Domani sarà l'anniversario del disastro aereo e la Chapeconse è riuscita a conquistarsi sul campo la salvezza nel massimo campionato brasiliano: il racconto di ciò che è successo, tra fine e rinascita
“Mi sono svegliato nel bosco, ho aperto gli occhi ma era tutto buio. Faceva freddo e sentivo le persone chiedere aiuto. Ho iniziato a chiedere aiuto anch'io, non avevo idea di dove fossi. In quel momento non ricordavo nulla. Mi misi solo a supplicare, non volevo morire”.
Sembrano l'incipit di un romanzo, le parole di Jakson Follman, mesi dopo l'incidente da cui ha avuto la vita sconvolta in cambio di averla salva. Lui e i compagni di squadra Alan Ruschel e Hélio Hermito Zampier Neto sono diventati altro. Ovviamente su un piano interiore ma anche nella rappresentazione pubblica. Loro sono i Sopravvissuti.
Chapecó è un centro agroindustriale nel profondo entroterra del Paese (“Uragano dell'Ovest”, Furacão do Oeste, è uno dei soprannomi del club). Ha una forte presenza di discendenti italiani e conta poco più di duecentomila abitanti, nel Brasile delle megalopoli. Le recenti imprese calcistiche della società locale avevano perciò le sembianze di una favola. La felice, impronosticabile e continua ascesa di una piccola realtà.
Da quando nel 2009 militava nel quarto livello del calcio brasiliano, la Chapecoense aveva raggiunto la Série A nel 2014, a quasi mezzo secolo dalla sua fondazione. Infine la finale di un trofeo prestigioso, appunto nel 2016. Vincere quella Copa Sudamericana, l'equivalente dell'Europa League, avrebbe significato accedere direttamente alla Libertadores. Il lieto fine perfetto.
Quasi l'intera rosa della Chapecoense è in viaggio, la sera del 28 novembre 2016. Da San Paolo in Brasile all'aeroporto internazionale di Medellín, con scalo a Santa Cruz de la Sierra, Bolivia. Stanno andando a disputare l'andata della finale di Copa Sudamericana contro l'Atlético Nacional. Sull'aereo ci sono anche tecnici, dirigenti, giornalisti e accompagnatori. Un totale di 68 passeggeri e 9 membri dell'equipaggio.
La compagnia boliviana LaMia (Línea Aérea Mérida Internacional de Aviación) ha iniziato a volare nel gennaio 2016. Il velivolo è in servizio charter ed è specializzato negli spostamenti di squadre sudamericane. Su quello stesso aereo Bae 146 della Avro (l'azienda britannica che progettò il celebre bombardiere Lancaster della Seconda Guerra mondiale) ha volato pochi giorni prima la nazionale argentina di Messi.
L'aereo tenta un atterraggio d'emergenza. Si schianta nei pressi di Cerro Gordo, Colombia. È una zona montuosa dove pioggia, nebbia e buio ostacolano i soccorsi.
I morti sono 71, i sopravvissuti sono 6. Tre calciatori, un tecnico di volo, una hostess e un giornalista. Il portiere Marcos Danilo, sopravvissuto all'impatto, morirà in ospedale.
Un fotografo della Reuters sul posto racconta che l'aereo è spezzato in due e che soltanto il muso e le ali sono riconoscibili.
Il presidente Michel Temer indice tre giorni di lutto nazionale. Ovunque si giochi a calcio ci si ferma per un minuto di silenzio. Sui social si scatena una campagna per dimostrare vicinanza, con l'hashtag #ForçaChape. Piovono messaggi pubblici di condoglianze, da Pelè e Maradona fino a Vladimir Putin. Piovono richieste da tutto il mondo per iscriversi al club: 13mila in pochi giorni, per una società che fino a quel momento contava su neanche 9mila iscritti. L'islandese Eiður Guðjohnsen si mette a disposizione per giocare per il club.
A pochi giorni dall'incidente, il 1° dicembre, il governo boliviano sospende la licenza di volo alla compagnia aerea LaMia.
Nel Novecento c'era stata Superga e c'erano stati i Busby Babes dello United. Nel Duemila ci sono i ragazzi della Chape.
Il portiere Nivaldo è una vera bandiera del club: 299 presenze, senza aver mai giocato altrove. A 42 anni è ancora in rosa, ma non è stato convocato per la finale. È stabilito che sarà in campo tra pochi giorni, contro l'Atlético Mineiro in campionato, per raggiungere la cifra tonda di presenze con la Chapecoense. Non è partito per la Colombia in modo da preparare quella gara storica.
La tarda sera del 28 novembre riceve la telefonata di un amico, preoccupato perché continua a chiamare chi stava su quel volo e nessuno risponde.
A poche ore dall'incidente, Nivaldo annuncia il suo ritiro dal calcio giocato. La partita che gli manca per fare cifra tonda non la giocherà mai.
Non è l'unico tra i giocatori a essersi salvato grazie a una mancata convocazione. Magari per un infortunio, come Alejandro Martinuccio (ex Villarreal, campione del Brasile con il Cruzeiro).
Doveva esserci anche Edmundo, O Animal della Fiorentina, che commenta le partite per la tv brasiliana e per motivi personali aveva rinunciato all'ultimo momento.
Gli eventi di questa portata stimolano a immaginare alternative. Giocare con i What If?, ripercorrere ogni passaggio per individuare le inevitabili Sliding Doors. A qualcuno sembra un gioco ozioso, altri ne approfittano per lanciarsi nel complottismo. È innegabile comunque che venga naturale farlo.
L'aereo e la tratta non dovevano essere quelli. All'ultimo momento l'aviazione brasiliana non aveva autorizzato il volo diretto da San Paolo. Lo scalo in Bolivia e il cambio di velivolo sono stati un ripiego.
Alan Ruschel si salva per un cambio di posto. Durante il volo, mezz'ora prima dell'incidente, il suo amico Follmann insiste perché vada a sedersi accanto a lui. Ruschel vorrebbe restare negli ultimi posti dell'aereo, così da potersi allungare e dormire comodo, ma alla fine gli dà retta.
Il terzino Dener avrebbe dovuto sposarsi pochi giorni dopo con la madre di suo figlio. Lei porta ancora il suo anello.
Matheus Saroli è figlio dell'allenatore della Chapecoense. Deve seguire il padre e la squadra nella trasferta ma scopre all'ultimo di aver dimenticato il passaporto. Perde il volo.
Il padre, Luis Carlos Saroli, noto come Caio Júnior, quell'aereo lo prende. L'impresa di essere arrivato alla finale gli aveva fatto dire, in un'intervista di pochi giorni prima: “Se morissi domani, morirei felice”.
Il volo è tranquillo. I passeggeri ascoltano la musica o giocano a carte. All'improvviso si spengono le luci. Uno steward invita tutti ad allacciare le cinture perché l'aereo sta per atterrare. “Cominciammo a cadere. Non ci sono tante persone sulla Terra che possono raccontare di aver vissuto un momento del genere”.
Tra i calciatori sopravvissuti, Jakson Follmann è quello che ha i ricordi più lucidi.
Dopo la caduta, e dopo un tempo che non sa quantificare, vede una torcia e sente le urla della polizia colombiana in soccorso. Un sergente gli tiene la mano e lo rassicura. Lui dice di essere il portiere della Chapecoense. Nell'impatto ha perso il piede destro e il sinistro è rimasto attaccato solo per i tendini. “I miei compagni non urlavano più, erano morti”.
Neto aveva sognato l'incidente, alcune notti prima. C'erano le luci che si spengono, la pioggia, il bosco. Con grande agitazione ne aveva parlato alla moglie, la madre dei suoi gemelli di dieci anni. “Mi sono portato quell'incubo dentro l'aereo, mi martellava la testa”.
Dopo lo schianto, le otto ore sotto le macerie e il trasporto in ospedale, quando si sveglia Neto chiede a un medico cosa sia successo. Non ricorda nulla. Gli viene risposto che ha avuto un infortunio durante la finale.
Con il passare delle ore, sul letto nel reparto di terapia intensiva, inizia a porsi delle domande. Il suo corpo è pieno di tagli. “O l'avversario che mi ha messo ko era veramente grosso, oppure i tifosi hanno invaso il campo e ci hanno aggredito”.
Dopo alcuni giorni nella sua stanza ci sono alcuni medici, la sua famiglia, uno psicologo e un prete. Suo padre gli chiede di raccontare il sogno dell'incidente. Lo psicologo scoppia a piangere e lascia la stanza. A quel punto dicono a Neto dello schianto.
Anche il difensore Ruschel, durante il ricovero, non ricorda l'incidente e pensa alla finale, convinto che si debba giocare il giorno dopo. A lui i medici spiegano tutto all'improvviso.
Il tecnico di volo, Erwin Tumiri, attribuirà la salvezza alla posizione fetale. Il movimento primo, l'orientamento del corpo che non ha ancora visto la luce: l'istinto puro, si direbbe. In verità, spiega Tumiri, è più freddamente un protocollo di sicurezza, la procedura in caso d'emergenza.
Allo stadio “Atanasio Girardot” di Medellín, il giorno della finale, i giocatori e gli uomini della società ci arrivano da morti. Le loro bare vengono posizionate in campo. C'è un clima di estrema commozione, non solo per la presenza dei familiari. Sugli spalti tutti sono vestiti di bianco, in molti hanno una candela. I tifosi dell'Atlético Nacional cantano per la squadra che quella sera avrebbe dovuto essere avversaria. Vengono liberate in cielo 71 colombe, tante quante le vittime dell'incidente. Bambini con la divisa della Chape lasciano andare palloncini bianchi.
L'Arena Condá di Chapecó diventa un punto di riferimento. I tifosi si ritrovano, subito dopo l'incidente e per giorni, anche solo per sedersi insieme o tenersi per mano.
A caldo si parla di misure eccezionali: la squadra non potrà essere retrocessa per tre stagioni e le big del campionato presteranno giocatori a titolo gratuito. La Chapecoense però non accetta regali e pretende di conquistare sul campo e con le proprie forze la permanenza nel Brasileirão.
Nelle settimane seguenti arriva un nuovo allenatore, Vágner Mancini. Arriva un nuovo direttore generale. Arriva un nuovo preparatore atletico, che in realtà aveva lasciato la Chape solo pochi mesi prima: “Non potevo fare altro che tornare”.
Soprattutto arrivano i nuovi calciatori. Il 6 gennaio che segna l'inizio del nuovo corso, l'inizio del ritiro, ci sono 27 nuovi giocatori, di cui 11 ragazzi del settore giovanli promossi in prima squadra.
A luglio è nato il figlio di Tiaguinho, che aveva 22 anni ed è morto pochi giorni dopo aver saputo che sarebbe diventato padre. Per dirgli della gravidanza, sua moglie gli aveva fatto consegnare dai compagni di squadra una scatola con due scarpette.
L'hostess sopravvissuta, la boliviana Ximena Suárez Otterburg, alcune settimane dopo l'incidente ha spiegato di non essere in grado di sostenere le spese mediche per la riabilitazione psicologica e fisica.
Per il club, i tentativi di ritorno alla normalità sono passati, inevitabilmente, per il calcio giocato.
La prima gara in cui sono stati coinvolti anche i giocatori superstiti è stata l'amichevole con il Palmeiras del 21 gennaio 2017.
L'estate poi ha segnato due momenti importanti: il trofeo Gamper contro il Barcellona (e una maglia speciale per l'occasione, con 71 stelle), l'amichevole contro l'AS Roma (e il calcio d'inizio battuto da Follman, l'unico che ha dovuto abbandonare la carriera).
Oggi il club sta chiudendo la stagione a metà classifica, fuori dalla lotta per non retrocedere. Il tecnico della ricostruzione, Vágner Mancini, è stato esonerato a luglio nonostante risultati discreti. Pare che si fosse innamorato e questo lo deconcentrasse e lo facesse arrivare tardi agli allenamenti. Dopo di lui, la panchina è passata ad altri due allenatori prima dell'arrivo di Gilson Kleina.
La Copa Sudamericana 2016 viene assegnata d'ufficio alla Chapecoense, con il pieno sostegno dell'Atlético Nacional. L'accesso alla Libertadores 2017 è simbolicamente forte ma l'esperienza si conclude già nel girone. Essendo terza classificata, la Chape va a giocare gli Ottavi della Copa Sudamericana. Viene eliminata nella doppia sfida con il Flamengo, ma in campo c'è Alan Ruschel, per la prima volta titolare a dieci mesi dall'incidente.
Ruschel è stato il primo a essere estratto dal caos ed è l'unico che ha ripreso a giocare. I medici gli hanno spiegato che è stato vicinissimo alla paralisi. “Il mio midollo era schiacciato dalle ossa, avrei perso l'uso delle gambe al minimo errore dei soccorritori”. Da settembre ha collezionato 7 presenze.
Le condizioni di Neto erano quelle che tra i superstiti preoccupavano di più, eppure la sua riabilitazione ha avuto un decorso rapido. A dicembre era stato già dimesso dall'ospedale. Ad aprile è tornato ad allenarsi.
Si è salvato per volere di Dio, che gli ha dato una seconda occasione. La pensa così. Non riesce a dimenticare il primo incontro con i suoi gemelli: “Erano sconvolti dal mio aspetto. Avevo ferite ovunque ed ero magrissimo. Mi abbracciarono senza dire niente, piangemmo insieme, è stata l'emozione più grande della mia vita”.
Dopo l'amputazione della gamba a soli 24 anni, Jakson Follmann ha pensato di continuare a praticare sport nel quadro delle Paralimpiadi: “Sarò sempre un atleta”. Ad agosto, ricevuto insieme ai compagni da Papa Francesco, si è fatto benedire un rosario in vista del suo imminente matrimonio. Oggi cammina con una protesi ed è il Team Manager della Chape. “Vivo in modo intenso ogni momento” spiega: “Non ho dimenticato come si sorride”.