Napoli verrà squarciato dai raggi Lavezzi&Cavani prima e Higuain dopo. Tutti sudamericani, proprio come Diego Maradona, il protagonista dei mille racconti ascoltati dalla voce del padre. A partire da quel gol a Tacconi, segnato contravvenendo a tutte le regole della fisica: pallone che si abbassa quando avrebbe dovuto ancora salire, il portiere che prova a contrapporsi all’irrazionale, ma non esiste tempo di reazione che un uomo normale possa coprire.

Quel numero, non replicabile da alcuno che non fosse l’elfo argentino, lo ha sentito ripetere mille volte, era l’alternativa paterna alla ninna nanna che le cantava la mamma. Cambiava sempre qualche dettaglio: la faccia terrea del vicino di stadio svenuto per l’emozione; la sfida impossibile a ripetere la prodezza, organizzata con gli amici sul campo del centro sportivo vicino casa; il pallone del prodigio promessogli da un vecchio infermiere bugiardo come nessuno.

Quell’eterna favola ascoltata sempre in dormiveglia in questi mesi sta tornando nella memoria di Manuela: finora non ha mai avuto dubbi sulla propria fede calcistica, la fede è fede e non passa dalla ragione. Eppure stavolta ha dei dubbi, lei come migliaia di ragazzi suoi coetanei che allora si schierarono dalla parte del più forte, di chi vinceva con Lippi Vialli Del Piero, mentre al San Paolo (non) spopolavano Schwoch Baldini Terzi, al massimo Floro Flores. Perché stavolta è diverso: da Reina a Higuain non c’è giocatore del Napoli che non possa reggere il confronto con i campioni d’Italia in carica.

Anche l’allenatore ha un fascino speciale: Sarri, la tuta azzurra del calcio italiano, ha l’aureola dei grandi innovatori, come Sacchi o quell’olandese (Michels) che trasformò una piccola nazione in grande potenza. Manuela è anche convinta che non sia ancora giunto il tempo della staffetta tra chi ha vinto gli ultimi quattro scudetti e chi vorrebbe vincerne almeno uno, ventisei anni dopo il secondo e ultimo dell’era Maradona.

Sabato sarà allo Juventus Stadium, solito posto, tra irriducibili tifosi juventini, una multinazionale del tifo che si riunisce senza mai lasciarsi sfiorare dal dubbio. Manuela qualche dubbio ce l’ha, anche se Dybala somiglia (sempre alla lontana) più di Higuain a Dieguito, pure quando batte i calci di punizione. Ma l’altro fa gol sempre: di testa, di piede, di petto, senza lasciarsi spaventare dal nome dell’avversario. Sarà la grande sfida in una sfida grandissima. Per la prima volta da trent’anni senza il fantasma Maradona.