Il 19 aprile 2000 l'argentino del Real Madrid incanta il Teatro dei sogni con un dribbling che resterà per sempre nella storia del calcio: un taconazo che fece impazzire il terzino dello United prima dell'assist a Raúl per il più facile dei gol
"Cos’ha quel giocatore nelle scarpe? Le calamite?". "È stata una delle giocate più belle che ho visto su un campo di calcio". A dire queste frasi non furono due personaggi qualunque: la prima è di Sir Alex Ferguson, la seconda è stata pronunciata da Pierluigi Collina. Entrambi si riferivano allo stesso calciatore e alla stessa magia: Fernando Redondo e il suo colpo di tacco all’Old Trafford. Era il 19 aprile del 2000, il Real Madrid affrontava in trasferta il Manchester United campione d’Europa in un match che rappresentò un simbolico passaggio di testimone. Ma il passaggio più bello di quella serata fu quello con cui l’argentino smarcò Raúl per il gol del 3-0. Un assist apparentemente semplice ma arrivato al termine di un’azine personale che rimase nella storia del calcio. El taconazo del Principe è tutt’oggi ricordato come uno dei dribbling più geniali e allo stesso tempo efficaci mai visti, un’esibizione di tecnica e istinto che il centrocampista di Buenos Aires regalò al pubblico di Manchester e che segnò per sempre la carriera del povero Berg, il terzino norvegese dello United che da quel giorno fu colui il quale subì il tunnel dal campione del Real.
La prima Champions del nuovo millennio
In quella serata di Manchester, Fernando Redondo era il capitano e il leader del del Real Madrid. Una squadra che nella stagione 1994-95 era stata ricostruita da Jorge Valdano che affidò al connazionale le chiavi del centrocampo blanco dopo averlo acquistato dal Tenerife. L’accoppiamento tra gli spagnoli e i Red Devils ai quarti di finale mise di fronte le ultime due squadre a vincere il trofeo: il Real, campione d’Europa nel 1998 dopo la vittoria sulla Juventus, e lo United detentore del trofeo sollevato a Barcellona dopo l’incredibile rimonta nei minuti di recupero contro il Bayern Monaco. L’andata al Bernabéu era finita 0-0, dunque per gli spagnoli era necessario vincere o pareggiare segnando almeno un gol. Piccolo dettaglio: Beckham e compagni non perdevano in casa da oltre un anno. Un autogol di Roy Keane al 20’ del primo tempo e una rete di Raúl al 5’ della ripresa misero subito la qualificazione sulla via di Madrid ma proprio tre minuti dopo il 2-0, si materializzò la giocata che verrà successivamente votata come la migliore nella storia del Real dai lettori di Marca. Minuto 53, il capitano del Real porta palla vicino all’out di sinistra, sembra chiuso da Berg e altri due avversari ma improvvisamente appare il genio: colpo tacco verso l’interno, palla tra le gambe del terzino, testa alta e assist perfetto a Raúl che deve solo spingere dentro. È il 3-0, a nulla valsero i gol successivi di Beckham e Scholes: al fischio finale di Pierluigi Collina il risultato recita 3-2 per il Madrid che si qualificò per le semifinali prima (dove affrontò il Bayern) e per la finale poi. A Parigi, nel duello tutto spagnolo contro il Valencia di Héctor Cuper, arrivò l’ottava Champions per il club blanco.
La classe e la fragilità del Principe
Dopo il taconazo, il trionfo di Parigi e la seconda Champions vinta con la maglia del Real Madrid, il Principe Redondo decise di cambiare campionato e firmò con il Milan. Adriano Galliani e Ariedo Braida lo acquistarono per 35 miliardi di lire pensando a lui come il nuovo regista dei rossoneri. L’argentino era uno dei migliori interpreti del ruolo, probabilmente il più elegante in assoluto negli anni ’90. Soltanto lui riusciva a coniugare le abilità e la classe di un diez alla capacità di recuperare palloni e di far girare la squadra tipica del classico volante argentino. Tuttavia, rispetto agli anni splendidi di Madrid, le cose non andarono altrettanto bene a Milano: durante il precampionato, Redondo si infortunò al ginocchio e la diagnosi fu impietosa: rottura del crociato, operazione inevitabile. L’attesa sarà ancora più lunga del previsto: l’ex Real rimase fuori dal campo per un anno intero. A quel punto lui stesso decise di autosospendersi lo stipendio: Redondo sosteneva che il Milan non avrebbe dovuto pagare qualcuno che non era nelle condizioni di giocare.
Una decisione che sorprese molti ma non tutti. Chi conosceva bene Redondo, infatti, sapeva che il Principe non era una persona comune in campo e non lo era neppure fuori. A differenza di molti connazionali, Redondo non aveva un passato fatto di povertà, difficoltà o disagi sociali: era un benestante, nato e cresciuto nella parte ricca di Buenos Aires, lontano dai barrios più pericolosi. Fu definito un "bambino viziato" da Diego Armando Maradona ma se c’erano due caratteristiche che non mancavano a Fernando erano la personalità e l’intelligenza: Redondo era colto, studiava e con ottimo profitto tant’è che a 21 anni rinunciò al Mondiale italiano per non interrompere i suoi corsi universitari in Economia e Commercio. Proprio con la Selección ebbe un rapporto molto travagliato. Dopo aver saltato Italia ’90, fu convocato per Usa ’94 ma come tutta la squadra venne travolto dal caso Maradona, positivo all’antidoping al termine della partita contro la Grecia. Nel 1998, invece, non partecipò e questa volta la decisione non fu sua. O almeno non del tutto. L’allora Ct Passarella impose a tutti i suoi giocatori di tagliare i capelli e togliere gli orecchini. Batistuta, Ortega e tanti altri si adeguarono, Caniggia e Redondo no. In tanti provarono a fargli cambiare idea ma lui fu irremovibile: "Non capisco cosa c’entrino i capelli con il calcio. Io non li taglio, mi dispiace per la mia nazionale", disse rinunciando definitivamente alla possibilità di giocare in Francia con l’albiceleste. Li taglierà sì, ma qualche tempo dopo e senza nessuna imposizione.
Il ritiro di Redondo
Il fuoriclasse ex Argentinos Juniors, Tenerife e Real Madrid si ritirò nel 2004 con la maglia del Milan. La sua ultima partita fu la stessa in cui salutò anche un altro campione assoluto come Roberto Baggio. Era il 16 maggio del 2004 con i rossoneri che festeggiavano a San Siro lo scudetto numero 17 contro il Brescia del Divin codino. Redondo lasciò il calcio dopo diverse stagioni difficili e ricche di infortuni non riuscendo a mostrare ai nuovi tifosi le meraviglie fatte vedere altrove. Nel frattempo, tra l'altro, era sbocciato il talento di un certo Andrea Pirlo. Quello dell'argentino fu un addio al calcio silenzioso, senza particolari proclami ma comunque da campione d’Italia. Il suo ginocchio non gli permise più di giocare ma fu suo tacco, nella notte di Old Trafford, lo rese immortale.